[A cura di: avv. Rodolfo Cusano e avv. Amedeo Caracciolo – commento a decreto di accoglimento dell’istanza di revoca Trib. Napoli, n. 4144 del 24.09.2019] Due condòmini adivano il Tribunale di Napoli per chiedere la revoca dell’amministratore di condominio deducendo, a fondamento delle proprie pretese, diverse gravi irregolarità commesse nell’esercizio della funzione.
L’amministratore si costituiva e contestava gli addebiti che gli erano stati mossi lamentando, tra i motivi a base della comparsa di costituzione, che i ricorrenti non avevano dato piena dimostrazione delle loro pretese.
Il Tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, a scioglimento della riserva, accoglieva il ricorso in quanto rilevava il mancato deposito nel termine fissato dalla legge (art. 1129 commi 11 e 12 e art. 1130 comma 1 n. 10 c.c.) dei rendiconti relativi a due annualità nonché l’ingiustificata tardiva rendicontazione della gestione dell’anno precedente. Nel caso di specie, infatti, si trattava di rendiconto presentato oltre il termine di centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio.
La pronuncia in commento offre interessanti spunti in tema di riparto dell’onere probatorio in sede di procedimento per revoca giudiziale.
Nella parte motiva del provvedimento (dec. 4414/2019), il Collegio, in primo luogo, qualifica il procedimento di revoca giudiziale dell’amministratore di condominio ex art. 1129, comma 11 c.c. su istanza anche di un solo condomino, come giudizio di risoluzione anticipata e definitiva del rapporto di mandato esistente tra il professionista e la compagine designata. Tale assunto è pienamente condivisibile se solo si pensa che, nelle ipotesi di gravi irregolarità di gestione commesse dall’amministratore, la predetta norma fornisce strumento di tutela anche al singolo condomino che voglia far rilevare una o più irregolarità di cui al dodicesimo comma dell’art. 1129 c.c. Il richiamo, poi, all’applicazione delle norme in tema di mandato è comunque espresso e si rinviene nel penultimo comma della appena citata disposizione, che stabilisce: “Per quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui alla sez. I del cpo IX del titolo III del libro IV”, vale a dire le norme di cui agli artt. 1703-1730 c.c..
In secondo luogo, il Tribunale del capoluogo campano chiarisce che, trattandosi di inadempimento di natura contrattuale, opera il regime dell’inversione dell’onere della prova. Non viene in rilievo, dunque, l’art. 2697 c.c. alla stregua del quale “1- Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. 2- Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.”.
La differente norma del codice che occorre tener presente è, viceversa, l’art. 1218 c.c., norma che dispone che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.”. Pertanto, ai fini della risoluzione del caso di specie, rileva principalmente che il condomino ricorrente, il quale agisca per la risoluzione del mandato dell’amministratore, ben può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte, mentre sarà l’amministratore resistente ad essere gravato dell’onere di provare i fatti estintivi della pretesa di revoca.
Con inversione di rotta rispetto alle disposizioni precedenti alla riforma (l. n. 220/2012 entrata in vigore il 18 giugno 2013), che sanzionavano l’inerzia nella rendicontazione per un biennio, commette oggi grave irregolarità l’amministratore che non ottemperi al predetto obbligo anche per un singolo anno di gestione e/o che non convochi l’assemblea per l’approvazione dei bilanci entro centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio precedente. La ratio di tale nuova disposizione risiede non solo nella volontà del legislatore di rendere chiara, trasparente, oculata ed intelligibile l’amministrazione degli immobili ma anche a fornire strumento di tutela al singolo condomino per evitare, mutuando terminologia propria del diritto societario, fenomeni di “dittatura della maggioranza”.
Tanto premesso, è altresì da tenere presente che il mancato rispetto dell’obbligo della rendicontazione (e della convocazione dell’assemblea per la relativa presentazione) entro i sopra indicati termini perentori, non è giustificabile adducendo difficoltà di gestione, numero cospicuo di controversie in cui è coinvolto il condominio, né, tantomeno, si può giustificare la predetta grave irregolarità con la circostanza che i rendiconti presentati successivamente ed oltre i predetti termini perentori siano stati approvati dall’assemblea dei condòmini. Ne deriva, infatti che permane comunque la lesione del diritto dei condòmini alla conoscenza dei “conti condominiali” e della loro “corretta gestione” (Trib. Napoli decreto 53/2019). In mancanza di rendicontazione, infatti, ciascun condomino non è reso edotto delle modalità di utilizzazione e della destinazione degli oneri ordinari e straordinari raccolti.
