A cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò
Il cavedio, detto anche pozzo luce, vanella o chiostrina, è un piccolo cortile interno finalizzato a dare luce e aria ai locali che si affacciano sullo stesso.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il cavedio, in virtù della funzione che svolge, “è sottoposto al regime giuridico del cortile, qualificato bene comune, salvo titolo contrario, dall’art. 1117, n.1, c.c., senza che la presunzione di condominialità possa essere vinta dal fatto che al cavedio si acceda solo dall’appartamento di un condòmino o dal fatto che costui vi abbia posto manufatti collegati alla sua unità (nella specie, polizza, scaldabagno, impianto di illuminazione), in quanto l’utilità particolare che deriva da tali fatti non incide sulla destinazione tipica e normale del bene in favore dell’edificio condominiale” (Cass. Civ., sent. n. 17756/2014).
Tale principio è stato ripreso dalla Corte d’Appello di Genova con la sentenza n. 908 del 5 ottobre 2020.
Nella vicenda in esame, il giudice di merito riformava la decisione di primo grado, la quale aveva riconosciuto la proprietà esclusiva del cavedio al proprietario dell’appartamento dal quale si poteva accedere, sulla base di un titolo e di alcune circostanze di fatto, che, successivamente, il collegio giudicante considerava inidonei a superare la presunzione di condominialità del cavedio.
La Corte distrettuale escludeva che i manufatti posti nel cavedio e collegati all’appartamento dell’attore potessero superare la presunzione di condominialità e, in particolare, che la presa d’aria del wc potesse essere considerata parametro di riferimento per comprendere se il pozzo luce fosse ad uso esclusivo dell’unità immobiliare o al servizio del condominio.
Inoltre, la Corte d’Appello, sottolineava che la presunzione di condominialità del cavedio non può essere vinta da qualsiasi titolo contrario, dal momento che è necessario fare riferimento all’atto con il quale si è costituito il condominio per effetto del trasferimento di un’unità immobiliare a soggetti diversi.
Ciò, sulla scorta del principio della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “l’individuazione delle parti comuni (nella specie, i cortili o qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture) operata dall’art. 1117 c.c. non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali” (Cass. Civ., ord. n. 3852/2020).
Pertanto, bisogna far riferimento al momento della nascita del condominio, non essendo rilevante il fatto che l’appartamento ed il cavedio siano stati materialmente collegati in un tempo successivo (vedasi Cass. Civ., ord. n. 17022/2019).
Nel caso in esame, parte attrice aveva prodotto solamente l’atto di acquisto da parte del suo dante causa e non anche l’atto originario costitutivo del condominio, unico e specifico titolo contrario idoneo a superare la presunzione di condominialità.