Integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’amministratore condominiale che, ricevute le somme di denaro necessarie dai condòmini, ometta di effettuare i dovuti pagamenti, senza necessità di provare la diversa destinazione impressa alle somme attraverso l’individuazione di atti di disposizione. È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 9578/2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 9578/2019
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La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza in data 07/12/2017, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Cosenza, in data 03/02/2016, nei confronti di P.S. in relazione al reato di cui all’art. 646 cod. pen..
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo con unico motivo di ricorso la violazione di legge, in riferimento all’art. 646 cod. pen., e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato; ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata non aveva individuato, né dimostrato, l’esistenza di alcun atto di disposizione patrimoniale da parte dell’imputato, necessario per ritener accertato l’interversione del possesso delle somme di denaro che si assumevano oggetto di appropriazione. La responsabilità era stata affermata solo per l’assenza di alcune pezze giustificative delle spese effettuate, circostanza peraltro giustificata dall’imputato per l’avvenuto trasloco degli uffici dell’amministratore.
Con memoria depositata il 14 gennaio 2019, il ricorrente ha dedotto l’impossibilità per la parte querelante e per l’imputato, rispettivamente di rimettere la querela e di accettarla, tenuto conto che la modifica di regime di procedibilità del delitto di appropriazione indebita (ai sensi dell’art. 10 d. lgs. 36/2018) era intervenuta dopo la pronuncia della Corte d’appello.
Il motivo è inammissibile perché manifestamente infondato; il delitto di appropriazione indebita si realizza rispetto alle somme di denaro che siano affidate al detentore con un vincolo di destinazione, con l’accertamento della mancata destinazione delle somme alla finalità convenuta, indipendentemente dall’individuazione dell’atto di disposizione che sia stato effettuato con l’uso di tali somme. La sentenza impugnata, confermando la correttezza dell’accertamento in fatto condotto dalla sentenza del Tribunale, ha verificato che, a fronte degli incassi di somme da parte dell’amministratore da destinare ai pagamenti delle spese condominiali, era risultato un ammanco di somme che, logicamente, non erano state destinate alle finalità per le quali i condòmini le avevano affidate all’amministratore. Ciò era sufficiente per dimostrare la responsabilità dell’imputato, considerata la veste di mandatario dell’imputato e l’assenza di prove contrarie fornite dallo stesso per giustificare la differenza tra le somme che dovevano risultare in cassa o impiegate per i pagamenti, e le somme effettivamente rinvenute; è stato, infatti, affermato che integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’amministratore condominiale che, ricevute le somme di denaro necessarie dai condòmini, ometta di effettuare i dovuti pagamenti senza necessità di provare la diversa destinazione impressa alle somme attraverso l’individuazione di atti di disposizione. (Sez. 2, n. 41462 del 11/11/2010, relativa all’omesso versamento di contributi previdenziali per il servizio di portierato).
Quanto al profilo dedotto con la memoria depositata, dal momento di entrata in vigore della norma che ha escluso la procedibilità d’ufficio del delitto di appropriazione indebita, anche nell’ipotesi aggravata ex art. 61 n. 11 cod. pen., le parti avevano la possibilità in ogni momento, sino alla data odierna, di rimettere la querela e di accettarla, risultando l’esistenza dell’atto di querela dalla stessa prospettazione del ricorrente (oltre che dagli atti del processo, in cui si dà atto dell’esistenza della condizione di procedibilità sia nel corpo della sentenza di primo grado sia nei verbali delle udienze dibattimentali).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.