L’amministratore, in esecuzione di una delibera, fa rimuovere una vettura dall’area privata condominiale e la fa abbandonare sulla strada pubblica dove, a giudizio della proprietaria, l’auto avrebbe riportato danni di cui chiede il rimborso al condominio. In attesa di valutare l’ammontare del risarcimento spettante, resta il fatto che l’amministratore non avrebbe comunque potuto, in via di autotutela, procedere personalmente alla rimozione coattiva dell’autovettura. Di seguito un estratto della sentenza di Cassazione numero 25527, dello scorso 26 ottobre.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 26.10.2017,
n. 25527
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D.P. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in unico motivo, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 26 luglio 2016, che ne aveva in parte accolto l’appello avanzato contro la decisione di primo grado resa l’11 luglio 2012 dal Tribunale di Latina.
Resistono con comune controricorso il Condominio …, e M.T..
Il giudizio era iniziato con citazione notificata il 12 febbraio 2006 da D.P. al Condominio … e all’amministratore M.T., contenente domanda di condanna dei convenuti al risarcimento dei danni per euro 3.777,60, oltre interessi, subiti dall’autovettura Mini Cooper della D.P. allorché la stessa era stata rimossa, in esecuzione di apposita deliberazione assembleare del 12 luglio 2005, da un’area condominiale e così abbandonata sulla via pubblica, ove era stata oggetto di danneggiamento ad opera di terzi. La domanda veniva integralmente rigettata dal Tribunale di Latina, mentre la Corte d’Appello di Roma, dopo aver osservato che la delibera del 12 luglio 2005 non era stata impugnata ex art. 1137 c.c. dalla D.P., affermava che l’amministratore non avrebbe comunque potuto, in via di autotutela, procedere personalmente alla rimozione coattiva dell’autovettura.
Tuttavia, pur dichiarata illegittima la condotta dell’amministratore M.T., la Corte d’Appello ha sostenuto che non fosse stata data prova del danno patrimoniale subito dalla D.P., né comunque “descritti danni che possano essere causalmente e direttamente riconducibili alla condotta posta in essere dalla parte appellata”.
L’unico motivo del ricorso di D.P. deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c., l’omesso esame delle prove offerte e l’omessa, insufficiente, contraddittoria e apparente motivazione. La ricorrente denuncia che la Corte d’Appello non ha chiarito perché non sia stata valutata la esibita documentazione fiscale della carrozzeria A. e la testimonianza dello stesso carrozziere sui danni subiti dall’autovettura e sui costi di riparazione. Viene criticata dalla ricorrente anche la mancata motivazione sull’esistenza del nesso causale tra la condotta illecita dell’amministratore M.T., che aveva rimosso ed abbandonato l’auto sulla strada pubblica, ed il danneggiamento subito dalla stessa ed accertato il giorno successivo, danneggiamento che non si sarebbe verificato se il veicolo fosse rimasto all’interno dell’area privata condominiale.
I controricorrenti evidenziano che l’autoveicolo della D.P. fosse stato immatricolato ne! 1994, ed avesse un valore di mercato attuale di euro 100 (citando í listini di riviste specializzate del settore automobilistico), sicché la riparazione, dei cui costi si domanda il rimborso in via risarcitoria, è stata comunque antieconomica.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente defínibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
La sentenza della Corte d’Appello di Roma denota un’anomalia motivazionale in forma di “motivazione apparente”, tuttora denunciabile per cassazione pur dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Invero, la Corte d’Appello, ritenuta l’illegittimità della condotta dell’amministratore condominiale, ha poi rigettato la domanda risarcitoria, assumendo che non fossero stati “descritti danni che possano essere causalmente e direttamente riconducibili alla condotta posta in essere dalla parte appellata”.
Tale motivazione è “apparente”, perché la Corte di merito ha così pretermesso del tutto l’indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo impossibile ogni controllo in questa sede sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, quanto al diniego della sussistenza di un nesso di causalità, materiale e giuridica, che leghi storicamente l’accertata condotta illecita del M.T. e i danni che si pretendono conseguenti a questa nella prospettiva dell’azionata obbligazione risarcitoria aquiliana (ferma la valutazione del giudice del merito in ordine all’eventuale eccessività delle spese occorrenti per la riparazione della vettura rispetto ai valori di mercato); dovendosi tuttavia a tal fine indicare le ragioni per cui la serie causale oggetto di lite appaia del tutto inverosimile, alla stregua dell’art. 1223 c.c., richiamato dall’art. 2056 c.c. (cfr. Cass. Sez. 3, 31/05/2005, n. 11609).
Il ricorso va perciò accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, che deciderà tenendo conto dei rilievi svolti e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.