La finestra realizzata sulla vetrata di un muro divisorio tra due
fondi è legittima o meno? Dipende se integri veduta o luce. Ma come discernere
tra le due diverse ipotesi? Occorre attenersi al principio dell’altezza normale
e non a quello dell’altezza media di una persona che, oltre a guardarvi
attraverso, voglia affacciarvisi. A pronunciarsi sulla singolare vicenda, la
Corte di Cassazione, con la sentenza 13412 del 30 giugno 2015, di cui
riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 30.6.2015, n. 13412
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 23-10-1996 C. conveniva, dinanzi
al Tribunale di Lucca, G., per sentirlo condannare a chiudere la finestra dal
medesimo aperta nella vetrata installata nel muro divisorio dei due fondi
confinanti, di rispettiva proprietà.
Nel costituirsi, il G. resisteva alla domanda, deducendo che la
situazione lamentata era tale da tempo immemorabile.
Con sentenza in data 27-6-1995 il Tribunale adito rigettava la
domanda, ritenendo che il convenuto aveva acquistato per usucapione la servitù
di veduta, essendo la configurazione dei luoghi tale sin dal 1964.
Con sentenza in data 27-4-2000 la Corte di Appello di Firenze
rigettava il gravame proposto avverso tale decisione dall’attore, rilevando, in
particolare, che la finestra in questione costituiva veduta e non luce, in
quanto l’altezza del parapetto consentiva a qualunque persona di statura
normale di inspicere sul fondo altrui, e che dalle risultanze della
consulenza tecnica d’ufficio e delle deposizioni testimoniali si evinceva che
l’apertura datava dal 1964-1965.
Avverso la predetta pronuncia proponeva ricorso per cassazione il C..
Con sentenza in data 4-8-2004 la Corte di Cassazione riteneva fondato
il primo motivo di ricorso, rilevando che ai fini della sussistenza di una
veduta è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello
della prospectio, in relazione al quale, in violazione dell’art. 901
c.c., nulla era stato detto nella sentenza impugnata. Il giudice di
legittimità, pertanto, cassava tale sentenza con rinvio ad altra Sezione della
Corte di Appello di Firenze, ai fini della valutazione anche della possibilità
di affaccio, invitando altresì il giudice del rinvio ad esaminare la questione
afferente al parametro utilizzato dell’altezza media, sul quale pure si era
appuntata la critica del ricorrente.
A seguito della riassunzione della causa, con sentenza in data
18-11-2008 la Corte di Appello di Firenze, pronunciando quale giudice di
rinvio, rigettava l’appello, rilevando che l’apertura in oggetto, posta ad
un’altezza di cm. 155 dal pavimento, consentiva ad una persona di media altezza
non soltanto di vedere al di là di essa, ma anche di affacciarsi e di guardare
sia di fronte che lateralmente sul fondo del vicino, nella stessa misura in cui
lo consentiva il parapetto che in passato delimitava il terrazzo
successivamente chiuso dal G. per realizzare un ulteriore volume. Di
conseguenza, secondo la Corte territoriale, rimaneva confermata la validità
dell’impianto motivazionale che aveva indotto il giudice di primo grado ad
affermare l’intervenuta usucapione.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso C., sulla base
di quattro motivi.
G. ha resistito con controricorso, e in prossimità dell’udienza ha
depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli
artt. 901 e 902 c.c.. Deduce che il giudice del rinvio, ignorando la contraria
giurisprudenza di legittimità e lo specifico invito rivoltogli dalla Corte di
Cassazione a tener conto delle critiche mosse dal ricorrente in ordine al
criterio dell’altezza media utilizzato nella sentenza cassata, per stabilire se
il parapetto per cui è causa può consentire o meno il prospicere in alienum,
senza l’ausilio di mezzi artificiali, ha erroneamente applicato il parametro
dell’altezza media …. Sostiene che, applicando il criterio di normalità, invece
di quello di medietà, non può che giungersi alla conclusione secondo cui un
parapetto alto m. 1,55 + 2 non consente ad una persona normale di poter prospicere
in alienum.
