[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano e avv. Amedeo Caracciolo] Con ordinanza n. 24476 del 1 ottobre 2019, la II Sezione civile della Corte di Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di tre questioni non certo irrilevanti per il “mondo del condominio”, attesi i sempre più frequenti contrasti di decisioni nelle Sezioni semplici. Più in particolare si tratta di stabilire quanto segue:
Prendiamo il caso di una delibera che, in assenza di unanimità dei partecipanti al condominio, decida di ripartire una spesa per la conservazione, manutenzione, godimento, riparazione, ricostruzione di parti comuni con un criterio non previsto dalla legge né dal regolamento di condominio (es. ripartizione in parti uguali e non per tabella di proprietà delle spese di manutenzione del giardino condominiale).
Se si analizza il panorama della recente giurisprudenza sul punto, ci si potrà facilmente rendere conto degli atteggiamenti ondivaghi che ne hanno caratterizzato le decisioni.
Quanto sopra và ad incidere sul principio della certezza del diritto, date le rilevanti conseguenze sostanziali e processuali ove si qualifichi una delibera come nulla o annullabile. A riprova di ciò è sufficiente pensare ai diversi termini di impugnativa per i casi di annullabilità (trenta giorni a pena di decadenza dalla conoscenza della deliberazione) nonché alle differenze in tema di legittimazione attiva (l’impugnativa di una delibera che si assume essere nulla non è prerogativa esclusiva dei dissenzienti o degli astenuti).
Nella risoluzione di casi come quello analizzato si rinvengono due contrapposti orientamenti:
1.1. Il primo filone interpretativo, più recente, ritiene che sia da considerare sempre nulla la delibera dell’assemblea che violi i criteri legali di ripartizione o quelli di cui al regolamento.
Tale orientamento non pone distinzioni e sostiene che tutte le deliberazioni dell’assemblea comunque adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di riparto sono da considerarsi nulle in quanto rese in “eccesso di potere” rispetto alle attribuzioni assembleari, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condòmini fissati dalla legge o dal regolamento contrattuale, occorrendo a tal fine un accordo unanime espressione dell’autonomia negoziale (Cass. nn. 19832/2019, 470/2019, 33039/2018, 19651/2017).
1.2. Un differente indirizzo, viceversa, ritiene che sono nulle le sole delibere con cui l’assemblea espressamente e stabilmente modifichi a maggioranza i criteri di riparto stabiliti dalla legge o da accordo unanime dei condòmini mentre sono annullabili, e conseguentemente, assoggettate alla disciplina di cui all’articolo 1137 c.c., le delibere in cui tali criteri vengano meramente ed episodicamente disattesi.
Si ritiene ancora valida la distinzione, pure enucleata da tale opzione interpretativa, tra violazioni in concreto e violazioni in astratto dei criteri di riparto con conseguente rispettiva annullabilità o nullità della delibera.
Si ha violazione in astratto dei criteri legali, e conseguente nullità della delibera, quando si deroga agli stessi in assenza di accordo unanime dei partecipanti al condominio in maniera espressa e stabile.
Viceversa, ricorre la meno grave ipotesi di annullabilità della delibera quando si effettuano dei riparti che in concreto vadano a violare (rectius a mal applicare) i criteri già stabiliti dalla legge, come nel caso in cui, pur rispettando l’astratto criterio normativo, si deroghi allo stesso, anche per errore, nel singolo caso concreto (Cass. 10586/2019, 11289/2018, 27016/2011).
Già Cass. Sez. Un. 4806/2005 aveva espressamente statuito che la delibera assunta nell’esercizio delle attribuzioni assembleari di cui all’art. 1135 nn. 2 e 3 e relativa alla ripartizione in concreto delle spese condominiali ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti è “meramente” annullabile in quanto non incide sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’art. 1123 c.c.
La relativa impugnazione deve essere proposta dunque nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c.
Nulle sarebbero, viceversa, le sole delibere affette da vizi sostanziali oppure aventi ad oggetto materie sottratte alla competenza dell’assemblea.
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il condomino non può far valere vizi di annullabilità della delibera (Cass. 22573/2016).
