L’appropriazione indebita di denaro effettuata dall’amministratore a danno del condominio si configura quando il profitto è avvenuto per sé o per altri, e non esclude l’eventuale responsabilità dell’imputato in sede civile. È quanto rimarcato dalla Cassazione con la sentenza 29873 del 23 giugno 2016, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 29873/2016,
ud. 23.6.2016
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RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Trieste, confermando la sentenza del Tribunale di Pordenone che aveva condannato P.R. per il reato di appropriazione indebita aggravato dall’abuso di prestazione d’opera, dichiarava non doversi procedere a carico del medesimo per le condotte cadute in prescrizione commesse fino al 4 luglio 2007, riducendo la pena inflitta in primo grado.
La Corte riteneva provato che l’imputato, in ragione dell’incarico di amministratore di un condominio, si fosse appropriato per fini personali di una somma complessiva di oltre novemila euro di proprietà dei condòmini, non fornendo alcuna giustificazione e rendendosi irreperibile.
2. Ricorre per cassazione il P.R., nel suo stesso interesse, deducendo:
1) violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte affermato la responsabilità dell’imputato sostanzialmente invertendo l’onere della prova ad essa relativa, senza considerare che, anche a voler ritenere ingiustificata l’appropriazione della somma di danaro prima indicata di pertinenza dei condòmini, il ricorrente sarebbe potuto andare incontro, per una tale negligenza, soltanto a responsabilità di tipo civilistico nei confronti del condominio; peraltro, tale evento avrebbe dovuto essere provato attraverso una indagine finanziaria sulle possidenze dell’imputato, mai effettuata, con la conseguenza che il mancato accertamento della destinazione della somma non avrebbe potuto far escludere che essa fosse stata lecitamente destinata in favore del condominio;
2) violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato e del fine dell’ingiusto profitto, non rinvenibile, secondo il ricorrente, nell’ipotesi in cui le somme fossero state destinate in favore di terzi;
(omissis)
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Quanto ai primi tre motivi di ricorso, occorre osservare che il ricorrente è stato condannato in entrambi i gradi del giudizio di merito con motivazione conforme.
La doppia conformità della decisione di condanna dell’imputato, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità in cassazione del vizio di travisamento della prova lamentato dal ricorrente.
È pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013).
1.1. II ricorrente, nel sostenere un travisamento delle prove raccolte da parte della Corte di Appello, non si confronta in maniera completa con la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui sottolineava che la somma complessiva di proprietà del condominio, distratta dal ricorrente, era stata quantificata per effetto di una puntuale ricostruzione contabile effettuata dall’amministratore succeduto al P.R. nel dicembre del 2007, dopo che costui si ero reso irreperibile non fornendo mai, lungo i due gradi del giudizio di merito, una giustificazione in ordine alla destinazione delle somme a sé stesso od a terzi mai autorizzati dal condominio ed estranei al medesimo, secondo il puntuale resoconto operato dalla sentenza impugnata, che escludeva che le somme fossero state impiegate in favore del condominio, tanto che i singoli condòmini avevano dovuto successivamente coprire l’ammanco con ulteriori versamenti di danaro.
Non si è trattato, dunque, di una inversione dell’onere della prova di responsabilità, ma di una valorizzazione di una prova positiva a carico dell’imputato tratta da una puntuale ed attendibile testimonianza, che rendeva superfluo ogni ulteriore accertamento di merito anche in considerazione del fatto che tale ricostruzione non era stata contrastata da argomentazioni di segno favorevole all’imputato.
1.2. Inoltre, è da sottolineare che l’appropriazione indebita, configurata sulla base di quanto precisato ed il cui rilievo non esclude l’eventuale responsabilità dell’imputato in sede civile ma si somma ad essa, è configurabile quando il profitto, in questo caso squisitamente patrimoniale, in quanto insito nell’impossessamento di una somma di danaro, sia avvenuto per sé o per altri; proprio come nel caso in esame, dove l’imputato ha distratto le somme con assegni a sé intestati ed a terzi sconosciuti al condominio.
(omissis)
Le superiori considerazioni assorbono ogni ulteriore argomento difensivo volto a negare consistenza all’accertamento della responsabilità penale del ricorrente effettuato in entrambi i gradi di merito.
(omissis)
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro millecinquecento alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1500 alla Cassa delle Ammende.