Il Consiglio di Stato, con sentenza 3943 del 14 agosto 2015 ha stabilito che è consentito proseguire i lavori su uno stabile durante il periodo d’attesa che va richiesta di condono e la pronuncia dell’Amministrazione comunale. Unica condizione è che l’immobile non venga stravolto dalle opere realizzate nell’arco di tempo, consentendo al Comune di valutare l’istanza di condono presentata preliminarmente.
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CONSIGLIO DI STATO
Sez. VI, Sent. n. 3943
del 14.8.2015
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FATTO e DIRITTO
1.– Le parti indicate in epigrafe, in data 18 gennaio 1995, hanno presentato al Comune di Afragola cinque domande di condono edilizio, ai sensi della legge 23 dicembre 2004, n. 724 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica), tutte riferite al medesimo fabbricato, sito alla (Omissis) ed aventi ad oggetto le seguenti opere: a) piano terra destinato a locali commerciali e ad abitazione; b) primo e secondo piano composto, ciascuno, da due appartamenti per civile abitazione.
L’amministrazione comunale ha rigettato le suddette istanze con provvedimento del 28 febbraio 2011, prot. n. 822, rilevando, in esito agli accertamenti istruttori disposti, la sussistenza di uno stato di fatto diverso da quello riferito nelle suddette istanze, conseguente all’esecuzione di opere ulteriori, descritte nello stesso provvedimento.
L’amministrazione comunale, con ordinanza del 12 aprile 2011, prot. n. 84084, ha, conseguentemente, disposto la demolizione dei manufatti ritenuti abusivi.
2.– Le parti interessate hanno impugnato detto provvedimento innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, facendo valere specifici vizi degli atti, riproposti in sede di appello.
3.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 22 marzo 2013, n. 1616, ha rigettato il ricorso, rilevando come gli interventi aggiuntivi eseguiti, da valutare unitariamente, abbiano determinato «un radicale stravolgimento del fabbricato oggetto del condono».
4.– I ricorrenti di primo grado hanno proposto appello deducendo come: i) sarebbe stato necessario valutare singolarmente le domande presentate; ii) le singole opere realizzate non hanno la rilevanza indicata nella sentenza impugnata e non avrebbero realizzato alcun aumento di volumetria; iii) nessuna norma di legge vieta la realizzazione di interventi successivamente alla proposizione della domanda di condono; iv) sarebbe stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento.
4.1.– Si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto dell’appello.
4.2.– La Sezione, con ordinanza 14 gennaio 2015, n. 8794, ha accolto la domanda cautelare e sospeso gli effetti della sentenza impugnata.
5.– La causa è stata decisa all’esito della discussione che si è tenuta all’udienza pubblica del 16 giugno 2015.
6.– L’appello è fondato nei sensi di seguito indicati.
7.– La questione posta all’esame della Sezione attiene alla incidenza di interventi realizzati su immobili successivamente alla presentazione di domande di condono edilizio. Si tratta di stabilire se tali interventi possano o meno giustificare il rigetto della domanda.
Il legislatore, all’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), ha previsto che: «decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità» le opere oggetto della domanda. A tal fine, prosegue la norma, «l’interessato notifica al Comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione».
Questa norma autorizza esclusivamente, quando sussistono i presupposti da essa indicati, la realizzazione di lavori di completamento con assunzione del rischio da parte di chi li effettua, nel caso di rigetto della domanda di condono.
La disposizione riportata non si occupa della diversa fattispecie in cui il soggetto che ha presentato la domanda di condono abbia realizzato interventi non di rifinitura ma nuovi e diversi rispetto a quelli oggetto della richiesta di sanatoria.
La Sezione ritiene che, in mancanza di una espressa norma di divieto, la realizzazione di detti interventi non può da sola giustificare il diniego del condono, occorrendo verificare se essi hanno inciso in modo radicale sui beni oggetto del condono impedendo all’amministrazione di valutare, per la diversità degli immobili, la sussistenza dei presupposti per la concessione del condono.
La Sezione rileva, inoltre, che, se si ritiene possibile tale valutazione, in ogni caso l’autorità pubblica dovrà esercitare i propri poteri repressivi applicando le sanzioni previste dalla legge in relazione alla effettuazione degli interventi successivi.
In definitiva, le opere realizzate dopo la presentazione della domanda di condono possono condurre, ricorrendo i presupposti indicati, al rigetto della domanda stessa ovvero all’applicazione delle sanzioni previste in caso di accertata “autonoma” abusività.
8.– Nella fattispecie in esame, dal provvedimento impugnato, risulta quanto segue.
In relazione alla domanda di condono presentata da E.A. con riferimento al piano terra-rialzato è stato riscontrata la realizzazione di: una cucina sull’area cortilizia del fabbricato; un vano, in adiacenza alla scala, avente una superficie non residenziale di mq 26,41; due soppalchi; «una superficie utile di mq 130 circa oltre balconi per una superficie non residenziale di mq 17 circa».
In relazione alle domande di condono presentate da S.G e S.M con riferimento al primo piano, è stata riscontrata la suddivisione della superficie tra tre appartamenti e non tra due come era indicato nella domanda di condono. Inoltre, è stato riscontrato un «incremento di superficie utile» di circa mq 13,35 ottenuti «convertendo porzioni di balconi in superficie utile».
In relazione alle domande di condono presentate da S.M. e M.M. con riferimento al secondo piano, sono state svolte analoghe considerazioni a quelle effettuate con riguardo al primo piano.
Da quanto esposto non risulta che gli interventi successivi, singolarmente considerati, abbiano inciso in maniera così radicale sugli immobili oggetto delle domande di condono da rendere oggettivamente impossibile il loro esame.
In relazione alla prima domanda di condono, gli interventi abusivi successivi (ad eccezione dei mq 130 di cui non è stata dimostrata la mancata inclusione nella domanda stessa) sono bene individuati e suscettibili di essere oggetto di autonomo intervento sanzionatorio.
In relazione alle altre due domande indicate, risulta anche in questo caso ben identificato un aumento di superficie per “trasformazione” del balcone ed una ripartizione delle superfici tra tre e non tra due appartamenti, suscettibili anch’esse di divenire oggetto di un autonomo potere sanzionatorio.
In definitiva, dagli atti del giudizio risulta che nel periodo temporale, pari a diciotto anni, che va dalla data di presentazione delle domande di condono a quello dell’adozione del provvedimento di risposta da parte dell’amministrazione, le parti hanno realizzato altri interventi abusivi. Tali opere, per la loro autonoma identificazione, non risulta che possano impedire una valutazione di quelle originariamente oggetto della domanda di condono. L’amministrazione comunale dovrà, pertanto, da un lato, verificare se sussistono i presupposti per il condono delle opere “originariamente” realizzate, dall’altro, accertare la natura degli interventi successivi posti in essere dagli appellanti ed applicare in relazione ad essi le sanzioni demolitorie o pecuniarie previste dalla legge.
9.– L’accoglimento dei motivi indicati esime il Collegio dall’esaminare le altre censure prospettate.
10.– Le motivazioni poste a base della sentenza, che consentono un riesercizio del potere pubblico, giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza 22 marzo 2013, n. 1616, del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti 28 febbraio 2011, prot. n. 822 e 12 aprile 2011, prot. n. 84084, adottati dal Comune di Afragola;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati (Omissis).