Il caso che vi presentiamo riguarda un amministratore di condominio al quale, inizialmente, era stato contestato un ammanco di 50mila euro. Durante i successivi gradi di giudizio, lo stesso amministratore era riuscito a provare che la cifra distratta era assai inferiore, esattamente 9mila euro. Con la sentenza 7438 del 2018 la Corte di Cassazione pur mantenendo il reato di appropriazione indebita, ha tenuto conto del minore importo distratto, eliminando l’aggravante.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 7438/2018
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C.D. ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano con la quale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 13/10/2014, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p., era stata limitata la sua responsabilità, per il delitto di appropriazione indebita, alla somma di euro 9.977,92, anziché 50.882,72 originariamente contestata, deducendo il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 530 c. 2 c.p.p., avendo la Corte d’appello erroneamente condannato il ricorrente nonostante la sussistenza di un “ragionevole dubbio” in ordine alla condotta appropriativa poiché per una parte C.D. aveva fornito la prova circa la destinazione delle somme di denaro da lui gestite e per la residua parte, ovvero i 9,977, 92 euro, l’accusa non aveva dimostrato la realizzazione della condotta illecita, posto che non era l’imputato a dover dimostrare la destinazione della somma.
Il ricorso è inammissibile per essere i motivi manifestamente infondati.
Va premesso che nel caso di specie la Corte territoriale non ha riformato la sentenza di primo grado circa l’an della penale responsabilità, posto che sono risultati oggettivamente provati alcuni prelievi di denaro ingiustificati, operati dal ricorrente, e spese condominiali non pagate; ha solo provveduto ad una riduzione dell’importo della somma oggetto della contestata condotta appropriativa, avuto riguardo alla documentazione giustificativa introdotta dal ricorrente, rimanendo comunque dimostrata la condotta illecita e ciò, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente , non legittima affatto il ricorso al ragionevole dubbio, a fini assolutori; né può ritenersi la sentenza viziata per erronea valutazione dei canoni interpretativi di cui agli artt. 192 e 530 c. 2 c.p.p., posto che il “ragionevole dubbio”, inserito nel comma 1 dell’art. 533 cod. proc. pen. ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (ma già individuato dalla giurisprudenza quale inderogabile regola di giudizio: v. Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002), come sottolineato di recente dal Supremo Collegio (S. Unite n. 27620 del 28/04/2016), impone nel caso di sentenza d’appello che riformi una pronuncia assolutoria addivenendo, in mancanza di elementi sopravvenuti, ad una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, di ricorrere, in caso di affermazione di responsabilità, ad una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio” (omissis).
In sostanza la regola dell’“oltre ragionevole dubbio”, sta a ricordare che il giudizio di responsabilità non è espressione di discrezionalità pura e arbitraria, dovendo la decisione finale muoversi nell’ambito dei “percorsi di verità” delineati dalle regole del processo penale. Va altresì rimarcato che la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio”, formalizzata all’art. 533 c.p.p., non esclude che si debba pronunciare condanna quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale della cose e della normale razionalità umana (omissis); poiché si assume “ragionevole” non ogni e qualsiasi dubbio, non il dubbio pure astrattamente possibile e sempre configurabile, bensì soltanto il dubbio che correlato ai dati empirici acquisiti nel processo è in grado di confutare e mettere in crisi l’apparente coerenza formale del postulato accusatorio, immettendo nel circuito del convincimento del Giudice una ricostruzione alternativa e diversa del fatto storico strettamente agganciata, per quanto sopra detto, alle “specifiche” evidenze probatorie, trascurate o non correttamente apprezzate dal giudice.
Solo difficoltà probatorie di grado così elevato comportano l’assoluzione dell’imputato secondo la regola tradizionale “in dubio pro reo”.
Detto ciò nel caso di specie, osserva il Collegio, il giudice di merito ha confermato la sentenza di primo grado quanto all’ affermazione di penale responsabilità dell’imputato, riducendo l’importo oggetto della condotta appropriativa alla luce dei documenti prodotti in appello rimanendo, per il resto, inalterato il quadro probatorio iniziale, posto che la (minor) somma di denaro, pari a euro 9.977,92, era pacifico fosse stata acquisita dal ricorrente in qualità di amministratore del condominio (perché a lui versata dai condomini) e non destinata allo scopo per cui era stata conferita.
Questa Corte ha già statuito, con riferimento ad una fattispecie analoga, che integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’ amministratore del condominio che, avendo ricevuto dei condomini gli importi relativi al pagamento dei contributi previdenziali relativi al portiere dello stabile, ometta versarli all’istituto previdenziale (Sez. 2 41462/2010).
Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in definitiva, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di Cassazione è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.
Per tali motivi deve dichiararsi inammissibile il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sommi di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.