[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano e avv. Amedeo Caracciolo]
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Commento a:
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II, sent. 10 maggio 2019,
n. 12573
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La sentenza in commento costituisce l’occasione per fare il punto su quali siano le spese che possono essere addebitate al condomino in sede di rendiconto e quelle che invece, pur essendo riferite unicamente allo stesso, rimangono comunque a carico dell’intera compagine condominiale.
Due condòmini adivano il Giudice di Pace di Imola per l’impugnativa di una delibera condominiale che approvava un rendiconto ed il relativo piano di riparto, in forza del quale veniva posta a carico degli istanti la somma di circa 300,00 euro a titolo di “spese personali”. Si trattava, in concreto, di oneri dovuti per spese postali e compensi dell’amministratore che si assumevano dovuti vista la fitta corrispondenza tra i condòmini attori del giudizio e l’amministratore che aveva più volte interloquito (anche a mezzo lettere raccomandate) per chiarimenti sulla gestione ordinaria e straordinaria.
Il Giudice di Pace adito rigettava la domanda di nullità/annullabilità della delibera e gli attori proponevano appello fondando il relativo atto introduttivo sul rilievo che non rientrerebbe nelle attribuzioni dell’assemblea condominiale il potere di addebitare le predette spese individuali e che, trattandosi di spese dovute per diverse comunicazioni tra essi ed il mandatario della compagine condominiale (e dunque tra condominio e condòmini), i predetti importi avrebbero dovuti essere posti carico del condominio con ripartizione per tabella di proprietà.
Il Tribunale di Bologna, giudice d’appello, accoglieva le doglianze degli appellanti e dichiarava, in riforma della sentenza di prime cure, la nullità della delibera impugnata nella parte in cui si approvava il rendiconto, limitatamente al predetto addebito a titolo di spese personali e, per l’effetto compensava le spese di lite in quanto, a dire del Tribunale “il potere ripartitorio dell’assemblea non poteva andare oltre quanto disposto dalla legge”. Appariva chiaro, dunque, il riferimento al solo primo comma dell’art. 1123 c.c. nella parte in cui dispone che “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno…”.
Ciò nonostante, i ricorrenti proponevano ricorso per cassazione per il governo delle spese processuali e vi resisteva il condominio con ricorso incidentale.
Il condominio, ricorrente incidentale, a questo punto, sosteneva la violazione di un noto precedente in materia. Trattasi del leading-case di cui alla sentenza n. 9263 del 17 settembre 1998 che affermò il principio in forza del quale, nell’ambito delle predette spese individuali, ovvero delle spese per servizi comuni destinati ad essere fruiti in misura diversa dai singoli condòmini, andava si considerato l’art. 1123 c.c. ma anche sotto il profilo del secondo comma. Tale norma dispone, come è noto, che in caso di beni destinati a servire i condòmini in misura diversa, le spese vadano ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne (criterio dell’utilizzazione differenziata).
La ratio di tale orientamento risiedeva nella volontà di evitare un indebito arricchimento a favore di alcuni condòmini ( i ricorrenti) ed a discapito di (tutti gli) altri.
La Corte di Cassazione, a questo punto, elabora il seguente principio di diritto di notevole interesse per gli addetti ai lavori, e cassa con rinvio la sentenza di seconde cure: “In materia di condominio negli edifici, gli oneri riguardanti le spese effettuate per fini individuali, come quelle postali e i compensi dovuti all’amministratore in dipendenza di comunicazioni e chiarimenti su comunicazioni ordinarie e straordinarie, sono inquadrabili nell’ambito dell’art. 1123, comma 2, c.c., purché sia concretamente valutata la natura dell’attività resa al singolo condomino e la conseguente addebitabilità individuale o meno ad esso dei relativi costi”.
In particolare, è dato leggere nella parte motiva dell’arresto in commento, che l’applicazione del secondo comma dell’art. 1123 c.c. è possibile nei casi in cui un servizio comune è destinato ad essere fruito in maniera diversa.
In altri termini, per situazioni come quelle in commento, pur non ritenendosi applicabile il principio generale di riparto per millesimi di proprietà, non sembrano suscettibili di essere regolamentate de plano dal criterio dell’utilizzazione differenziata (art. 1123, II comma c.c.) e vanno necessariamente valutate caso per caso con apprezzamento di fatto che è estraneo al giudizio di legittimità.
