[A cura di: Confappi] È consentita l’attività di ristorazione nei locali di proprietà esclusiva, a meno che il regolamento condominiale di tipo contrattuale non lo vieti esplicitamente. È quanto deciso dal Tribunale di Milano attraverso la sentenza 15 febbraio 2019, n. 1515.
Nel caso in oggetto, l’’assemblea si è opposta all’apertura di un ristorante etnico nei locali siti al piano terreno di uno stabile milanese, in quanto l’articolo 5 del regolamento condominiale contrattuale prevede il divieto di “adibire i locali di proprietà esclusivi ad usi diversi da quelli di abitazione, di ufficio e/o di esercizio di professioni liberali, di negozi, laboratori e magazzini. È vietato pertanto – si legge ancora nel regolamento – destinare detti locali ad uso di scuole di canto, ballo musica, ginnastica, scherma, etc. sanatori, gabinetti di cura o di analisi, ambulatori per malattie infettive, contagiose, mentali o richiedenti interventi chirurgici, asili di ricovero, agenzia di pegno e collocamento, sedi di sezioni di partiti politici di organizzazioni sindacali”.
L’articolo 3 del medesimo regolamento, con riferimento alle unità immobiliari poste al piano terreno, fa però riferimento a “locali destinati ad attività commerciali e artigianali”, esemplificandole in “negozi, laboratori e magazzini”.
Per il Tribunale meneghino “(…) ciò significa che il regolamento ammette in generale lo svolgimento di attività commerciali e artigianali, senza operare limitazioni o distinzioni di sorta, e le differenzia a fini descrittivi soltanto a seconda della natura dei locali ove possono essere svolte. La descrizione della tipologia delle unità immobiliari del piano terreno non consente di escludere bar o ristoranti, posto che l’attività di ristorazione è pacificamente da annoverare tra le attività commerciali”.
Inoltre, fra le attività vietate dal regolamento non viene menzionata quella di ristorazione, che quindi “(…) non può ritenersi tra quelle tipologicamente a priori vietate, perché un tale divieto non è esplicitamente formulato e perché l’elenco degli usi non consentiti non è suscettibile di integrazione per via analogica”.
La società convenuta può quindi procedere con l’apertura del locale, avendo cura di osservare le altre disposizioni del regolamento contrattuale che vieta l’insieme di attività che si pongono in contrasto con l’igiene, la morale o il decoro dell’ambiente, ovvero che diano luogo a rumori o a esalazioni sgradevoli.
Conclude il giudice: “L’attività di ristorazione, tuttavia, non può ritenersi in astratto contrastante con l’igiene, la morale, il decoro ovvero per sua natura rumorosa o fonte di esalazioni sgradevoli, essendo necessaria una indagine caso per caso, finalizzata alla concreta verifica delle modalità del suo svolgimento e del rispetto delle regole amministrative che governano tale attività. Al riguardo (…) il condominio non ha fornito alcuna prova che il concreto atteggiarsi dell’attività di ristorazione sia di nocumento a tali valori”.