[A cura di: Erio Iurdana, presidente Confappi Torino] Il condomino che abita in un appartamento situato all’ultimo piano di un edificio condominiale, oltre a godere di maggiore luce, di un’ottima aerazione e di una vista in migliore, ha la possibilità, nel rispetto dei vincoli urbanistici e a patto che i titoli non dispongano diversamente, di potere ampliare la superficie del proprio alloggio attraverso la sopraelevazione: un’operazione che si realizza quando il proprietario residente all’ultimo piano esegua interventi al di sopra del proprio appartamento o del lastrico solare, determinando un innalzamento dell’edificio e un aumento, più o meno considerevole, della superficie dell’immobile stesso.
Sul punto, l’articolo 1127, comma 1, del Codice civile prevede che «il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare».
Il comma successivo specifica che «la sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono». Ne consegue che il condomino intenzionato a sopraelevare, prima di procedere con i lavori, dovrà disporre a sue spese una perizia tecnica che accerti la fattibilità dell’intervento, senza alcun rischio per l’edificio. Secondo un diffuso, seppur controverso, orientamento della giurisprudenza, anche qualora il sopraelevante sostenesse a sue spese eventuali opere di consolidamento strutturale non otterrebbe il via libero per l’intervento.
Il comma 3 dell’articolo 1127 specifica poi che «i condòmini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio ovvero diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti». Ciò significa che l’intervento non deve ledere il decoro dello stabile e limitare l’aria e le luminosità di cui beneficiano gli altri condòmini. Inoltre, la superficie dell’immobile oggetto di intervento non può aumentare del 20 per cento.
Il resto dei condòmini può opporsi alla sopraelevazione non soltanto preventivamente ma anche una volta iniziati o conclusi i lavori. In tal caso è possibile richiedere il ripristino della situazione originaria e un risarcimento danni, azione quest’ultima che è però soggetta a prescrizione una volta trascorsi vent’anni. Oltre questo lasso di tempo, il condomino acquisisce il diritto a mantenere la sopraelevazione per usucapione, a meno che l’edificio non risulti compromesso dal punto di vista statico.
L’ultimo comma dell’articolo 1127 prevede, infine, che «chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condòmini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condòmini avevano il diritto di usare». I condòmini proprietari del suolo su cui sorge l’edificio vengono, infatti, privati della proprietà della colonna d’aria che si proietta al di sopra dell’ultimo piano ed è ciò a determinare l’indennità.
Come ha osservato la Cassazione (sentenza 5 luglio 1952, n. 2027), l’indennità è dovuta da chi è proprietario del piano sopraelevato nel momento in cui la stessa indennità è richiesta e, di conseguenza, l’obbligazione non si trasferisce a un successivo proprietario. La legge prevede poi che l’azione per il pagamento dell’indennità non spetti al condominio bensì ai singoli condòmini pro quota.
Con riferimento al “valore dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica” il Codice indica il valore del suolo su cui sorge l’edificio, calcolato al momento della sopraelevazione e non al termine dell’opera, per la parte corrispondente alla proiezione verticale della nuova costruzione e non il valore del lastrico solare o dell’area sovrastante (Cassazione 30 luglio 1981, n. 4861 e 5 dicembre 1987, n. 9032).
Più in concreto, per calcolare l’indennità di sopraelevazione è necessario dividere il valore attuale del suolo per il numero dei piani, compreso quello di nuova costruzione. Dal risultato deve essere sottratta la quota spettante al condomino sopraelevante.
Nel caso in cui, invece, siano sopraelevati più piani, l’indennità si calcola dividendo il valore del suolo per il numero finale dei piani; quindi servirà moltiplicare il quoziente ottenuto per il numero dei piani di nuova costruzione. Anche in questo caso, al risultato finale si sottrae la quota che spetterebbe al condomino sopraelevante.
È utile ricordare che nel calcolo delle indennità non va conteggiato il piano delle cantine, considerato un accessorio dei vari piani che compongono l’edificio. A norma dell’articolo 2946 del Codice civile, salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti, fra cui quello di indennità, si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni.
I condòmini hanno dieci anni di tempo per chiedere l’indennità di sopraelevazione, mettendo in mora il debitore. La Cassazione (sentenza 16 ottobre 1990, n. 10098) ha poi specificato che il sopraelevante è obbligato a pagare l’indennità una volta ultimati i lavori, mentre gli interessi per il pagamento ritardato si calcolano dalla data di messa in mora.