In materia di compravendita immobiliare, al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio. Va invece escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico.
È quanto disposto dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 7781/2020, di cui riportiamo un ampio estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 10.4.2020,
n. 7781
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Il sig. A.M., in qualità di titolare della ditta individuale M. Immobiliare, ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Genova, confermando integralmente la decisione del tribunale della stessa città, ha rigettato la domanda di pagamento della provvigione dal medesimo avanzata in relazione all’incarico conferitogli dai sigg.ri S.M. e F.V. per la vendita di un appartamento di loro proprietà.
La corte territoriale, disattendendo la tesi dell’odierno ricorrente, ha escluso che fosse sorto il diritto dell’agente alla provvigione, ritenendo che la proposta irrevocabile di acquisto formulata dall’acquirente reperito dal sig. A.M. – il prof. F. – non integrasse quella “conclusione dell’affare” cui l’art. 1755 c.c. ricollega la nascita del diritto del mediatore alla provvigione.
Al riguardo, nell’impugnata sentenza si sottolinea che le parti non avevano sottoscritto alcun contratto preliminare di compravendita.
Per quanto in particolare concerne la proposta di acquisto del prof. F. del 9.11.2007, accettata dai coniugi S.M. e F.V., la corte distrettuale ha escluso espressamente la possibilità di qualificarla come contratto preliminare, argomentando che tale atto aveva l’unico scopo di fissare gli accordi di massima già raggiunti, nella prospettiva della sottoscrizione di un contratto preliminare in un momento successivo.
La corte ligure, in particolare, ha escluso che tra le parti sia sorto un impegno giuridicamente vincolante sulla base delle seguenti argomentazioni:
La negazione del diritto del ricorrente alla provvigione viene poi supportata dalla corte d’appello sul rilievo che nell’atto di conferimento dell’incarico era contenuta una clausola che collegava espressamente tale diritto alla stipula del contratto preliminare (“tale somma vi sarà integralmente pagata contestualmente alla sottoscrizione del contratto preliminare”).
I due motivi di ricorso, rispettivamente riferiti ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., sono sviluppati in un tessuto argomentativo unitario, così da risultare, in sostanza, un unico motivo, promiscuamente riferito tanto al vizio di violazione di legge (in relazione agli artt. 1754-1755 c.c. e 1326 c.c. e 1362 e segg. c.c.) quanto al vizio di omesso esame di fatto decisivo che abbia formato oggetto di discussione tra le parti.
In sostanza il ricorrente – premesso che la proposta formulata dal prof. F. conteneva tutti gli elementi essenziali, e quasi tutti gli elementi accessori, del futuro negozio giuridico traslativo – sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nel qualificare la stessa come una minuta o accordo di massima costituendo essa, per contro, un accordo già vincolante fra le parti stipulanti, secondo lo schema proposta-accettazione.
Quanto alla clausola con la quale si prevede la contestualità tra versamento della provvigione e sottoscrizione del preliminare, il ricorrente argomenta che, alla stregua dei canoni ermeneutici di buona fede nell’esecuzione del contratto e di conservazione degli effetti del negozio giuridico, il riferimento ivi contenuto alla “sottoscrizione del contratto preliminare” andrebbe inteso come genericamente riferito alla “conclusione dell’affare”, perfezionatasi, nella specie, con l’accettazione da parte dei convenuti della proposta di acquisto del prof. F..
(omissis)
Il ricorso non può trovare accoglimento.
(omissis)
Va da ultimo precisato che l’orientamento giurisprudenziale richiamato dal ricorrente, che collega alla conclusione di un contratto preliminare di preliminare l’insorgenza del diritto del mediatore alla provvigione (Cass. n. 24397/15, Cass. n. 923/17) è stato superato dalla più recedente giurisprudenza di questa Corte.
In particolare, con la sentenza n. 30083/19, la Seconda Sezione civile ha avuto modo di chiarire che, poiché il diritto del mediatore alla provvigione deriva dalla conclusione dell’affare, ai fini della relativa insorgenza non è sufficiente un accordo preparatorio, destinato a regolamentare il successivo svolgimento del procedimento formativo del programmato contratto definitivo.
In detta sentenza è stato quindi enunciato il seguente principio di diritto, al quale il Collegio ritiene doversi dare conferma e seguito: «Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c. c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Va invece escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un c.d. “preliminare di preliminare”, costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento che, pur essendo di per se stesso valido ed efficace e non nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo (Cass. Sez. U., Sentenza n. 4628 del 06/03/2015), non legittima tuttavia la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio».
Il ricorso va dunque rigettato.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.000, oltre euro 200 per esborsi e accessori di legge, tanto per i coniugi S.M./F.V. quanto per il prof. F..