Rileva, pertanto, che nella specie l’apertura deve essere considerata
come luce e non veduta e, in quanto luce irregolare, è soggetta all’azione di
cui all’art. 902 ultimo comma c.c..
L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione
temporis al ricorso in esame: “Se nella distinzione tra luce e veduta ex
artt. 900-902 c.c., tenuto conto che i requisiti per l’esistenza di una veduta
sono non soltanto la inspectio ma la prospectio, la possibilità
di affacciarsi sul fondo del vicino deve essere determinata con riferimento a
una persona di altezza normale e non di statura media, posto che il concetto di
statura media, essendo indicativo di un unico valore numerico, intermedio fra
una minimo e un massimo, non si identifica con quello di altezza normale che
comprende una serie di valori di diversa entità matematica entro suddetti
limiti”.
2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, anche in relazione all’art. 384
comma 2 c.p.c.. Deduce che la Corte di Appello, nel richiamare apoditticamente
il parametro dell’altezza media, senza preoccuparsi minimamente della
problematica segnalata dalla Corte di Cassazione in ordine alla distinzione tra
il parametro dell’altezza media e quello dell’altezza normale, ha violato il
principio posto dal citato art. 384 c.p.c., secondo cui il giudice di rinvio
deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla
Corte. Rileva, infatti, che la Suprema Corte, nell’accogliere il primo motivo
di impugnazione del ricorrente e nel ritenere assorbita ogni altra questione,
aveva specificato che il giudice di rinvio avrebbe dovuto “pure …
esaminare” “ogni altra questione afferente al parametro utilizzato”
e cioè “la statura media, su cui la critica pure si appunta”.
Sostiene, inoltre, che, poiché i requisiti indispensabili per poter
affermare l’usucapione devono sussistere sin dall’inizio, e cioè da almeno
venti anni prima della introduzione del giudizio, non ha senso logico né
giuridico sostenere che “una persona di media altezza … oggi non è più quella
di un tempo, come gli studi statistici del dopoguerra hanno posto in rilievo”,
poiché non è l’altezza di oggi quella che rileva, ma quella del tempo
trascorso.
Il quesito posto è il seguente: “Se la motivazione dell’affermazione
dell’usucapione di un diritto di servitù di veduta possa essere fondata su un
dato di fatto venuto ad esistenza in data successiva all’inizio del decorso dei
venti anni e se non debba ritenersi sussistere il vizio di motivazione là dove
la sentenza non esamina ogni altra questione afferente al parametro utilizzato,
come disposto dalla Corte di Cassazione, nel rispetto dell’art. 384 II comma
c.p.c.”.
3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione
dell’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., in relazione ai principi che disciplinano
l’onere probatorio. Deduce che la Corte di Appello, nell’affermare che
l’attuale apertura consente di vedere “nella stessa misura in cui lo
consentiva il parapetto che delimitava il terrazzo che è stato successivamente
chiuso dal G. per realizzare un ulteriore volume”, ha affermato un fatto
che il convenuto non ha mai provato né chiesto di provare. Sostiene, infatti,
che il G. ha chiesto di provare a mezzo testi l’esistenza di una parete vetrata
da un tempo sufficiente ad acquistare per usucapione la servitù di veduta, ma
non ha mai asserito né, tanto meno, chiesto di provare che, prima della
installazione della parete vetrata – ove è stata realizzata l’apertura oggetto
di causa – si potesse esercitare in qualche modo una veduta.
4) Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art.
360 n. 3 e 5 c.p.c., in relazione agli artt. 1061, 900-902 c.c.. Deduce che il
giudice di appello, nel far decorrere il termine utile per l’usucapione dalla
realizzazione (non dimostrata) del solo parapetto della terrazza, a suo dire
posto già nel 1965 all’altezza di m. 1,55, non ha considerato che la presenza
di un parapetto di quell’altezza, dal quale nessuno, nel 1963-1964, poteva inspicere
né, tanto meno, prospicere, costituiva elemento inidoneo ai fini
dell’usucapione, perché privo del requisito dell’apparenza e della
inequivocità.
