[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano e avv. Amedeo Caracciolo – Commento a: Cass. II, sent. nn. 26042 e 15109 del 2019]
L’art. 1118 c.c., come sostituito dall’art. 3 della l. 11 dicembre 2012, stabilisce espressamente che:
“1. Il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene.
2. Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni.
3. Il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali.
4. Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per altri condòmini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
Premesso doverosamente il dato normativo, è opportuno sin da subito ribadire che le tabelle millesimali rappresentano lo strumento per procedere all’esatta ripartizione degli oneri condominiali ordinari e straordinari, stabilendo il valore di contribuzione delle singole unità immobiliari in relazione alle parti comuni.
In altri termini, hanno natura valutativa della proprietà ed esprimono, a un tempo, l’ampiezza degli obblighi spettanti a ciascun condomino in materia di riparto delle spese ed il potere di voto nelle deliberazioni assembleari, in cui si ragiona alla stregua del parametro della “doppia maggioranza”, con riferimento, da un lato, agli intervenuti e, dall’altro, ai millesimi.
È da premettere che fino al leading case delle Sezioni Unite del 2010 (Cass. civ.. SS.UU. n. 18477/2010), dottrina e giurisprudenza operavano una netta demarcazione tra la maggioranza necessaria per approvare la tabella generale di proprietà (cd. Tabella A) e tutte le altre tabelle millesimali (scale, ascensori ecc.). La prima veniva, infatti, considerata quale risultato di un accordo negoziale tale da richiedere l’unanimità dei condòmini per poterla modificare. Per tutte le altre era sufficiente la maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresentasse la metà del valore del fabbricato (art. 1136, comma 2 c.c.).
Con la sopra menzionata sentenza, tuttavia, tale netta demarcazione viene meno in quanto la tabella generale di proprietà viene considerata come mera espressione matematica della forza del voto in assemblea e misura di partecipazione alle spese di cui all’art. 1123, comma 1 c.c.. L’atto di approvazione assembleare delle tabelle viene inteso non più come accordo negoziale (per cui necessitava di unanimità) bensì come “mera documentazione ricognitiva … dove la tabella altro non era che l’espressione della forza del voto in assemblea e del peso relativo agli obblighi.”.
Ne derivava che, in forza della lettura in combinato disposto degli artt. 1138 c.c. – che richiede per l’approvazione del regolamento cd. assembleare la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c., e 68 disp. att. c.c. – essa necessitava del medesimo quorum per l’approvazione e per la modifica delle tabelle millesimali.
Successivamente, entrata in vigore la l. 220/2012, la stessa modificava l’art. 69 delle disposizioni attuative del codice civile prevedendo la regola generale che i valori proporzionali delle unità immobiliari espressi nelle tabelle millesimali di cui all’art. 68 disp. att. c.c. potessero essere modificati o rettificati all’unanimità.
A tale regola era possibile derogare, prevedendosi l’applicazione della maggioranza di cui all’art. 1136 comma 2 c.c. (maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino la metà del valore dell’edificio), anche nell’interesse di un solo condomino, in due casi:
La disposizione previgente, prevedeva, in riferimento al secondo requisito indicato, il generico requisito della “notevole alterazione” del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano.
Ora, la “nuova” disciplina prevede requisiti stringenti per la rettifica o modifica delle tabelle millesimali, con approvazione delle relative deliberazioni all’unanimità. Essa, tuttavia, non può essere estesa anche all’approvazione delle stesse, rimanendo ferme, dunque, per tale diversa fattispecie le risultanze raggiunte dalla costante opera di dottrina e giurisprudenza sul punto. (ex multis Cass. 11837/2013, Cass. 10762/2012).
L’aspetto che suscita maggiore interesse relativamente alla redazione ed applicazione delle tabelle millesimali in sede di riparto di una o più spese in ambito condominiale, attiene alla necessità di forma scritta per ciò che concerne l’approvazione e/o le modifiche di cui si è detto in precedenza.
Tale assunto è di fondamentale importanza anche nell’ottica delle conseguenze relative alla forma di invalidità di una delibera assembleare che disponga diversamente.
Con la sentenza 26042/2019, resa dalla II Sezione Civile in data 15 ottobre 2019, viene chiarito, ancora una volta, che non è sufficiente – per derogare a criteri tabellari previsti dalla legge e/o dal regolamento di condominio e per la creazione di una tabella “virtuale” di riparto – il pagamento dei contributi per molti anni da parte dei condòmini sulla base di tabelle applicate “de facto” né la reiterata approvazione di rendiconti e di delibere di ripartizione delle spese secondo criteri diversi da quelli di cui alle tabelle esistenti. Una o più deliberazioni adottate in tal senso dall’assemblea sarebbero sicuramente invalide (conforme Cass. civ. II, ord. n. 4259/2018).
