Parcheggia l’auto e addirittura si siede per alcuni giorni in prossimità dei battenti del cancello della vicina di proprietà, tanto che quest’ultima non può né chiudere il cancello stesso, né transitare attraverso l’apertura. Per la Cassazione, il comportamento dell’imputati integra il reato di violenza privata, così come altre azioni analoghe che gli Ermellini enumerano facendo riferimento a precedenti sentenze. Vediamo quali.
—————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent, n. 40482/2018
—————–
1. C.D., con il ministero del proprio difensore di fiducia, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 18 ottobre 2017, che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trapani del 4 febbraio 2014, l’ha riconosciuto colpevole del delitto di violenza privata, commesso in danno di V.M. – impedendo, per giorni, la chiusura del cancello posto sul limitare della proprietà di quest’ultima ed il transito attraverso tale apertura, ivi parcheggiando un’autovettura e sedendo in prossimità dei battenti – e per l’effetto l’ha condannato alla pena di giustizia.
2. Deduce:
2.1. vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 610 cod. pen., e vizio motivazionale da travisamento della prova, non potendo integrare il requisito di fattispecie della violenza il fatto dell’essersi l’imputato seduto e poi steso nell’area di battuta del cancello per impedirne la chiusura;
2.2. vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 54 e 392 cod. pen., e vizio di motivazione, dovendosi censurare l’error iuris, indotto da un travisamento della prova, consistito nella mancata derubricazione del fatto ritenuto in sentenza nel delitto di esercizio arbitrario delle private ragioni con violenza sulle cose, ravvisabile, nel caso censito, in presenza di una condotta diretta ad opporsi ad un agire attuale di spoglio posto in essere dalla persona offesa rispetto ad una situazione di possesso di una servitù di passaggio esercitata da esso ricorrente attraverso il cancello del quale si era impedita la chiusura;
(omissis)
Il ricorso è complessivamente infondato.
1. Il quesito che attiene alla identificazione del requisito della violenza nel delitto di violenza privata deve trovare soluzione con il riferimento all’unanime giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che tale elemento «si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza “impropria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione» (omissis). A partire da tale principio, che coglie il nucleo dello specifico disvalore del fatto incriminato, si sono fatte discendere le massime di orientamento che ben si attagliano al caso scrutinato – nel quale si è registrata una forza intimidatrice correlata ad un’azione ostruzionistica messa in atto dall’imputato, priva dei connotati della violenza o della minaccia stricto sensu – secondo le quali integra il delitto di violenza privata «la condotta di colui che occupa il parcheggio riservato ad una specifica persona invalida in ragione del suo “status”, impedendone l’accesso, e, quindi, privandola della libertà di determinazione e di azione» (omissis) o «che parcheggi la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla parte lesa»(omissis); come anche la condotta di colui che «nell’ambito di manifestazioni di protesta per l’esecuzione di un’opera pubblica, impedisce agli operai incaricati di svolgere i lavori previsti, frapponendosi all’accesso ai macchinari con comportamenti tali da bloccarne l’utilizzo da parte loro» (omissis).
Il tratto qualificante e comune delle condotte enumerate è, infatti, quello di esercitare una coazione sulla persona offesa, la quale per effetto di tale incisione della sua libertà di autodeterminazione, qualunque sia il mezzo con la quale questa è arrecata purché idoneo allo scopo, è posta nelle condizioni di subire una situazione non corrispondente al proprio volere.
Poiché l’azione complessivamente posta in essere dall’imputato corrisponde al paradigma descritto e delle declinazioni in fatto il giudice di merito ha congruamente dato atto nella motivazione che correda il provvedimento impugnato, la censura sul punto è da rigettare.
2. Il motivo che deduce la questione della qualificazione del fatto nei termini del delitto di esercizio arbitrario delle private ragioni non tiene conto della robusta linea ermeneutica tracciata dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale:« Non ricorre il delitto di ragion fattasi ma quello di violenza privata allorché l’esplicazione di attività costrittiva non corrisponde al contenuto del possibile esercizio del potere giurisdizionale (Fattispecie in cui l’agente, al fine di esercitare il preteso diritto di parcheggio su una strada privata, aveva impedito al proprietario della stessa di transitarvi con i suoi veicoli, apponendo una catena con lucchetto). (omissis). Sicché è di tutta evidenza che a tale criterio direttivo il giudice di merito si è attenuto, allorché ha escluso la ricorrenza del delitto di “ragion fattasi” evidenziando come il tema della chiusura del cancello insistente sul limitare della proprietà della parte offesa allo scopo di evitare il continuo transito dei confinanti C., i quali disponevano di un autonomo accesso sulla pubblica via, era già stato portato alla cognizione del giudice civile – sia pure adito da persona fisica diversa dall’imputato -, che si era pronunciato nel senso di ritenere l’infondatezza della pretesa attorea.
(omissis)
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate in Euro 1.800 oltre accessori di legge.