A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito: “Se il
requisito dell’apparenza, che condiziona l’usucapibilità di una servitù, non
consiste soltanto nell’esistenza di segni visibili e di opere permanenti, ma
richiede altresì che queste ultime, come mezzo necessario all’esercizio della
servitù medesima, siano in pari tempo un indice non equivoco del peso imposto
al fondo servente, in modo da fondare la presunzione che il proprietario di
questo ne sia a conoscenza e se non sia indispensabile che la sussistenza o
meno di quei requisiti sia idoneamente motivata”.
5) I primi due motivi, che per ragioni di connessione possono essere
trattati congiuntamente, appaiono fondati, nei limiti di seguito precisati.
La Corte di Cassazione, con la pronuncia resa in data 4-8-2004, ha
cassato con rinvio la sentenza del 27-4-2000 della Corte di Appello di Firenze,
osservando che ai fini della sussistenza di una veduta è necessario, oltre al
requisito della inspectio, anche quello della prospectio, dovendo
l’apertura consentire non solo di guardare frontalmente, ma anche di
affacciarsi, e quindi di guardare anche obliquamente e lateralmente, in modo da
assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale; laddove nella
sentenza impugnata, mentre si sosteneva che qualunque persona di statura media
è in grado di inspicere sul fondo altrui da un parapetto alto 155 cm.,
nulla si diceva riguardo alla prospectio, e cioè all’affaccio. Il
giudice di legittimità, di conseguenza, nel rilevare che tale omissione integrava
la violazione, ai fini della distinzione tra luci e vedute, dell’art. 901 c.c.,
ha disposto che la situazione venisse nuovamente presa in esame alla luce
dell’esposto principio di diritto, affinché fosse valutata anche la possibilità
di affaccio; con la precisazione che il giudice di rinvio avrebbe dovuto “pure
… esaminare” la “questione afferente al parametro utilizzato”, e
cioè “la statura media, su cui la critica pure si appunta”.
Così statuendo, il giudice di legittimità ha chiaramente invitato il
giudice di rinvio ad attenersi, nella valutazione del requisito della
prospectio, al criterio seguito dalla giurisprudenza prevalente, secondo
cui la possibilità di affacciarsi sul fondo del vicino deve essere determinata
con riferimento a una persona di altezza normale e non di statura media, posto
che il concetto di statura media, essendo indicativo di un unico valore
numerico, intermedio fra un minimo e un massimo, non si identifica con quello
di altezza normale, che comprende una serie di valori di diversa entità
matematica entro i suddetti limiti (Cass. 5-11-2012 n. 18910; Cass. 17-11-2003
n. 17343; Cass. 23-2-1983 n. 1382).
Il giudice di rinvio, senza recepire l’effettiva portata del decisum
e discostandosi dal richiamato indirizzo giurisprudenziale, nel valutare se
la finestra realizzata dal G. consentisse la possibilità non soltanto di
inspicere, ma anche di prospicere sul fondo dell’attore, ha ancora
una volta utilizzato il parametro della persona di altezza “media”, omettendo
ogni indagine circa la possibilità di affaccio da parte di una persona di
altezza “normale”.
Di conseguenza, in accoglimento dei motivi in esame, s’impone la
cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di
Appello di Firenze, la quale, alla luce dei principi di diritto innanzi
enunciati, dovrà accertare se la finestra oggetto di causa, per le sue
caratteristiche, consenta un comodo affaccio sul fondo dell’attore, con
riferimento a una persona di statura normale e non di statura media.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente
giudizio di legittimità.
Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione i primi due motivi di ricorso;
dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai
motivi accolti e rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Corte di
Appello di Firenze.