Ancora, l’obbligo di rendicontazione non è escluso nemmeno nel caso in cui sia mancata la presentazioni dei rendiconti negli anni precedenti, anche in casi nei quali l’amministrazione condominiale era affidata ad altri soggetti (Trib. Napoli decreto 54/2019).
Sovente la prassi giudiziaria in casi come quelli esaminati mostra la tendenza di amministrazioni condominiali che, non avendo provveduto alla rendicontazione di diversi anni di gestioni né essendo state confermate nell’incarico, raggiunte dal ricorso per revoca ex art. 1129 c.c., procedono all’approvazione dei rendiconti di più anni di gestioni e/o a rassegnare le dimissioni cd. “irrevocabili”, costituendosi nei relativi giudizi ed adducendo l’irrevocabilità in quanto trattasi di amministrazioni in regime di “prorogatio imperii”.
Sul primo punto, la rendicontazione, ancorché approvata, resta tardiva e non vale ad elidere la grave irregolarità di cui agli artt. 1129-1130 c.c.. Avuto riguardo al differente profilo della revocabilità dell’amministratore in prorogatio deve necessariamente tenersi in considerazione quanto segue, anche alla luce di un recente arresto della Corte d’Appello di Bari (decreto del 12 giugno 2019, 3° sez. civ). L’istituto della prorogatio – la cui origine è pubblicistica – prevede la possibilità per un organo, unipersonale o plurisoggettivo, di continuare ipso iure ad esercitare i suoi poteri dopo la scadenza naturale del termine finale del mandato, pur in assenza di un formale atto di proroga. Mentre però per le funzioni pubbliche, stante la riserva di legge, è richiesto che la stessa sia esplicitamente prevista (C. Cost. n. 208/1992), nel diritto condominiale la sua ammissibilità è generalmente riconosciuta ammessa non operando la predetta riserva, anche al fine di assicurare la continuità delle funzioni dell’organo amministrativo che ha terminato il mandato, evitando paralisi gestorie.
Ora, negare la possibilità della revoca in regime di prorogatio vorrebbe dire affermare che lo status di amministratore revocato sia identico a quello in prorogatio. L’art. 1129, comma 8° c.c., nella formulazione post-riforma, ha invece disciplinato le attività che l’amministratore cessato dall’incarico può continuare a svolgere, individuandole in quelle urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni. La pronuncia di revoca, inoltre, ha la specifica utilità di determinare, ai sensi del 13° comma dell’art. 1129 c.c., l’impossibilità in capo all’amministratore revocato di essere nuovamente nominato da parte dell’assemblea.
Ove la revoca giudiziale dell’amministratore in prorogatio non fosse ammessa, verrebbe meno la possibilità di qualsiasi controllo giudiziale sull’operato di questi e ciò a discapito delle minoranze dell’assemblea condominiale o di singoli condòmini dissenzienti, la cui tutela dovrebbe essere il perno della disciplina legislativa inerente alla funzione assembleare legittimando il professionista incorso in gravi irregolarità a ripresentare la candidatura per l’amministrazione del condominio a “distanza di qualche tornata assembleare”.
L’interesse ad agire del ricorrente, dunque, permane anche in caso di dimissioni dell’amministratore proprio in quanto il provvedimento di revoca ne determina l’impossibilità di nuova nomina dello stesso che ha commesso gravi irregolarità e ciò a maggior ragione quando l’instaurazione del procedimento o, addirittura, la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza è antecedente alla convocazione dell’assemblea per le dimissioni irrevocabili (Trib. Santa Maria Capua Vetere decreto n. 3619/2018).
Ragionare diversamente significherebbe svilire la funzione dell’art. 1129 c.c. nella parte in cui prevede uno strumento a tutela del singolo condomino in minoranza in caso di gravi irregolarità commesse dall’amministrazione e qualificherebbe la prorogatio come schermo volto ad impedire di far valere innanzi all’Autorità Giudiziaria eventuali gravi irregolarità.