Con il contratto di locazione ancora in essere, il proprietario entra nella stanza affittata all’inquilina, la svuota, e depone le sue cose nell’androne del palazzo. Aldilà della prescrizione del reato, avvenuta nel caso in questione, l’azione configura violazione di domicilio. Di seguito un estratto della sentenza di Cassazione numero 2710/2017.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 2710/2017
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Perugia ha parzialmente riformato la decisione di primo grado nei confronti dell’imputato, per il delitto di violazione di domicilio, concedendogli il beneficio della non menzione di cui all’art. 175 c.p. e riducendo la liquidazione del danno alla costituita parte civile; fatto compiuto il 28 12.2007.
1. Avverso la decisione ha proposto ricorso l’imputato, che, nel primo motivo, ha censurato l’errata applicazione della norma di cui all’art 192 c.p.p., poiché la Corte aveva confermato la condanna in base alla sola deposizione della teste amministratrice del condominio, che aveva visto gli scatoloni con gli oggetti di proprietà della ragazza nell’androne del palazzo ma non aveva riferito nulla circa la persona che ve li aveva portati.
1.2. Tramite il secondo motivo è stata rappresentata l’errata applicazione dell’art. 614 c.p. in relazione all’art. 43 c.p.. La sentenza aveva omesso di considerare la mancanza dell’elemento psicologico del delitto, poiché l’imputato mai aveva espresso in modo chiaro la volontà di estromettere la giovane dalla stanza che aveva preso in locazione, anzi era stata la donna a riferirgli di volersene andare.
(omissis)
1.4. Tramite il quarto motivo è stata dedotta l’errata applicazione degli artt. 62 bis c.p. e 133 c.p., per il mancato riconoscimento delle circostanze generiche, non avendo tenuto conto la sentenza del danno lieve cagionato alla persona offesa.
1.5. Col quinto motivo è stata criticata la sentenza per errata applicazione degli artt. 535 e 538 c.p.p. in relazione alla condanna alle spese ed al risarcimento del danno; i Giudici avevano liquidato il danno in via equitativa in assenza di ogni prova circa il suo verificarsi.
1.6. Il ricorrente ha chiesto, infine, la sospensione dell’esecuzione della condanna civile, dalla quale gli deriverebbe un grave pregiudizio ed ha rappresentato la prescrizione del reato, compiutasi il 28.6.2015.
In data 18.6.2016 è pervenuta istanza di rinvio per motivi di salute da parte dell’avvocato R., difensore dell’imputato
All’odierna udienza il PG ha concluso per l’inammissibilità e l’avvocato G., di parte civile, si è associato ed ha depositato nota spese e conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente deve darsi atto che la richiesta di rinvio per impedimento del difensore dell’imputato è stata respinta per le ragioni dettate a verbale.
1. I primi due motivi di ricorso risultano ripetitivi di quelli di appello e non si sono confrontati con la chiara motivazione resa dai Giudici territoriali. Nel testo del provvedimento impugnato, infatti, risulta esplicitamente annotato che l’amministratrice del condominio aveva visto l’imputato portare nell’androne del palazzo gli scatoloni contenenti gli oggetti della giovane locataria. Per quanto attiene la dedotta mancanza dell’elemento psicologico del reato, tale tesi è stata ampiamente confutata, tramite i riferimenti al pagamento fatto dalla persona offesa del canone relativo al mese di Dicembre, quando era avvenuta la violazione di domicilio, al fatto che l’imputato non era stato autorizzato ad entrare nella stanza occupata dalla donna in sua assenza ed alla presenza degli oggetti, poi sfrattati da D.A., che vi erano stati lasciati da D.V. allo scopo di custodirli. Da tale ricostruzione in fatto la Corte ha dedotto, con argomentazioni ineccepibili sul piano logico, che l’imputato avesse avuto proprio l’intenzione di entrare nella camera locata dalla sua inquilina e contro la sua chiara volontà.
(omissis)
3. La doglianza per la negatoria delle circostanze attenuanti generiche, oggetto del quarto motivo di ricorso, non ha preso atto che la Corte umbra aveva segnalato che dal processo erano emersi una pluralità di comportamenti tenuti dall’imputato valutabili negativamente, quali l’approfittamento dell’assenza dell’inquilina, la noncuranza del legittimo rapporto di locazione ancora in essere tra le parti, il disinteresse per la sorte degli oggetti che la giovane conservava all’interno della stanza; a fronte di queste condotte la condizione di incensurato non era ritenuta da sola sufficiente al riconoscimento delle attenuanti ex art. 62 bis c.p.. Tale statuizione non solo risulta congruamente motivata ma è pienamente legittima in quanto in linea con la norma di cui all’art. 62 bis comma tre c.p..
4. Il quinto motivo è destituito di fondamento, oltre che ripetitivo di quello di appello, poiché la sentenza impugnata ha spiegato – con adeguata motivazione incensurabile in questa sede – i criteri di liquidazione del danno morale ed economico, facendo riferimento alle necessità derivanti alla parte civile dall’illecita azione dell’imputato, quali rimettere a posto le cose, verificare la loro integrità, trovare una diversa sistemazione per sé e per i suoi oggetti.
(omissis)
5. Quanto alla dedotta prescrizione deve osservarsi che la data del commesso reato è stata corretta, all’udienza del 29.10.2010, in quella del 28.12.2006, come del resto è desumibile anche dalla sequenza temporale degli eventi oggetto di processo descritta alla pagina tre della sentenza, da cui risulta che il contratto di locazione tra imputato e parte civile fu stipulato in Agosto 2006. Pertanto il termine prescrizionale, tenuto conto del periodo di sospensione pari a 61 giorni, si è compiuto il 30.8.2014, cioè prima della sentenza d’Appello.
6.1. In proposito occorre ricordare la recente decisione delle SU, secondo la quale è possibile rilevare la prescrizione del reato maturata prima della sentenza d’Appello se dedotta con i motivi di ricorso, come avvenuto nel caso in esame. Sez. U., Sentenza n. 12602 del 17/12/2015: L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma secondo, cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata, né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso. (omissis).
Alla luce del principio e delle considerazioni che precedono la sentenza deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione. Il ricorso deve essere rigettato agli effetti civili e, per il principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile nella presente sede, che sono liquidate in euro 1800, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla refusione delle spese di parte civile che liquida in euro 1800, oltre accessori di legge.