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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. Un. civ., sent. 5.12.2016,
n. 24740
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RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1.V.P. (e altri), il Condominio di Viale … e il Condominio di Viale … hanno impugnato davanti al T.A.R. per il Lazio, chiedendone l’annullamento, gli atti con i quali è stata assentita l’installazione di una stazione radio base per la telefonia mobile, per la Wind Telecomunicazioni.
2. Il T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, con sentenza del 27 gennaio 2014, ha accolto il ricorso e la società Wind Telecomunicazioni, Roma Capitale e la società Ericsson Telecomunicazioni (la quale aveva richiesto l’autorizzazione per conto di Wind) hanno proposto appello, con tre distinti ricorsi, chiedendone la riforma.
Il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del primo giudice, sebbene con diversa motivazione, con la sentenza ora impugnata dalla s.p.a. Ericsson Telecomunicazioni con ricorso ai sensi dell’art. 362 cod. proc. Civ., affidato a due motivi.
Resistono con controricorso gli originari ricorrenti (ad eccezione di …) mentre la s.p.a. Wind Telecomunicazioni ha notificato controricorso adesivo.
Roma Capitale e l’ARPA Lazio non hanno svolto difese.
Nel termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ. le parti hanno depositato memoria.
3. In sintesi, il CdS, considerato che, nella fattispecie, come risultava pacificamente dagli atti, non era stato rispettato il limite di distanza dai siti sensibili (per la presenza, in particolare, nell’area di rispetto, di un plesso scolastico), l’autorizzazione rilasciata alla società Ericsson non sfuggiva ai profili di illegittimità già accertati dal T.A.R. per il Lazio. I predetti limiti erano previsti nel Protocollo d’intesa stipulato dal Comune con i gestori dei concessionari di telefonia mobile.
Infatti, il Comune di Roma, all’esito delle complesse vicende (anche giudiziarie) che erano descritte nelle premesse del Protocollo d’Intesa in questione, e facendo seguito a precedenti protocolli d’intesa già sottoscritti in materia, aveva inteso disciplinare la futura collocazione degli impianti, attraverso la sottoscrizione di un apposito nuovo protocollo d’intesa con le imprese concessionarie di telefonia mobile.
Il Protocollo d’Intesa, fissando una disciplina generale per il rilascio delle autorizzazioni per l’installazione di impianti radio base di telefonia mobile e prevedendo regole generali (ed astratte) di regolamentazione dei (futuri) procedimenti in materia, costituiva, sul piano sostanziale, un atto regolamentare, la cui peculiarità consisteva nel fatto che la volontà normativa si era espressa con l’adesione del Comune ad una procedura partecipata e mediante l’acquisizione del consenso, nel Protocollo d’Intesa, dei gestori dei concessionari di telefonia mobile.
Del resto, della natura regolamentare dava atto lo stesso Protocollo d’Intesa che, a pagina 4, affermava che, per le ragioni indicate nelle premesse, si era «ritenuto …, necessario regolamentare gli impianti di stazioni radio base presenti sul territorio urbano al fine di minimizzare l’esposizione della popolazione e l’impatto ambientale degli stessi».
E ciò risultava coerente con i poteri regolamentari assegnati ai Comuni dall’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001.
4. La società ricorrente con i due motivi sostiene che, attribuire al Protocollo di Intesa la natura di “regolamento in senso sostanziale”, con ciò introducendo nell’ordinamento una nuova norma nei termini anzidetti, concreta una illegittima invasione da parte del giudice del campo riservato al legislatore.
La sentenza impugnata eccede dunque i limiti esterni della giurisdizione attribuita al Consiglio di Stato, risolvendosi in attività solo formalmente interpretativa, ma in realtà propriamente legislativa, come tale estranea alla funzione giurisdizionale attribuita al giudice amministrativo.
Inoltre, decidere quale fosse il significato da attribuire ad un passaggio del Protocollo di Intesa (ossia le ipotesi di applicabilità del limite dei 100 metri, che secondo il Consiglio di Stato si applica anche alle antenne installate su edifici privati), in totale spregio del significato attribuitogli da chi, invero, quel protocollo lo aveva all’epoca redatto e sottoscritto (e cioè il Comune di Roma, secondo cui il limite si applica solo alle ipotesi di installazione su edifici pubblici) significa compiere una illegittima invasione del campo riservato alla pubblica amministrazione.
5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dall’art. 362 cod. proc. civ.
Invero, l’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, espressamente prevede che «I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici».
Già da tempo questa Corte ha rilevato che, con riguardo all’interpretazione da parte del Consiglio di Stato di norme di un regolamento comunale, non è configurabile un eccesso di potere giurisdizionale, sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera della potestà amministrativa del comune, né altra questione di giurisdizione denunciabile con ricorso alle Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione, tenuto conto che quel regolamento integra un atto di normazione secondaria e che gli eventuali errori nell’interpretare le sue disposizioni non investono la sussistenza ed i limiti esterni del potere giurisdizionale di detto giudice amministrativo, ma la legittimità dell’esercizio del potere medesimo nel caso concreto (Sez. U., n. 2414/1987; n. 5687/1979).
Le sezioni unite della Corte di cassazione, dinanzi alle quali siano impugnate decisioni di un giudice speciale per motivi attinenti alla giurisdizione, possono rilevare unicamente l’eventuale superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima, non essendo loro consentito di estendere il proprio sindacato anche al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, in rapporto a quanto denunciato dalle parti; sicché rientrano nei limiti interni della giurisdizione e restano perciò estranei al sindacato di questa corte eventuali errori in iudicando o in procedendo che il ricorrente imputi al giudice amministrativo o al giudice contabile (cfr. di recente, ex multis, Sez. un. n. 9687 del 2013, n. 24149 del 2013 e n. 1518 del 2014; n. 8993 del 2014).
Le censure che nel caso in esame la ricorrente formula nei confronti dell’impugnata sentenza del Consiglio di Stato – indipendentemente da ogni valutazione in ordine alla fondatezza o infondatezza delle argomentazioni su cui riposano – non attengono in realtà al superamento dei limiti esterni della giurisdizione di detto giudice.
Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – vanno poste a carico solidale della ricorrente e della controricorrente adesiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido la ricorrente e la controricorrente adesiva, s.p.a. Wind Telecomunicazioni, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate nella misura di euro 5.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre accessori.