Si ricade in detta fattispecie nel caso, purtroppo altamente frequente – e che è alla base della maggior parte delle impugnazioni di delibere per errori di ripartizione – in cui si vadano a ripartire spese ordinarie o, soprattutto, straordinarie relative a beni e servizi comuni di cui all’art. 1117 c.c. con il criterio della suddivisione in parti uguali, sulla scorta di prassi seguite nel tempo dai condòmini.
Della forma di tale invalidità pure si discute, essendo stata rimessa da poco la questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione onde dirimere il contrasto insorto tra due differenti opzioni interpretative:
Quel che è certo è che osta a tale illegittimo contegno la mancanza di una approvazione per iscritto della tabella che si pretende di applicare ovvero della modifica della stessa rispettivamente, in forza del sistema vigente, a maggioranza o all’unanimità.
Invero, sul punto già si erano espresse le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 943/1999 argomentando sull’analogia di forma (scritta ad substantiam) che deve caratterizzare il regolamento di condominio e le tabelle millesimali. E ciò non solo in caso di regolamento contrattuale (in quanto nello stesso ben possono essere contenute clausole che incidono sui diritti dei singoli condòmini o sulle loro proprietà esclusive o, ancora, possono prevedersi limitazioni per i singoli sulle parti comuni) ma anche in caso di regolamento di condominio cd. assembleare, con tabelle allegate, posto che vi è l’obbligo per l’amministratore di conservare il relativo registro dei verbali (art. 1130, n. 7 c.c.). Tale ultimo assunto trova conferma nella disposizione di cui all’art. 68 disp. att c.c. alla stregua del quale, ove non precisato dal titolo, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata (in forma scritta) al regolamento di condominio.
Deve, quindi, affermarsi l’irrilevanza del ripetersi del consenso o dell’acquiescenza tacita dei condòmini verso ripartizioni effettuate alla stregua di tabelle millesimali diverse da quelle risultanti dai sopra menzionati atti scritti, sino a quando queste non vengano modificate da una valida delibera assembleare scritta nel relativo registro obbligatorio.
Problema tangente quello appena esposto concerne il rapporto tra il mutamento della destinazione d’uso e la potenziale alterazione della caratura millesimale dell’immobile in condominio. Si faccia il caso, di cui pure la giurisprudenza si è occupata in diverse occasioni, che un immobile subisca danni da infiltrazioni e che il proprietario sia costretto a richiedere il mutamento della originaria destinazione catastale. Ebbene, in tali casi, per legittimare il proprietario dell’unità immobiliare in questione a richiedere – anche a mezzo atto di citazione da notificarsi all’amministratore (e non più a tutti i condòmini) – la revisione delle tabelle millesimali, occorre accertare che sussistano le condizioni di cui all’art. 69 disp. att. c.c. sopra menzionate (errore o alterazione di 1/5).
Non è sufficiente di per sé, dunque, il mero dato del mutamento della destinazione d’uso ad incidere sull’assetto millesimale, atteso che l’individuazione dei valori proporzionali deve avvenire tenendo conto delle caratteristiche obiettive proprie degli immobili e non anche della loro possibile destinazione, determinata essenzialmente da valutazioni di carattere soggettivo, quali le personali necessità ed esigenze economiche (Cass. civ. II sent. n. 19797/2016).
Le medesime considerazioni valgono per il caso di divisione orizzontale in due parti di un appartamento in condominio. Con recente sentenza n. 15109 del 3 giugno 2019, la II sezione civile della Corte di Cassazione ha analizzato tale fattispecie alla luce del criterio della “notevole alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano”.
Tale criterio era vigente in epoca ante-riforma e veniva in rilievo nella fattispecie in commento in quanto applicabile ratione temporis.
Il frazionamento aveva determinato una diversa intestazione della quota millesimale, in precedenza attribuita ad un unico condomino e ciò imponeva, al più, di adeguare le regole di gestione del condominio alla mutata situazione, mentre non ha inciso sulle tabelle millesimali, non essendosi notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzione di piano, da intendersi, allo stato, come alterazione di almeno 1/5 del valore proporzionale dell’unità immobiliare. È solo oltre tale soglia che si può richiedere ed ottenere la revisione delle tabelle.
La Cassazione conclude la disamina affermando che “grava sull’assemblea l’onere di provvedere a ripartire le spese tra le due nuove parti così create ed i rispettivi titolari, determinandone i valori proporzionali espressi in millesimi sulla base dei criteri sanciti dalla legge”. Quanto appena detto è supportato dalla circostanza che in ambito condominiale non trova (rectius non trova più) cittadinanza il principio dell’apparenza del diritto, non sussistendo relazione di terzietà tra condominio e condomino. Ne deriva che le spese gravano esclusivamente sul proprietario effettivo dell’unità immobiliare e che l’amministratore ha il potere/dovere di aggiornare i propri dati tenendo conto della reale composizione dell’edificio e, ai fini del riparto, anche a mezzo consultazione dei pubblici registri immobiliari (conformi Cass. civ. VI/II n. 23621/2017 e Cass. civ. II n. 17039/2007).