Dire all’amministratore di condominio “te la faremo pagare” e poi augurargli una leucemia non può integrare il reato di minaccia poiché il discorso attribuito alle condomine si caratterizza per il suo contenuto e svolgimento unitario e chiaramente le imputate non hanno potere sull’insorgenza della malattia.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 51618/2017, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 51618/2017
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Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 21/10/2016 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha confermato, con aggravio delle spese processuali delle parti civili, la sentenza del Giudice di Pace della stessa città del 30/1/2015, appellata dalle imputate, che, dopo averle assolte dall’imputazione per il reato contestato in rubrica sub a), riqualificato come ingiuria, aveva ritenuto C.C. e C.P. responsabili del reato di minaccia ex art.612 cod. pen., contestato sub b), e le aveva condannate alla pena di euro 30,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese processuali.
2. Ha proposto ricorso nell’interesse delle imputate il difensore di fiducia, avv. B.C., svolgendo tre motivi.
(omissis)
2.2. Con il secondo motivo, proposto ex art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato.
(omissis)
(omissis)
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato.
2.1. Secondo il ricorrente, il Giudice di primo grado aveva scorporato la frase «gliela faremo pagare» dal contesto in cui era stata pronunciata (costituito da una lunga serie di severe recriminazioni, pur sempre legittime, sul comportamento dell’amministratore); dopo aver contraddittoriamente escluso la sussistenza dell’elemento oggettivo per la prefigurazione di una morte delle persone offese per leucemia fulminante, evento questo ovviamente indipendente dalla capacità di influenza dell’agente e quindi non sussumibile nel paradigma della minaccia, aveva individuato indebitamente la minaccia di un male ingiusto nella prospettata intenzione delle imputate di «fargliela pagare» alle persone offese, letta come dotata di valenza autonoma, mentre era strettamente connessa nel contesto in cui era stata pronunciata alla ventilata malattia oncologica.
Secondo il ricorrente, mancava anche l’elemento soggettivo del dolo, inteso come coscienza e volontà di comprimere la libertà individuale del soggetto minacciato e non era possibile, nell’ambito dell’unitario discorso attribuito alle imputate l’animus criticandi, dall’autonomo dolo della minaccia.
2.2. Il motivo è fondato.
Non sussiste l’elemento oggettivo del reato di minaccia poiché il discorso attribuito alle imputate si caratterizza inequivocabilmente per il suo contenuto e svolgimento unitario.
Infatti, il discorso in questione, attribuito alle ricorrenti e più direttamente alla C.P., non consente di isolare al suo interno, dopo le recriminazioni e le censure rivolte all’operato dell’organo di amministrazione condominiale, ritenute legittime, un’autonoma prefigurazione di un male ingiusto del tutto indeterminato dalla successiva e strettamente connessa predizione della malattia incurabile della leucemia fulminante: al contrario, le due frasi sono inscindibilmente collegate e pronunciate in rapida successione, sicché l’intento di «far pagare» agli incaricati dell’amministrazione condominiale le loro colpe veniva perseguito, nella logica del messaggio comunicativo de quo, proprio mediante l’auspicio della malattia, da cui non poteva essere logicamente scisso.
Di conseguenza, la condivisibile conclusione attinta dal Giudice di appello che il male ingiusto profetizzato, indipendente dalla volontà e della capacità di influenza dell’autore della minaccia, infausto profetizzante, non poteva configurare l’elemento obiettivo del reato che presuppone la prospettazione di un male ingiusto, idoneo a condizionare la sfera della libertà morale del soggetto passivo, che dipenda dalla capacità di influenza del soggetto agente (omissis), doveva indurlo, per le stesse ragioni, ad escludere la rilevanza penale delle parole intermedie, prive di valenza autonoma.
V’è anche da aggiungere che una non corretta considerazione isolata e decontestualizzata della frase intermedia «gliela faremo pagare» sarebbe comunque priva di una concreta valenza minatoria per la sua assoluta genericità e indeterminazione, che la rende compatibile anche con il progetto di avvalersi degli strumenti legittimi di tutela offerti dall’ordinamento giuridico.
Merita un cenno anche l’intrinseca contraddittorietà del passaggio motivazionale di cui all’ultimo paragrafo di pagina 5 della sentenza impugnata, ove il Tribunale afferma che l’auspicio di morte, ritenuto (giustamente) inidoneo a costituire minaccia, caricava di significato la precedente formula, sicuramente minatoria «gliela faremo pagare», senza rendersi conto che proprio il nesso fra le due frasi depotenziava totalmente la prima di esse con il collegamento ad un male ingiusto del tutto indipendente dalla capacità di influenza delle agenti.
(omissis)
4. Il ricorso deve quindi essere accolto e la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.