Ed infatti, a ben vedere, non si trattava di casi come quelli riportati nel precedente del 1998 inerenti le spese del servizio di riscaldamento.
Per spese individuali, dunque, si considerano le spese postali necessarie per numerose comunicazioni tra l’amministratore ed i singoli condòmini ovvero quelle per la richiesta di invio documentazione contabile e condominiale che può essere richiesta dai condòmini (e, dopo la riforma, in forza del disposto di cui all’art. 1130-bis c.c., anche dai titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari). Ancora, si pensi alle spese necessarie per i compensi del legale del condominio, incaricato dall’amministratore, nell’esercizio delle sue attribuzioni, di costituire in mora e/o diffidare il condomino moroso.
Ebbene, proprio in riferimento alle suddette lettere di formale messa in mora nei confronti dei condòmini in ritardo con i pagamenti degli oneri condominiali ordinari e straordinari, và sempre più affermandosi la prassi di addebitare gli onorari del legale incaricato direttamente al condomino moroso come maggiorazione dell’importo dovuto al condominio.
La questione non è assolutamente risolvibile in maniera semplicistica, poiché, a dire della Cassazione, una eventuale delibera che procedesse in tal senso sarebbe radicalmente nulla in quanto è solo con il provvedimento di condanna alle spese liquidate dal giudice nei confronti del condomino moroso che si ha “titolo” per un riparto che non segua gli ordinari criteri (Cass. Civ. Sez VI ordinanza n. 751 del 18 gennaio 2016).
L’eco di tale orientamento ha raggiunto anche la giurisprudenza di merito.
In diverse occasioni, infatti, è stata dichiarata la nullità della delibera che, in mancanza di una sentenza che ne sanciva la soccombenza, poneva a carico del condomino “virtualmente soccombente” i compensi per le lettere di formale messa in mora redatte dall’avvocato del condominio (Trib. Belluno, sentenza n. 3189 dell’ 11 marzo 2016).
L’ordinamento, infatti, non riconosce all’assemblea alcun potere di autotutela e, pertanto, i costi “individuali” discendenti da comportamenti asseritamente illegittimi da parte di un condomino possono essere addebitati allo stesso solo in presenza di un provvedimento giudiziale (Trib. Milano, sentenza n. 10247 dell’ 11 settembre 2015).
Avuto riguardo esclusivamente a tale questione, è da tener presente che resta sempre fermo l’obbligo per l’amministratore di curare la riscossione degli oneri condominiali, con eventuale dispensa dal provvedervi che può derivare esclusivamente da una decisione in tal senso dell’assemblea (art. 1129, 9° comma c.c.). Tutti questi problemi possono essere comunque superati facendo ricorso al procedimento per ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art 63 disp. att. c.c..
Gli orientamenti menzionati, dunque, propendono per ritenere che le predette spese possano essere considerate alla stregua di “comunicazioni” tra la compagine tutta ed il singolo condomino e vadano pertanto ripartite per tabella di proprietà.
Non così, ovviamente, per i diversi casi in cui è la legge che prevede l’addebito al condomino richiedente.
Basti pensare all’art. 1130 n. 6) c.c. nella parte in cui prevede che l’amministratore ha l’obbligo di curare la tenta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei proprietari, dei titolari di diritti reali o personali di godimento, i dati catastali degli immobili in condominio e ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio.
Ora, premesso che la predetta norma obbliga i condòmini a “notificare” all’amministratore ogni variazione dei dati entro sessanta giorni, in caso di inerzia è espressamente previsto che l’amministratore richieda con raccomandata le informazioni necessarie e che, decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, il mandatario della compagine ben può acquisire autonomamente le informazioni addebitandone il costo ai responsabili.
Discorso analogo vale per le richieste di prendere visione della documentazione condominiale, ex combinato disposto di cui agli artt. 1129, comma 2 c.c. e 1130-bis c.c. che sanciscono il diritto di ciascun condomino o titolare di diritto reale o personale di godimento di poter prendere gratuitamente visione ed ottenere, a proprie spese, copia della documentazione richiesta firmata dall’amministratore.
In forza dell’art. 69 disp. att. c.c. i valori espressi nelle tabelle millesimali possono essere rettificati o modificati all’unanimità. A tale regola fa eccezione l’ipotesi in cui per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superifici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.