[A cura di: avv. Andrea Marostica – www.avvocatoandreamarostica.it]
L’art. 1129 c.c. prima della riforma stabiliva che “l’amministratore dura in carica un anno (…).”. Oggi, a seguito della novella legislativa, l’art. 1129 c.c. al co. 10 recita: “L’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata.”.
Questa disposizione, sia in sé sia in combinato disposto con altre previsioni in materia condominiale, aggiunge nuovi problemi ai dubbi già sorti durante la vigenza del testo precedente.
Da ultimo verranno svolte alcune osservazioni in merito alla scadenza dell’incarico dell’amministratore in questo delicato periodo di emergenza sanitaria a causa del virus Covid-19.
Il significato del testo normativo che recita “l‘incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata” non è di immediata comprensione. Le possibili interpretazioni sembrano essere tre.
La prima: l’incarico ha durata di un anno, terminato il quale cessa e l’assemblea potrà conferire un nuovo incarico della durata di un anno.
La seconda: l’incarico ha durata di un anno, terminato il quale si rinnoverà automaticamente di un ulteriore anno e così al termine di tale secondo anno e di tutti i successivi.
La terza: l’incarico ha durata di un anno, terminato il quale si rinnoverà automaticamente di un ulteriore anno, per poi cessare senza possibilità di ulteriori rinnovi automatici.
L’interpretazione in base alla quale l’incarico si rinnova in automatico per un solo altro anno per poi cessare (la terza) appare quella preferibile.
Non sarà dunque necessaria la conferma da parte dell’assemblea al termine del primo anno, ma l’amministratore, al momento del rinnovo, dovrà comunque adempiere agli obblighi di informazione previsti dall’art. 1129, co. 2, c.c. per il momento dell’accettazione della nomina e per ogni rinnovo dell’incarico: comunicazione dei dati personali e professionali, specificazione analitica del compenso.
Al termine del secondo anno l’incarico cesserà e sarà necessario procedere ad una nuova nomina (o “conferma”, si veda di seguito).
Gli artt. 1129 e 1136 c.c. parlano di nomina dell’amministratore; l’art. 1135 parla di conferma dell’amministratore.
Ciò ha indotto a sostenere che l’uso di parole diverse vuol significare fattispecie diverse: la conferma, a differenza della nomina, rappresenterebbe un atto di ordinaria amministrazione, per il quale dunque non è necessaria una maggioranza qualificata. Ma l’orientamento dominante in giurisprudenza (1) ritiene che anche per la conferma sia necessaria la medesima maggioranza qualificata richiesta per la prima nomina.
Si può osservare che nomina e conferma non differiscono in alcunché se non nella circostanza che la nomina riguarda una persona nuova mentre la conferma riguarda una persona già stata in carica. Sotto il profilo della fiducia accordata dall’assemblea, nella nomina avviene per la prima volta, nella conferma avviene sulla base di un rapporto precedente, dunque alla luce dell’esperienza.
Se ciò è vero, non si può però dimenticare che la riforma ha introdotto dinamiche e strumenti volti al controllo ed alla verifica annuale dell’operato dell’amministratore: basti pensare alla specificazione analitica del compenso al momento dell’accettazione della nomina e ad ogni rinnovo ed alla nota esplicativa che deve accompagnare ogni rendiconto al fine di illustrare i fatti rilevanti della gestione. Ne emerge una dimensione di valutazione periodica delle modalità e della discrezionalità gestionali dell’amministratore non compatibile con la possibilità di nominare nuovamente la stessa persona con una maggioranza inferiore rispetto alla prima nomina.
Prima della riforma, la giurisprudenza (2) prevalente affermava che l’amministratore condominiale cessato dall’incarico – per scadenza del termine, per dimissioni, per revoca, per invalidità della nomina – continuasse ad esercitare la pienezza dei suoi poteri. Tale prorogatio imperii, che trovava fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condòmini e nell’interesse del condominio alla continuità della gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni, garantiva che, anche nel periodo interinale di successione nell’incarico, venissero adempiute tutte le attribuzioni dell’amministratore.
