Incontinenza dovuta ad una patologia oppure semplice dispetto da inquadrarsi nell’ambito di una piccola faida tra vicini di casa? Protagonisti della singolare vicenda sulla quale è stata chiamata ad esprimersi la Cassazione, sono una donna che urina sul muro dell’abitazione limitrofa alla sua, e il proprietario dell’alloggio, che lo scopre grazie alla telecamere di sicurezza. Ecco come è andata a finire.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III pen., sent. 2.5.2017,
n. 20852
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 4.5.2015 il Tribunale di Belluno, in parziale riforma della sentenza del Giudice di Pace di Feltre in data 27.11.2013, ha assolto B.J. dal reato di cui all’art. 594 c.p. per non aver commesso il fatto e, tenuto conto del vizio parziale di mente, l’ha condannata alla pena di Euro 70 di ammenda per il reato di cui all’art. 726 c.p., perché aveva compiuto atti contrari alla pubblica decenza abbassandosi i pantaloni ed orinando sul muro della casa di B.G. poco distante dalla porta d’entrata dell’abitazione che dava sul viottolo di proprietà e potenzialmente e perfettamente visibile a chiunque fosse transitato nei pressi, in frazione di (omissis); ha ridotto il danno della parte civile ad Euro 150, fermo il resto; l’ha condannata al pagamento delle spese del grado mentre ha compensato quelle nei confronti della parte civile.
2. Con il primo motivo di ricorso, l’imputata lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), c.p.p. perché aveva eccepito innanzi al Giudice di Pace l’inammissibilità del ricorso immediato proposto dalla persona offesa, inteso alla citazione a giudizio per un reato procedibile d’ufficio, ai sensi dell’art. 21 d. Lgs. 274/00, ma il Giudice di Pace aveva respinto l’eccezione condividendo le argomentazioni del Pubblico Ministero e della Difesa. Il Tribunale di Belluno nemmeno aveva motivato sul punto ed aveva condannato l’imputata per il solo reato di cui all’art. 726 c.p., siccome era certamente da escludersi il reato, pure contestato, dell’art. 594 c.p., in quanto il fatto era avvenuto in assenza della persona offesa e questi ne aveva avuto contezza solo a seguito della visione dei filmati della telecamera che dava sul viottolo.
Con il secondo motivo di ricorso, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. per carenza dell’elemento soggettivo. Espone che, pur non comparendo al processo, aveva fatto pervenire il certificato medico relativo all’incontinenza urinaria. Nella perizia psichiatrica disposta dal Giudice di Pace era stata evidenziata l’incontinenza e l’urologo in data 2.7.2012 aveva concluso che la paziente era affetta da un’importante incontinenza urinaria di tipo misto, da sforzo e d’urgenza, e l’aveva definita “instabilità vescicale con minzione imperiosa”, segnalando ripetutamente l’incoercibilità del fenomeno. Il perito di parte aveva confermato che il disturbo era legato al sistema nervoso centrale e che la vescica si comportava in modo autonomo e senza controllo da parte del cervello. La sentenza impugnata aveva individuato un indizio di colpevolezza nel sorriso compiaciuto dell’imputata apparso nei fotogrammi, mentre la donna aveva piuttosto l’espressione preoccupata nel momento stesso in cui si era resa conto che era ripresa dalle fotocamere (verso cui si era rivolta con aria perplessa) installate dal vicino.
Con il terzo motivo di ricorso, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 34 d.lgs. 274/00 ed alla mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p., stante le tenuità del fatto e l’esiguità del danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il reato per cui v’è stata la condanna, punito e previsto dall’art. 726 c.p., è stato depenalizzato dall’art. 2, d.Lgs. 8/16. Pertanto si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con trasmissione degli atti al Prefetto di Belluno per le sue determinazioni. Tale pronuncia non travolge però anche le statuizioni civili che rimangono ferme, siccome l’art. 9, comma 3, del medesimo decreto legislativo prevede che il giudice dell’impugnazione comunque decida ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili sulle statuizioni civili.
4. A tali fini va osservato che, premessa la manifesta infondatezza della censura in rito in ordine alla competenza del giudice di pace sul reato di cui all’art. 726, comma 1, c.p., stante l’espressa previsione dell’art. 4 d. Lgs. 274/2000, l’accertamento dei fatti compiuto dal Giudice penale e le sue valutazioni in ordine alla responsabilità della prevenuta vanno confermati ai fini civili. Nella sentenza impugnata, il Giudice, con motivazione precisa ed immune da censure logiche, ha affermato che il fatto contestato si iscriveva nella faida tra vicini di casa già nota alle aule di quel Tribunale, che le telecamere apposte fuori all’abitazione della persona offesa avevano ritratto l’imputata sorridente, mentre si abbassava i pantaloni per urinare innanzi alla sua abitazione, che le giustificazioni sull’incontinenza urinaria erano da ritenersi inconsistenti siccome la donna si trovava a pochi passi dalla propria abitazione, che il gesto aveva chiaramente il significato del dispetto alla persona offesa.
Ciò nondimeno, il Giudice, valutate le perizie mediche in atti, ha riconosciuto il vizio parziale di mente della donna ed ha significativamente ridotto il risarcimento del danno alla cifra, da considerarsi in realtà simbolica, di Euro 150. Quanto al terzo motivo di ricorso, già proposto in sede di appello, si desume dal tenore complessivo della decisione che il Giudice abbia ritenuto implicitamente di rigettarlo, giacché ha ricondotto il comportamento della donna non ad un’esigenza fisiologica ed improvvisa bensì ad un dispetto nel contesto di un clima astioso con il vicino.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, conferma il capo della sentenza impugnata concernente gli interessi civili, e ordina la trasmissione degli atti al Prefetto di Belluno.