IL CORRIDOIO È DI TUTTI I CONDÒMINI O SOLO DI CHI ABITA NEGLI ALLOGGI DA ESSO SERVITI?
- Redazione
- 14 gennaio 2016
Il corridoio all’ultimo piano del condominio è al servizio degli abbaini aventi un’unica proprietaria, ma gli altri condòmini ne rivendicano la comproprietà. Chi ha ragione? È la vicenda sulla quale si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza 138 dell’8 gennaio 2016, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 8.1.2016, n. 138
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 28-1-2003, i condòmini B.B., A.B., C.E., C.P., D.M.M., G.F., N.M.G., P.E. e P.E. convenivano in giudizio M.L., chiedendo che venisse accertata la comproprietà in capo agli attori del corridoio posto al sesto piano dell’immobile di via …, con condanna della convenuta al rilascio di tale bene ed alla remissione in pristino, nonché al risarcimento danni.
Nel costituirsi, la M.L. eccepiva la carenza di legittimazione attiva, sostenendo che il corridoio era comune soltanto alle unità immobiliari site al sesto piano e costituite da n. 4 abbaini nel tempo acquistati tutti dalla convenuta, la quale nel 1993 aveva provveduto a realizzarne la fusione.
Con sentenza in data 27-2-2006 il Tribunale di Milano rigettava la domanda.
Avverso la predetta decisione proponevano appello gli attori.
Con sentenza in data 4-11-2010 la Corte di Appello di Milano, in accoglimento del gravame e in riforma della sentenza impugnata, dichiarava che il corridoio posto al sesto piano dell’immobile sito in Milano, via …, apparteneva al condominio; condannava la convenuta al rilascio di tale bene ed alla riduzione dei luoghi in pristino stato; rigettava la domanda risarcitoria proposta dagli attori.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M.L., sulla base di due motivi.
B.B., A.B. e P.E. hanno resistito con controricorso, mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensive.
In prossimità dell’udienza la ricorrente ha depositato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
(omissis)
3) Con il primo motivo la ricorrente si duole dell’insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce che la Corte di Appello, nel disattendere le conclusioni peritali, da cui era emerso che il corridoio in questione, essendo cieco, non serviva alle unità immobiliari diverse da quelle di proprietà della ricorrente, e nel riportarsi acriticamente alla norma del regolamento condominiale, non ha tenuto conto dello stato dei luoghi risultante dalla consulenza tecnica d’ufficio, dagli atti di acquisto e dalle planimetrie in atti, e non ha considerato che l’’rt. 2 lettera e) del regolamento, annoverante fra le parti comuni “l’’ndrone di porta, i vani ed i corridoi o pianerottoli di accesso ai locali, ai sotterranei e ai sottotetti”, alludeva piuttosto ai pianerottoli di accesso ai sottotetti, come già ritenuto dal Tribunale.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha fornito adeguata giustificazione delle ragioni per le quale ha ritenuto comune all’intero fabbricato il corridoio per cui è causa. Essa ha osservato, in particolare, che negli atti di trasferimento attraverso i quali la M.L. era divenuta proprietaria dei locali siti al sesto piano in sopralzo non figurava il corridoio, il quale, al contrario, era stato sempre indicato come una delle coerenze dei “locali” nel tempo singolarmente venduti, ed era stato sempre espressamente qualificato come “corridoio comune”. Ha altresì rilevato che, per espressa volontà delle parti, come cristallizzata nell’art. 2 del regolamento condominiale (“… sono comuni in modo indivisibile ed inalienabile fra i condòmini .., e dovranno restare indivisi a servizio di tutte le porzioni di proprietà particolare …: l’androne di porta, i vani ed i corridoi o pianerottoli di accesso ai locali e ai sotterranei e ai sottotetti”), concordemente accettato dai vari acquirenti (tra i quali i danti causa della M.L.), i corridoi di accesso ai locali ed ai sottotetti devono essere considerati comuni; con la conseguenza che il corridoio in questione, essendo indiscutibilmente stato, prima delle modifiche apportate dalla M., un corridoio di accesso ai locali e sottotetti del sesto piano rialzato, è da ritenere parte comune dell’intero edificio, e non solo del sesto piano rialzato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione del regolamento contrattuale di condominio si traduce in un apprezzamento di fatto ed è, pertanto, insuscettibile di censure in sede di legittimità, salvo che per violazione dei canoni ermeneutici o per vizi di motivazione (Cass 31-7-2009 n. 17893; Cass. 23-1-2007 n. 1406; Cass. 14-7-2000 n. 9355; Cass. 28-10-1995 n. 11278). Per sottrarsi al sindacato di legittimità, inoltre, l’interpretazione data dal giudice di merito non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una tra quelle possibili e plausibili, sicché, quando di un atto negoziale (o equiparato) sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte che aveva sostenuto la versione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra, laddove l’opzione esegetica prescelta dal giudice di merito sia sorretta da idonea e logica motivazione (Cass. 2-5-2006 n. 10131; Cass. 23-1-2007 n. 1406).
Nel caso in esame, la Corte di Appello, basandosi sulle espressioni testuali dell’art. 2 del regolamento condominiale, ha offerto una lettura plausibile e ragionevole di tale clausola, come tale non sindacabile in questa sede.
E, in realtà, la ricorrente, lungi dal lamentare l’’ventuale violazione dei canoni legali ermeneutici di interpretazione della norma regolamentare, ovvero di evidenziare specifiche lacune o incongruenze logiche del ragionamento seguito dal giudice di merito, con il motivo in esame censura sostanzialmente il risultato dell’operazione interpretativa compiuta dalla Corte territoriale, in contrasto con i rigorosi limiti entro i quali, nel giudizio di legittimità, può essere condotta la verifica della correttezza dell’interpretazione data agli atti negoziali dal giudice di merito.
Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, d’altro canto, il giudice di appello, nel maturare il suo convincimento, ha tenuto conto delle altre emergenze processuali invocate dalla M.L., escludendo di poter desumere elementi contrari alle conclusioni assunte dagli atti di trasferimento attraverso i quali la convenuta è divenuta proprietaria dei locali siti al sesto piano rialzato, dalle planimetrie e dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio. Il tutto sulla base di argomentazioni immuni da vizi logici e, come tali, non censurabili in questa sede, rientrando nei compiti istituzionali del giudice di merito l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove.
4) Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 1123 comma 3 c.p.c. (recte, c.c.), per avere la Corte di Appello ignorato la giurisprudenza formatasi in tema di condominio parziale, configurabile tutte le volte in cui un bene, come nel caso di specie, per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, risulti destinato in modo esclusivo al servizio o al godimento di una sola parte dell’edificio in condominio.
Il motivo è inammissibile, ponendo una questione che non risulta affrontata nella sentenza impugnata e che la ricorrente non ha dedotto di avere specificamente prospettato nei precedenti gradi del giudizio.
Si rammenta, al riguardo, che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (tra le più recenti v. Cass. 30-3-2007 n. 7981; Cass. 9-7-2013 n. 17041).
5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in curo 2.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.