L’amministratore è colpevole di appropriazione indebita anche qualora utilizzi i soldi incassati dai residenti di uno stabile per ripianare i debiti di un altro condominio, sempre da lui gestito. È quanto confermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 9537/2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 9537/2019
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La Corte Appello di Milano, con sentenza in data 12/03/2018, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano, in data 08/03/2017, nei confronti di G.F., dichiarava in parte estinti per prescrizione i reati oggetto dell’imputazione, confermando la condanna in relazione ai residui reati di appropriazione indebita aggravata, rideterminando la pena.
Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, deducendo con il primo motivo di ricorso, violazione della legge penale, in relazione all’art. 646 cod. pen., in punto di responsabilità per il delitto di appropriazione indebita contestato; la condotta dell’imputato rilevava al più quale mala gestio dei fondi condominiali difettando il dolo della fattispecie contestata, poiché le somme utilizzate dall’imputato erano destinate a ripianare i debiti di altri condomini, senza alcuna volontà appropriativa; con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge, quanto al trattamento sanzionatorio non avendo considerato la sentenza le giustificazioni addotte dall’imputato.
Il ricorso è inammissibile perché svolge critiche su aspetti in fatto e risulta generico nell’indicazione delle censure. La sola circostanza della destinazione delle somme dei condomini indicati nelle imputazioni, per fini diversi da quelli strettamente inerenti alla gestione condominiale, integra in sé la condotta tipica dell’appropriazione indebita, considerando peraltro che per entrambe le imputazioni risultava l’emissione di assegni con quelle somme, in favore di una società le cui quote erano detenute quasi per intero dall’imputato. Gli argomenti svolti con il ricorso, riproducendo il contenuto di alcune prove assunte, non risultano finalizzati a individuare la lamentata violazione di legge, ma finiscono per richiedere un’inammissibile rivalutazione dei fatti accertati dalla sentenza impugnata. Quanto al motivo con cui il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio, è palese l’assoluta genericità del motivo, a fronte dell’indicazione puntuale della sentenza che ha ricordato sia i precedenti specifici per reati di appropriazione indebita, sia la gravità delle condotte in ragione degli importi oggetto delle condotte di appropriazione.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.