[A cura di: dott.ssa Silvia Zanetta] Con una recentissima sentenza, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ridimensionato la soggettività giuridica del condominio, ammettendo la legittimità dei singoli condòmini di “potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, e di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore” (cfr. Cassazione Civile Sez. Unite, 18 aprile 2019, n. 10934 – presidente Petitti, relatore D’Ascola).
Secondo le Sezioni Unite, la qualificazione del condominio come un “centro di imputazione” di interessi, di diritti e doveri, a cui corrisponde una piena capacità processuale nelle controversie aventi ad oggetto un diritto comune, e l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non privano i singoli condòmini della legittimità ad agire a tutela delle parti comuni.
Si noti che non viene meno il potere di rappresentanza dell’amministratore di cui all’art. 1131 c.c.: i singoli condòmini possono agire parallelamente all’amministratore a difesa dei propri diritti.
La ratio di questa legittimazione trova fondamento nella natura degli interessi in gioco nelle controversie aventi ad oggetto i diritti dei singoli sulle parti comuni o sui propri beni facenti parte del condominio. Difatti, in tali cause si discute su diritti reali e in molteplici realtà condominiali non è imposta la nomina dell’amministratore. Inoltre, nell’assetto normativo non si rinviene una netta scelta del legislatore circa la legittimazione esclusiva ed unica del condominio, e quindi dell’amministratore, in tema di difesa delle parti comuni.
Il caso oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite ha avuto origine nel luglio 2004 quando il Condominio Alfa chiamava in giudizio la condomina Beta, proprietaria degli ultimi tre piani dell’edificio, al fine di chiedere la riduzione in pristino delle opere realizzate in violazione dell’art. 3 del regolamento condominiale, nonché la tutela della servitù di passaggio in favore di parti comuni, esercitata mediante una scala esterna corrente tra il quarto ed il quinto piano.
Il Tribunale accoglieva integralmente le domande del condominio, in quanto il regolamento condominiale vietava le opere che avevano inciso sulle facciate, sui prospetti e sull’estetica del fabbricato a prescindere dalla lesione del decoro architettonico. Inoltre, la convenuta, in violazione della servitù esistente in favore del condomino, aveva illecitamente rimosso la scala esterna che dal quarto piano conduceva al locale pulegge di rinvio dell’ascensore e al terrazzo di copertura del super attico, realizzando una scala interna tra quarto e quinto piano internamente all’abitazione, così rendendo più difficoltoso l’esercizio della servitù, dovendo i condòmini accedere all’abitazione per raggiungere il terrazzo.
La sentenza di primo grado veniva impugnata dalla convenuta innanzi alla Corte di Appello di Roma.
I giudici di secondo grado avevano, da una parte, confermato che l’art. 3 del regolamento condominiale precludeva ogni modificata alle facciate, prospetti dell’edificio condominiale e dall’altra, accolto l’appello della condomina Beta in merito al difetto di prova di un aggravamento della servitù conseguente allo spostamento all’interno dell’appartamento della scala di accesso al piano quinto.
Avverso la sentenza della Corte di Appello, la condomina Beta proponeva ricorso con due motivi, cui il Condominio ha resistito con controricorso.
La condomina Gamma proponeva ricorso incidentale, articolato in due motivi. Beta si difendeva con controricorso al ricorso incidentale.
La causa, trattata con rito camerale davanti alla Sesta sezione veniva rinviata alla pubblica udienza davanti alla Seconda sezione e successivamente è stata rimessa, con ordinanza del novembre 2017, al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite.
L’ordinanza poneva un chiaro quesito: è ammissibile il diritto della condomina Gamma, che non aveva svolto difese nei gradi di merito, di interporre ricorso incidentale tardivo volto a far rimuovere l’opera in quanto contraria al Regolamento condominiale?
L’ordinanza di rimessione evidenziava che in giurisprudenza la risposta è controversa.
Secondo un insegnamento tradizionale “l’impugnazione, da parte del singolo partecipante, della sentenza di condanna emessa nei confronti dell’intero condominio, sull’assunto che il diritto di ogni partecipante al condominio ha per oggetto le cose comuni nella loro interezza, non rilevando, in contrario, la circostanza della mancata impugnazione da parte dell’amministratore, senza alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti (o non ricorrenti), nè intervenienti, e senza che ciò determini il passaggio in giudicato della sentenza di primo (o di secondo) grado nei confronti di questi ultimi”.
Le perplessità della Seconda sezione sono state indotte dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 19663/2014, con la quale si è stabilito che la legittimazione ad agire per l’equa riparazione spetta esclusivamente al condominio, in persona dell’amministratore, autorizzato dall’assemblea dei condòmini. A tale conclusione, le Sezioni Unite del 2014 giungevano attraverso una puntuale analisi del rapporto tra diritto all’indennizzo ex L. n. 89 del 2001 e formale assunzione della qualità di parte processuale nel giudizio presupposto, affermando che in assenza di quest’ultima non sorge il diritto del condomino a pretendere “il diritto alla equa riparazione per la durata irragionevole di detto giudizio”.
Secondo l’indirizzo tradizionale, l’assenza di personalità giuridica del condominio e la sua limitata facoltà di agire e resistere in giudizio tramite l’amministratore nell’ambito dei poteri conferitigli dalla legge e dall’assemblea erano elementi da valorizzare al fine di attribuire ai singoli condòmini la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti comuni e di quelli personali.
Coerentemente a tale impostazione, anche la giurisprudenza successiva continuava a ritenere che nelle controversie aventi ad oggetto un diritto comune, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condòmini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, né di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore (cfr, Cass. 29748/17; n. 1208 del 18/01/2017; n. 26557 del 09/11/2017, Rv. 646073; n. 22856/17; n. 4436/2017; n. 16562 del 06/08/2015; 10679/15).
A tale conclusione giungevano anche le Sezioni Unite nella sentenza del 18 aprile 2019, argomentando tuttavia che “sebbene la riflessione corrente e anche la massimazione delle sentenze più rilevanti in argomento giungano all’affermazione dei poteri processuali dei singoli condòmini muovendo dalla formula descrittiva di successo secondo cui il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, e dall’analisi dei poteri dell’organo rappresentativo unitario (amministratore), si può osservare che questi rilievi valgono solo ad escludere che da queste fonti (natura del condominio e poteri dell’amministratore) derivino limiti alle facoltà dei singoli.”.
Ne consegue che il singolo condomino ha il “potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, e di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore”.