La conservazione dei poteri in capo all’amministratore cessato non avveniva nel solo caso in cui risultasse la volontà contraria dei condòmini (3); ciò in quanto la prorogatio si fonda sulla presunzione di conformità alla volontà dei condòmini, pertanto una manifestazione di volontà in senso difforme impedirebbe l’applicazione dell’istituto, facendo venire meno la presunzione sulla quale esso si basa.
A seguito della riforma, oggi l’art. 1129, co. 8, c.c. prevede che “alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizio agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.”.
La disposizione crea evidenti problemi.
Se si potrebbe spiegare logicamente il fondamento di questa disposizione in caso di dimissioni, conservando l’amministratore dimissionario il potere di ricorrere al giudice per la nomina del nuovo amministratore, non si comprende perché l’amministratore scaduto dall’incarico o revocato debba di fatto continuare ad interessarsi gratuitamente del condominio al fine di essere in condizioni di poter eseguire le attività urgenti (4).
A prescindere da questi problemi, ciò che qui più preme osservare è che la previsione – al momento della cessazione dell’incarico – dell’obbligo di consegna della documentazione condominiale e la limitazione dei poteri-doveri dell’amministratore alle sole attività urgenti risulta incompatibile con l’applicazione della prorogatio, in virtù della quale, come visto sopra, l’amministratore cessato conserva la pienezza delle sue attribuzioni.
La diffusione del virus Covid-19 ha creato ben noti problemi alla gestione del condominio, primo fra tutti l’impossibilità di tenere assemblee. Immediatamente successivo a questo problema ve ne è un altro: se l’incarico dell’amministratore scade e non è possibile procedere alla convocazione dell’assemblea, come può l’amministratore, in regime di prorogatio perché scaduto nel suo incarico, occuparsi della gestione ordinaria del condominio, atteso che, come detto sopra, alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto ad eseguire le attività urgenti e non altre?
È dubbio che lo strumento del rinnovo per un ulteriore periodo di tempo, senza altre indicazioni specifiche, possa risolvere i problemi che sono emersi. Si dovrebbero quanto meno precisare le conseguenze per quanto concerne la determinazione del compenso, la comunicazione dei dati personali e professionali; dovrebbe essere precisato che l’amministratore resta investito dei suoi pieni poteri.
Quanto alla determinazione del compenso, l’art. 1129, co. 14, c.c. prevede che “l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta.”. Bene sarebbe se la normativa emergenziale, nel disciplinare un rinnovo automatico, specificasse anche che il compenso per l’ulteriore periodo è determinato in misura uguale a quello analiticamente specificato dall’amministratore in precedenza, ovviamente parametrato al periodo previsto per questo rinnovo eccezionale.
Per quanto riguarda la comunicazione dei dati personali e professionali, richiesta dall’art. 1129, co. 2, c.c. al momento dell’accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell’incarico, essa dovrebbe presumersi effettuata, almeno ogni qualvolta non vi siano variazioni nei dati già comunicati in precedenza.
Quanto ai poteri dell’amministratore, una disposizione che estendesse eccezionalmente per un determinato periodo l’incarico di amministratore (per consentire la gestione del condominio pure in assenza di un’assemblea che tale incarico formalizzi con una nomina) dovrebbe essere dettata in modo tale da rendere chiaro che trattasi di vero e proprio rinnovo e non di impiego dell’istituto della prorogatio, ciò al fine di non dare spazio ai dubbi esistenti sull’argomento visti sopra nel paragrafo dedicato.
NOTE
(1) Cass. civ., 4 maggio 1994, n. 4269.
(2) Cass. civ., 30 ottobre 2012, n. 18660; Cass. civ., 23 gennaio 2007, n. 1405; Cass. civ., 27 marzo 2003, n. 4531.
(3) Cass. civ., 5 febbraio 1993, n. 1445.
(4) TRIOLA, La riforma del condominio tra novità e occasioni mancate, Milano, 2014, 120.