Se l’amministratore conferma che parte dei lavori edili effettuati erano extra-preventivo, e afferivano a singole unità abitative private, non è l’intero condominio che può sobbarcarsi le spese. Singolare il caso oggetto della sentenza 21463 della Corte di Cassazione, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 21.10.2015,
n. 21463
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 143/09 la Corte d’appello di Genova, in riforma della pronuncia di primo grado emessa dal Tribunale d’Imperia, revocava il decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio N. , di corso …, Imperia, su ricorso di M.A., per il pagamento della somma di lire 21.030.692, a titolo di residuo corrispettivo di lavori edili eseguiti sul fabbricato condominiale.
A sostegno della decisione, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la condivisione delle risultanze degli accertamenti tecnici compiuti. Quanto all’interrogatorio formale reso dall’amministratore del condominio, la Corte ligure rilevava che questi aveva confermato l’esecuzione di lavori extra preventivo da parte del M.A., nel senso che nell’importo di lire 20.221.819 andavano incluse anche somme residue dovute dai singoli condòmini per interventi che interessavano le unità abitative di proprietà esclusiva, e che i conteggi eseguiti corrispondevano ai lavori indicati, la verifica della cui esecuzione non era suo compito.
Per la cassazione della sentenza impugnata M.A. propone ricorso, affidato a due motivi.
Resiste il condominio con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Tanto il primo motivo, che denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2733 c.c., quanto il secondo, che lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c. e il vizio d’omessa e contraddittoria motivazione, contestano il giudizio di prevalenza che la Corte territoriale ha operato a favore della relazione del c.t.u. sulla confessione giudiziale resa dall’amministratore condominiale.
2. Entrambi sono inammissibili.
Premesso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 2.2.2009, e che dunque essa è soggetta all’applicazione dell’art. 366-bis c.p.c., si rileva che le due censure riconducibili ai vizi di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c. mancano di qualsivoglia quesito di diritto. Il quale ultimo non può essere né desunto dal contenuto complessivo del motivo (cfr. Cass. S.U. n. 6420/08), né risolversi in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata (v. Cass. S.U. n. 21672/13), né, infine, esaurirsi nella mera elencazione delle norme asseritamente violate (v. Cass. S.U. n. 19811/08).
2.1. Quanto, poi, al lamentato vizio motivazionale, la parte conclusiva del secondo motivo, sebbene contenga un riepilogo prossimo (se non per tasso tecnico, almeno per l’apparente finalità) alla formulazione di un momento di sintesi, mal cela un doglianza di puro merito. Questa è diretta a censurare unicamente la valutazione delle prove operata nella sentenza impugnata, lì dove la Corte d’appello non avrebbe rilevato “il palese contrasto tra la confessione giudiziale resa dall’amministratore del condominio confermata dal Direttore dei lavori escusso come teste in primo grado ed il conteggio redatto dall’amministratore del condominio con i dati forniti dal Direttore dei lavori, portato all’esame dell’assemblea condominiale, nel quale si leggono nel primo rigo, due inconfutabili cifre: alla colonna “da pagare” L. 122.776.819 ed alla colonna “pagato” L. 102.550.000″ (così, testualmente, a pag. 9 del ricorso).
Il tutto, in un frontale e non controargomentato contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (così e per tutte, Cass. n. 27197/11).
3. In conclusione il ricorso va respinto.
4. Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in euro 3.700, di cui 200 per esborsi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.