Per ciò che concerne, viceversa, i vizi di nullità si registra un acceso dibattito:
2.1. In forza di una prima impostazione giurisprudenziale, il Giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di oneri condominiali può accogliere l’opposizione stessa del condomino ingiunto qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia per essere stata sospesa da parte del giudice dell’impugnazione, in base all’art. 1137 c.c. o per avere questi annullato la deliberazione con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione, ancorché non passata in giudicato.
La ricerca di elementi sintomatici di nullità potrebbe anche avvenire d’ufficio (Cass. 19832/2019, 23223/2018, 33039/2018). Ciò in quanto i vizi di nullità non implicano tempestiva impugnativa nel termine decadenziale previsto dalla legge per le ipotesi di annullabilità.
Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale, in altri termini, si applica il principio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 c.c. secondo cui è comunque attribuito al giudice il potere di rilevare la nullità ogni qual volta l’invalidità dell’atto rientri tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere.
2.2. Altro orientamento ritiene che tutte le forme di invalidità della delibera assembleare sarebbero sottratte al sindacato del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. 21240/2019, Cass. 8685 2019, Cass. 3354/2016) in quanto presupposto del provvedimento monitorio è soltanto l’efficacia esecutiva della delibera condominiale.
Del pari, l’eventuale opposizione al decreto ingiuntivo avrebbe ad oggetto unicamente il pagamento delle spese dovute, mentre la nullità della delibera può essere oggetto del solo giudizio di impugnazione di cui all’art. 1137 c.c. pur essendo la relativa domanda esperibile da chiunque vi abbia interesse (non solo da assenti, dissenzienti o astenuti) ed altresì sottratta al termine di decadenza di cui alla norma appena citata.
Tale ultima questione appare intimamente connessa a quella appena descritta. Anche per tale problematica appare opportuno prendere le mosse da un assunto che risulta certo: per le spese di manutenzione straordinaria e per le innovazioni, l’obbligazione dei condòmini nasce nel momento in cui l’assemblea delibera l’esecuzione degli interventi. È proprio questa delibera, dunque, che assume valore costitutivo dell’obbligazione in capo a ciascun condomino.
Anche su questo terzo quesito si registrano due opzioni interpretative.
3.1. Se si accede alla tesi per cui i vizi di nullità della delibera sono sindacabili dal giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo per la riscossione di dette spese, allora il giudicato di rigetto dell’opposizione, il quale afferma il diritto del condominio di pretendere dal singolo condomino “opponente” quella determinata spesa, sarebbe idoneo a precludere che venga rimessa in discussione in un altro processo l’invalidità della delibera che approvava quella spesa.
3.2. Viceversa, per giustificare la mancata applicazione del principio del cd. “giudicato implicito” viene evocata, da altra parte della giurisprudenza, l’eccezionalità della disciplina della riscossione dei contributi del condominio.
Ciò non nella maniera più assoluta ma con un importante temperamento. Residuerebbe, infatti, il predetto principio in una direzione opposta manifestandosi, viceversa, la necessità di accogliere l’opposizione a decreto ingiuntivo per i casi in cui la delibera condominiale abbia perduto efficacia in quanto sospesa dal giudice dell’impugnazione della delibera ex art. 1137 c.c. ovvero annullata dallo stesso con sentenza – ancorché non passata in giudicato – al termine del giudizio di impugnativa (Cass. 7741/2017, Cass. 19938/2012).
Sui quesiti che precedono, anche nella stessa ordinanza di rimessione, si rinviene la necessità di effettuare una sorta di “giudizio di valore” operando una scelta di campo tra il far prevalere le esigenze di rapidità e di incisività della riscossione condominiale (così come delineate dall’assetto post-riforma della materia) e quelle di economia processuale e di non-contraddittorietà delle pronunce.
È altresì da tenere presente il rischio di contrasto di giudicati che deriverebbe dalla negazione di pregiudizialità tra l’opposizione a decreto ingiuntivo e l’impugnazione di delibera ed occorre anche valutare l’attualità o meno dell’espediente dell’azione di ripetizione dell’indebito già utilizzato per i suddetti casi (Cass. Sez. Un. n. 4421/2007).
È dunque auspicabile, in mancanza di una disciplina legislativa organica, l’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione per chiarire definitivamente gli aspetti principali delle problematiche in rassegna.