Con l’ordinanza 13783 del 6 luglio 2020, di cui riportiamo un estratto, la Cassazione evidenzia che il classamento di un immobile, volto all’attribuzione di una categoria e di una classe e della relativa rendita, si ricava da nozioni presenti nell’opinione generale in un determinato contesto spazio-temporale (l’alloggio, nella fattispecie, era collocato in un contesto immobiliare caratterizzato da ben 17 appartamenti situati nello stesso condominio, pure accatastati in Categoria A/1), mentre la qualificazione “di lusso” risponde alla finalità di precludere l’accesso a certe agevolazioni fiscali.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 6.7.2020,
n. 13783
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La CTR Toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la decisione di primo grado che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da B.L., aveva rideterminato la classe dell’immobile sito in …, confermando la categoria A/1 precedentemente esistente rispetto alla cat. A/2 proposta in sede di DOCFA.
Secondo la CTR persistevano elementi sintomatici del carattere signorile del cespite immobiliare correlati all’estensione, ubicazione e caratteristiche intrinseche dello stesso, avuto anche riguardo all’inserimento del medesimo in un contesto immobiliare caratterizzato da ben 17 appartamenti situati nello stesso condominio, pure accatastati in Categoria A/1, ciò confermando che l’immobile del contribuente, in relazione alla dimensione di vani 9,5 e dell’estensione (mq. 200) doveva ritenersi sussumibile nella categoria A/1.
Il B.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
Con il secondo motivo di ricorso, che merita di essere esaminato con priorità per ragioni di ordine logico, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per non avere adeguatamente ponderato gli elementi probatori esistenti, prospettando la contraddittorietà della motivazione e l’omessa motivazione o l’omesso esame di fatti decisivi in relazione alle caratteristiche dell’immobile.
La censura è infondata nella parte in cui intende prospettare il vizio di motivazione apparente risultando, per converso, dall’iter motivatorio seguito dal giudice di appello le ragioni poste a fondamento della natura signorile dell’immobile, nemmeno riscontrandosi la contraddittorietà della motivazione, peraltro espunta dal sistema con la modifica dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. (Cass. S.U. n. 8053/2014).
Per altro verso, la censura contesta l’accertamento di fatto operato dal giudice di merito in ordine alla qualificazione di un’abitazione come “signorile”, “civile” o “popolare”.
Ed è appena il caso dì rammentare che il carattere signorile dell’immobile, correlato alla categoria A/1, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in assenza di una specifica definizione legislativa delle categorie e classi, corrisponde alle nozioni presenti nell’opinione generale in un determinato contesto spazio-temporale e non va mutuata dal D.M. 2 agosto 1969, atteso che il procedimento di classamento è volto all’attribuzione di una categoria e di una classe e della relativa rendita alle unità immobiliari, mentre la qualificazione in termini “di lusso”, ai sensi del citato D.M., risponde alla finalità di precludere l’accesso a talune agevolazioni fiscali – cfr. Cass. n. 23235/2014 -.
Passando all’esame del primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente prospetta la violazione degli art. 6 e 10 DM 2.8.1969, in relazione ai requisiti indicati dal DM 4.12.1961, la censura è inammissibile.
Ed invero, come già ricordato esaminando il secondo motivo, questa Corte è ferma nel ritenere che “in assenza di una specifica definizione legislativa delle categorie e classi, la qualificazione di un’abitazione come ‘signorile’, ‘civile’ o ‘popolare’ corrisponde alle nozioni presenti nell’opinione generale in un determinato contesto spazio-temporale e non va mutuata dal D.M. 2 agosto 1969 – modificativo del D.M. 4.12.1961 -, atteso che il procedimento di classamento è volto all’attribuzione di una categoria e di una classe e della relativa rendita alle unità immobiliari, mentre la qualificazione in termini ‘di lusso’, ai sensi del citato D.M., risponde alla finalità di precludere l’accesso a talune agevolazioni fiscali” (omissis) – cfr. Cass. n. 6731/2015-.
Ora, il ricorrente prospetta la violazione di legge nella quale sarebbe incorso il giudice di appello per avere considerato elementi non idonei a comprovare il carattere di lusso dell’immobile, non avvedendosi dell’irrilevanza del parametro normativo posto a base della censura, assolutamente inconferente rispetto all’oggetto dell’accertamento demandato al giudice tributario rispetto al carattere signorile del cespite immobiliare e, per altro verso, della compiuta disamina degli elementi sui quali il giudice di appello ha fondato il giudizio di coerenza dell’accertamento rispetto alla natura signorile dell’immobile, agganciato alla comparazione con numerosi immobili allocati nello stesso condominio e risultanti di categoria signorile, viepiù confermata dalle dimensioni e dal concreto assetto dell’immobile, puntualmente esaminato dalla CTR.
Del tutto inconferente risulta, poi, la circostanza che la CTR abbia evocato il parametro della superficie del cespite – che secondo il ricorrente non corrisponderebbe ai mq 200 indicati dalla CTR, ma a mq 168 -.
Infatti, risulta evidente che la CTR non ha desunto la natura signorile dalla ricorrenza di uno dei parametri che invece la disciplina sopra evocata individua per qualificare un cespite immobiliare come di lusso, ma dalla complessiva ponderazione degli elementi analiticamente indicati nella sentenza qui riesaminata.
Ed è appena il caso di osservare che la contestazione in ordine alla mancata valutazione di altri elementi invocati dal ricorrente non integra un vizio aggredibile innanzi al giudice di legittimità, risolvendosi nella contestazione dell’accertamento di fatto operato dal giudice di merito.
Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi esposti pure in memoria dal ricorrente, il ricorso va rigettato.
(omissis)
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in euro 3.500 per compensi, oltre spese prenotate a debito.