[A cura di: avv. Lorenzo Cottignoli, – presidente LAIC, Lega Amministratori Immobiliari Condominiali] Con due distinte pronunce, emesse a distanza di pochi giorni, la Corte di Cassazione è recentemente intervenuta sulla questione dell’applicazione della compensazione delle spese processuali, ai sensi dell’art. 92 co 2. c.p.c., relative al giudizio di revoca dell’amministratore condominiale.
La Sesta Sezione della Suprema Corte come si vedrà, addiviene, pur con pronunce formulate sulla proposta di due distinti relatori, alle medesime conclusioni, le quali, anche a seguito della sentenza della Consulta che modifica l’art. 92 c.p.c. (Corte Cost. 19 aprile 2018 n. 77), risultano coerenti con l’insegnamento impartito dalle Sezioni Unite del Giudice della nomofilachia, con sent. n. 20957 del 29.10.2004.
Il Supremo Collegio viene interpellato, nel primo caso (Ord. 24929 del 7.10.2019), dal ricorso di alcuni condòmini i quali, a fronte del rigetto, da parte della competente Corte d’Appello, del reclamo sul provvedimento del primo giudice che respingeva la domanda di revoca dell’amministratore, lamentavano la mancata compensazione delle spese di lite.
Nel secondo caso (Ord. 25798 del 14.10.2019), invece, è l’amministratore convenuto in giudizio che adisce la Suprema Corte per sentire cassare il provvedimento del Giudice d’Appello che, nonostante il pieno rigetto del reclamo sul provvedimento del primo giudice che, anche in tal caso, respingeva la domanda di revoca dell’amministratore, tuttavia compensava le spese della lite “per la complessità degli accertamenti e delle questioni affrontate e per la natura del procedimento”.
La Corte di Cassazione richiama, nella prima delle due pronunce, il proprio insegnamento in materia, come sancito con sentenza a Sezioni Unite (Cass. SS. UU. 29.10.2004, n. 20957) la quale “seguita dalla costante interpretazione giurisprudenziale, ha espressamente affrontato e risolto affermativamente la questione dell’applicabilità dell’art. 91 c.p.c. al procedimento camerale azionato in base all’art. 1129, comma 11, c.c. ed all’art. 64 disp. att. c.p.c., in quanto il principio di soccombenza si riferisce ad ogni processo, senza distinzioni di natura e di rito, e il termine sentenza è usato nell’art. 91 c.p.c. nell’accezione di provvedimento che, nel risolvere contrapposte posizioni, chiude il procedimento stesso innanzi al giudice che lo emette, e dunque anche se tale provvedimento sia emesso nella forma dell’ordinanza o del decreto.”.
Ne discende che “il rigetto della domanda di revoca dell’amministratore di condominio, per insussistenza delle gravi irregolarità ex art. 1129, comma 12, c.c., ha determinato la soccombenza dei ricorrenti, agli effetti dell’art. 91 c.p.c.”, precisando la Corte come “la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale delle spese, in considerazione delle gravi ed eccezionali ragioni, ex art. 92, comma 2, c.p.c., riguardanti specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, rientra nei poteri del giudice di merito, il cui mancato utilizzo è incensurabile in sede di legittimità per violazione di norme di diritto, essendo precluso alla Corte di Cassazione di ravvisare le gravi ed eccezionali ragioni che avrebbero reso opportuna la compensazione, riesaminando la lite nei suoi aspetti di merito.”.
Nella seconda pronuncia, coerentemente, premette il Supremo Collegio, a sostegno dell’ammissibilità del motivo di ricorso, come il ricorrente “non propone di contestare l’opportunità di disporre la compensazione delle spese, che è profilo rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, ma è volto a negare che i motivi addotti dalla pronuncia impugnata siano tali da integrare le gravi ed eccezionali ragioni contemplate dall’art. 92, comma secondo, c.p.c.” come modificato dall’intervento del Giudice delle Leggi (Corte Cost. n. 77/2018) la quale ha previsto che, oltre all’ipotesi normata di applicazione della compensazione delle spese di lite in caso di “assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti“, si possa dar luogo ad integrale o parziale compensazione delle spese “anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.”.
Tali gravi ed eccezionali ragioni, argomenta il Giudice della nomofilachia, citando ampi stralci della Sentenza della Consulta, vanno a parametrarsi rispetto alla norma di cui all’art. 92 c.p.c., considerando quest’ultima quale clausola generale, “che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni non determinabili a priori”. Ferma tale impostazione, il Giudice costituzionale, nell’interpretazione ricostruita dalla Corte di Cassazione, ha inteso, in applicazione del “canone di ragionevolezza”, integrare le ipotesi “diverse dall’assoluta novità della questione o dal mutamento di giurisprudenza” con quelle “che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità di quelle tipiche espressamente previste dalla disposizione censurata” e che pertanto potranno “identificarsi in quelle che siano riconducibili a tale clausola generale e che siano analoghe a quelle tipizzate nominativamente nella norma, nel senso che devono essere di pari, o maggiore, gravità ed eccezionalità. Le quali ultime quindi – l’«assoluta novità della questione trattata» ed il «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti» – hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale”.
Dunque, chiariti i principi applicabili ai casi in esame in punto di diritto, entrando nel merito della questione la Corte di Cassazione ribadisce come debba escludersi “che la natura del procedimento (revoca per giusta causa dell’amministratore condominiale) giustificasse di per sé la compensazione”, dacché “tali controversie hanno natura contenziosa e soggiacciono alla regola della soccombenza ex art. 91 c.p.c., posto inoltre che il giudizio si è concluso con il rigetto della domanda”. Inoltre, rileva la Corte “l’inapplicabilità del principio sancito dal comma undicesimo dell’art. 1129 c.c., (…) norma che – peraltro – rende ripetibili le spese nel rapporto interno tra il condomino vittorioso che le abbia anticipate e il condominio, nei cui confronti si producano gli effetti della decisione, mentre è solo nel rapporto processuale tra le parti del giudizio che le spese trovano la loro esclusiva regola di riparto”.
Nel caso, dunque, in cui la Corte d’Appello aveva ritenuto di applicare la compensazione delle spese di lite, il Supremo Collegio interviene per cassare la pronuncia del giudice di seconda istanza ritenendo come la Corte distrettuale si fosse “limitata a pronunciare la compensazione senza minimamente indagare – dandone conto in motivazione – le ragioni che connotavano in concreto la complessità degli accertamenti e delle questioni esaminate (in senso integralmente conforme, in motivazione, Cass. 14969/2017).”
Conclude la Corte di Cassazione, affermando come “la generica e non meglio specificata complessità degli accertamenti e delle questioni dibattute (oltre, per quanto detto, sulla natura del procedimento), sganciata dal riscontro dei particolari requisiti richiesti dell’attuale formulazione della norma, non integra quindi il presupposto indispensabile per disporre la compensazione”.