[A cura di: avv. Emanuele Bruno di Matera – www.studiobruno.info] Il criterio generale di divisione delle spese condominiali, molto spesso, è ignorato o sottovalutato a beneficio della ricerca (non sempre possibile) di norme che prevedono un criterio di riparto specifico.
L’art. 1123 c.c. sulla ripartizione delle spese è sia una norma generale, sia una norma di chiusura, espressione del criterio applicabile ogni qualvolta non sia possibile individuare una regola di riparto specificatamente prevista e applicabile al caso particolare.
Le tabelle millesimali non sono sempre in grado di prevedere criteri di riparto per tutte le situazioni di spesa che si possono incontrare nella gestione del condominio. Anche perché modalità ed esigenze di fruizione dell’immobile sono assai mutevoli nel tempo e non è sempre possibile prevedere ogni fattispecie sin dall’inizio.
La ratio che anima i tre commi dall’art. 1123 c.c., di seguito in esame, è senza dubbio espressiva del concetto di proporzionalità applicato in ragione della particolare tipologia costruttiva dell’immobile e, dunque, di fruizione del singolo rispetto ad esso.
1° comma. Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
In buona sostanza, la norma prevede e disciplina le ipotesi in cui si tratti di spese finalizzate alla gestione – conservazione delle parti comuni, individuando il criterio generale della proporzionalità tra la proprietà generale e la proprietà privata del singolo (tabella della proprietà generale).
2° comma. Se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne.
Nell’ipotesi in cui si tratti di spese per cose e servizi destinati a servire i condòmini in misura diversa, la ripartizione terrà conto dell’uso che ciascun condomino può teoricamente farne.
3° comma. Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità.
La fattispecie affrontata in questo comma riconosce ipotesi in cui l’immobile presenti parti comuni destinate all’uso di alcuni condòmini. Anche in questo caso si applica il principio di proporzionalità, espressiva del rapporto tra la proprietà del singolo e la parte di proprietà comune ad un certo gruppo di condòmini.
Il concetto di proporzionalità espresso nell’articolo 1123 chiarisce che, tanto il diritto sulla parte comune quanto l’obbligo di contribuzione, non dipendono dall’effettivo utilizzo del bene comune (questione molto spesso eccepita dai condòmini), bensì dalla titolarità del diritto reale sull’immobile. Tale situazione corrisponde all’istituto delle obbligazioni propter rem, ovvero una obbligazione che nasce direttamente dal rapporto di proprietà o meglio, più semplicemente, dal rapporto tra proprietà privata del singolo e proprietà privata comune.
Come per tutti i criteri di riparto previsti dal codice civile, anche questo è derogabile dalla volontà assembleare, che deve essere deliberata secondo i criteri previsti dalla legge.
Interessante a questo proposito, la pronuncia della Cassazione n.26360/2017: “È illegittima la deliberazione dell’assemblea condominiale che decida di addebitare alla proprietà del singolo condomino i costi per l’intervento su parti comuni dell’edificio, ritenendolo responsabile della causa dell’intervento richiesto. In tal senso, invero, sebbene il singolo risponde verso gli altri condòmini dei danni da lui causati, tuttavia, fino a quando egli non abbia riconosciuto la propria responsabilità o questa non sia stata accertata in sede giudiziale, l’assemblea non può porre a suo carico detto obbligo, né imputargli a tale titolo alcuna spesa, non potendo disattendere l’ordinario criterio di ripartizione, né la tabella millesimale, e dovendo, invece, applicare la regola generale stabilita dall’art. 1123 c.c.”.
La sentenza citata sottolinea, come detto, che il criterio di proporzionalità può essere derogato soltanto nelle modalità previste dalla legge.
L’art. 1123 c.c., ove si colga il senso, va ben oltre l’individuazione di semplice criterio di riparto ed esprime il rapporto intercorrente tra condomino privato e condominio nonché il rapporto di reciproca necessità-utilità.
Cosa accade se alcuni condòmini pagano la propria quota ed altri no? Può, il creditore, agire anche contro il condomino virtuoso?
Per dare risposta a questi interrogativi, gli orientamenti giurisprudenziali sono due: il primo rimanda all’art. 1294 c.c., ed afferma che i condòmini virtuosi, essendo condebitori solidali, rispondono anche per i condòmini morosi salvo azione di regresso. La norma appena richiamata afferma che la solidarietà è esclusa dalla legge o dal titolo.
Ed è qui che si inserisce il secondo orientamento, fondato sul disposto dell’art. 1123 c.c., il quale pone la questione: il principio di proporzionalità (quindi il 1123 c.c.) può derogare il 1294 c.c.?
L’argomento è stato affrontato dalla Cassazione a S.U. con la sentenza n. 9148/2008 che così statuisce: “La responsabilità dei condòmini nelle obbligazioni risponde al criterio dalla parziarietà in quanto: l’obbligazione in capo ai condòmini, ancorché sia comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro; la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e l’art. 1123 cod. civ. non distingue il profilo esterno e quello interno; l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio. Ai singoli condòmini si imputano, pertanto, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza”. Dunque, dovremmo concludere che non sussiste responsabilità solidale dei condòmini.
Sul punto si segnala ancora la recente sentenza della Cassazione Civile n. 14530/2017: “In riferimento alle obbligazioni assunte dall’amministratore, o comunque nell’interesse del condominio, nei confronti di terzi – in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile, vincolando l’amministratore i singoli condòmini nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio – la responsabilità dei condòmini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli suoi componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie”.
A completamento di questa analisi occorre prendere in considerazione l’art. 63 delle disp. att. c.c., comma secondo, come introdotto dalla riforma del 2012: “I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’esecuzione degli altri condòmini”.
Se ne desume che, ove persista la solidarietà tra condòmini, essa si attiva soltanto dopo che sia stato effettuato il tentativo di incassare il credito dal diretto debitore. La corretta applicazione di questa norma presuppone una particolare operatività gestoria da parte dell’amministratore, che dovrà interloquire con il creditore del condominio a tutela dei condòmini virtuosi, indicando i soggetti morosi che diventeranno i primi destinatari dell’attività esecutiva.