La presunzione di condominialità riguarda il solaio in se stesso considerato e non anche lo spazio pieno o vuoto che esso occupa, con la conseguenza che non è consentito al proprietario di uno degli appartamenti (quello sottostante e quello sovrastante) limitare o restringere la proprietà esclusiva dell’altro appartamento occupando gli spazi vuoti. È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza 15048 dell’11 giugno 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 11.6.2018.
n. 15048
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Con ricorso ex art. 703 c.p.c., G.B., proprietario dell’appartamento sottostante quello di proprietà di M.M., esponeva che nel corso di lavori di ristrutturazione della sua abitazione aveva rimosso la controsoffittatura ed aveva accertato che il M.M. aveva invaso la sua proprietà, installando tubi e condutture a servizio del suo appartamento; chiedeva, pertanto, di essere reintegrato nel possesso dello spazio di sua proprietà.
Il Tribunale di Venezia rigettava la domanda e, su appello del G.B., la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 24.6.2013 rigettava l’appello e confermava la decisione di primo grado.
Propone ricorso in cassazione G.B. articolato in quattro motivi; M.M. è rimasto intimato.
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt.1102 c.c., 1117 c.c. e 1125 c.c. per avere la corte territoriale ritenuto che lo spazio vuoto posto tra il solaio ed il controsoffitto costituisca bene condominiale.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione di legge in relazione all’art.1140 c.c. e 1125 c.c. per avere la corte territoriale escluso che il G.B. non abbia dedotto e provato l’esercizio del possesso nell’area controsoffittata.
I motivi, da trattarsi congiuntamente, perché attinenti all’esercizio del possesso, sono fondati.
La corte territoriale ha negato la tutela possessoria al G.B. in relazione allo spoglio subito attraverso l’allocazione da parte del M.M. di tubi e condutture nella controsoffittatura, ritenendo che il solaio fosse nel compossesso dei due appartamenti e che, in ogni caso, il G.B. non avesse né dedotto né provato l’esercizio del possesso dell’area asseritamente occupata dai tubi.
In materia condominiale, è pacifico che il solaio esistente, che separa il piano sottostante da quello sovrastante di un edificio appartenente a proprietari diversi, deve ritenersi, salvo prova contraria, di proprietà comune dei due piani perché ha la funzione di sostegno del piano superiore e di copertura del piano inferiore. Esso infatti costituisce l’inscindibile struttura divisoria tra le due proprietà, con utilità ed uso uguale per entrambe e correlativa inutilità per altri condòmini. Coerentemente con questa funzione, l’art.1125 c.c. disciplina il regime delle spese prevedendo che le spese per la manutenzione dei soffitti siano sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani, restando a carico del piano superiore la copertura del pavimento ed a carico del proprietario inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.
Tale situazione di comunione parziale inerisce solo alla parte strutturale, in quanto le eventuali opere che accedono al soffitto o al pavimento e che apportano dei benefici solo ad uno dei due proprietari, cosi come tutto ciò che non ha il carattere dell’essenzialità per la struttura, restano esclusi dalla comunione e possono essere utilizzati dal condomino nell’esercizio del diritto dominicale. La presunzione iuris tantum di proprietà comune di solai divisori tra un piano e l’altro vale, quindi, per tutte le strutture che hanno una funzione di sostegno e copertura
La presunzione di condominialità riguarda il solaio in se stesso considerato e non anche lo spazio pieno o vuoto che esso occupa, con la conseguenza che non è consentito al proprietario di uno degli appartamenti limitare o restringere la proprietà esclusiva dell’altro appartamento occupando gli spazi vuoti (Cass. 23.3.1991 n. 3178, Cass. 23.3.1995 n. 2286).
Poiché la situazione di comunione parziale inerisce solo alla parte strutturale, le eventuali opere che accedono al soffitto o al pavimento e che apportano dei benefici solo ad uno dei due proprietari, cosi come tutto ciò che non ha il carattere dell’essenzialità per la struttura, restano esclusi dalla comunione e possono essere utilizzati dal condomino nell’esercizio del diritto dominicale. Va, pertanto, escluso che tra il soffitto del piano inferiore e il pavimento del piano superiore possano esistere altre opere le quali non facciano parte del solaio e delle quali bisogna accertare di volta in volta la destinazione, al fine di verificare a chi appartengano (Cass. 21.10.1976 n. 3715).
La corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tali principi.
Risulta dal testo della sentenza impugnata che i tubi ed i cavi allocati dal M.M. corrono in parte tra le assi di sostegno delle travi del pavimento dell’appartamento soprastante, e, quindi, nella sua esclusiva proprietà, ed in alcuni punti immediatamente al di sotto delle stesse in un’area erroneamente considerata in comune tra le parti, perché destinata a contenere la struttura divisoria tra i due immobili.
L’affermazione del giudice d’appello, secondo cui il soffitto dell’appartamento sottostante è rappresentato dal controsoffitto in cannicciato contrasta con il principio pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile, sez. II 07/06/1978, n. 2868 ) secondo cui, quando gli spazi pieni o vuoti, che accedano al soffitto od al pavimento, non siano essenziali alla struttura divisoria, rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell’esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale.
Ne consegue che, facendo passare i tubi nella controsoffittatura realizzata dal G.B., il M.M. lo ha spogliato nel possesso dello spazio vuoto sovrastante il suo appartamento, poiché la controsoffittatura non ha una funzione portante o divisoria dei due appartamenti ma una funzione meramente decorativa.
Di essa il G.B. aveva il possesso solo animo, contrariamente a quanto sostenuto dalla corte territoriale che non ha ravvisato la presenza di atti di esercizio del possesso.
È pacifico, infatti, che per la conservazione del possesso, non occorre la materiale continuità dell’uso né l’esplicazione di continui e concreti atti di godimento, essendo sufficiente che la cosa, anche in relazione alla sua natura e destinazione economico sociale, possa ritenersi rimasta nella virtuale disponibilità del possessore. Il possesso può essere mantenuto anche solo animo, purché il soggetto abbia la possibilità di ripristinare il corpus quando lo voglia.
In particolare, un comportamento passivo del possessore relativamente ad un bene immobile che possa essere goduto anche con il non uso, in tanto può costituire manifestazione inequivoca della volontà di dismissione del possesso in quanto l’attività altrui sul bene impedisca il ripristino del corpus, mentre fino a quando ciò non accada l’inerzia del possessore solo animo non ha significato univoco (Cass. Sez.II, 11.11.1997 n. 11119).
Nella fattispecie in esame, il G.B. esercitava il possesso sullo spazio occupato dalla controsoffittatura, tanto che ha potuto agevolmente rimuoverla per eseguire i lavori di ristrutturazione del suo appartamento.
Il terzo motivo e quarto motivo sono assorbiti.
La sentenza va pertanto cassata in ordine ai primi due motivi e rinviata per nuovo esame innanzi ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia.