Con l’importante ordinanza n. 21775 del 29 agosto 2019, la Corte di Cassazione nei marca il principio secondo cui in occasione di un atto di compravendita immobiliare il notaio rogante è sempre tenuto ad effettuare tutti gli accertamenti prodromici all’atto, necessari ad identificare il bene che ne è oggetto ed a garantirne la libertà da vincoli, ed in particolare all’effettuazione delle c.d. visure catastali e ipotecarie.
Tale obbligo notarile discende dal generale principio di buona fede e correttezza, inteso in senso oggettivo. La Cassazione ha fatto salvi unicamente i casi di esonero espresso del notaio (per motivi di urgenza o per altre ragioni), che tuttavia devono essere previsti mediante specifica clausola da inserire nel contratto di prestazione professionale, che ne diviene parte effettiva ed integrante.
Vediamo i passaggi salienti della sentenza in oggetto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., ord. 29.8.2019,
n. 21775
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Con sentenza dell’8/6/2016 la Corte d’Appello di Brescia ha respinto il gravame interposto dalla società D. s.r.l. (già L. s.r.l.) in relazione alla pronunzia Trib. Brescia n. 900 del 2012, di rigetto della domanda proposta nei confronti del sig. G.B. di risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’atto di compravendita – dal predetto rogato nella sua qualità di notaio – di unità immobiliari facenti parte di un complesso edilizio sito in Roma stipulato con la società B. s.a.s., in base al quale essa non aveva acquistato la proprietà, essendosi successivamente accertato che «uno dei precedenti danti causa di L. s.r.l., F.G., mai aveva acquistato la proprietà».
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società C. s.r.l. (già D. s.r.l., già L. s.r.l.) e il sig. L.M., cessionario del credito risarcitorio per cui è causa, propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il G.B..
Con il 1° motivo i ricorrenti denunziano falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1375, 757, 2646, 2648, 2650, 1158, 1159 c.c., in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto provata la proprietà degli immobili de quibus in capo al sig. L. F., e considerato anello base della catena o sequenza delle trascrizioni per il periodo ventennale dell’usucapione un mero atto divisionale, in difetto di un titolo di acquisto risalente ad almeno 20 anni prima dell’ispezione.
Lamentano non essersi dalla corte di merito considerato che le visure immobiliari non integrano problemi di speciale difficoltà ex art. 2236 c.c., e che al fine di escludere la propria responsabilità il notaio avrebbe dovuto provare che, malgrado la diligente esecuzione delle visure immobiliari, non era stato raggiunto il risultato perseguito dalla parte acquirente degli immobili per una causa a sé non imputabile.
(omissis)
Con il 2° motivo denunziano «violazione e falsa applicazione» degli artt. 1175, 1176, 1375 c.c., in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Si dolgono che la corte di merito non abbia considerato che il notaio avrebbe dovuto informarla dei rischi, tanto più che il suo legale rappresentante M. aveva espressamente richiesto controlli particolarmente accurati (al punto da vincolare il pagamento del prezzo all’esito delle verifiche successive alla stipula).
(omissis)
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno p.q.r. accolti nei termini e limiti di seguito indicati.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, superato l’orientamento formatosi sotto la previgente codificazione in base al quale era da escludersi il relativo obbligo per il notaio rogante in assenza di espresso e specifico incarico al riguardo, si è da epoca ormai risalente affermato che ove richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare il medesimo è tenuto al compimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti, e in particolare all’effettuazione delle c.d. visure catastali e ipotecarie, allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà (omissis).
La sussistenza di tale obbligo è stata dalla giurisprudenza di legittimità dapprima argomentata dal combinato disposto di cui agli art. 2913 c.c. e art. 28 L.N., in ragione della funzione pubblica del notaio (v. Cass., 1/8/1959, n. 2444 ), ovvero da quello di cui agli artt. 4 (secondo cui alle domande di voltura debbono essere acquisiti i certificati catastali) e 14 (che fa obbligo al notaio di chiedere la voltura) d.p.r. n. 640 del 1972, in base al quale il notaio è tenuto ad espletare attività di verifica catastale ed ipotecaria volta ad accertare la condizione giuridica ed il valore di un immobile, da tenersi distinta dalla normale indagine giuridica occorrente per la stipulazione dell’atto (v. Cass., 23/7/2004, n. 13825 ).
Successivamente (omissis), nel sottolinearsi che l’opera professionale di cui è richiesto il notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive volte ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti (omissis), la fonte dell’obbligo in argomento è stata da questa Corte ravvisata nella diligenza che il notaio è tenuto ad osservare (omissis) nell’esecuzione del contratto d’opera professionale (omissis), il cui contenuto si è da ultimo affermato essere da tale obbligo integrato ai sensi dell’art. 1374 c.c. (omissis).
La responsabilità del notaio, si è altresì precisato, rimane esclusa solamente in caso di espresso esonero – per motivi di urgenza o per altre ragioni – da tale incombenza, con clausola inserita nella scrittura (omissis), da considerarsi pertanto non già meramente di stile bensì quale parte integrante del contratto (omissis), sempre che appaia giustificata da esigenze concrete delle parti (v. Cass., 1/12/2009, n. 25270).
Quand’anche sia stato esonerato dalle visure, si è ulteriormente sottolineato, il notaio che sia a conoscenza o che abbia anche solo il mero sospetto della sussistenza di un’iscrizione pregiudizievole gravante sull’immobile oggetto della compravendita deve in ogni caso informarne le parti, essendo tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, 2° co., c.c. e della buona fede ( art. 1375 c.c. ) (omissis).
Orbene (omissis), va al riguardo (omissis) osservato come la fonte dell’obbligo per il notaio rogante di effettuare le visure in questione debba invero propriamente ravvisarsi non già nella diligenza professionale qualificata (omissis) bensì nella clausola generale (nell’applicazione pratica e in dottrina indicata anche come “principio” o come “criterio”) di buona fede oggettiva o correttezza ex artt. 1175 c.c. (omissis).
Come osservato anche in dottrina, oltre che regola (artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c.) di comportamento (omissis), e regola (art. 1366 c.c.) di interpretazione del contratto (omissis), la buona fede oggettiva o correttezza è infatti anche criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo invero fonte (omissis) di integrazione del comportamento dovuto (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860), là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (omissis).
L’impegno imposto dall’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va quindi correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860).
L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è infatti da valutarsi alla stregua della causa concreta dell’incarico conferito al professionista dal committente, e in particolare al notaio (omissis), e cioè con lo scopo pratico dalle parti perseguito mediante la stipulazione, o, in altre parole, con l’interesse che l’operazione contrattuale è propriamente volta a soddisfare (omissis).
L’obbligo di effettuare le visure ipocatastali incombe allora senz’altro al notaio officiato della stipulazione di un contratto di trasferimento immobiliare anche in caso di utilizzazione della forma della scrittura privata autenticata (omissis).
Né al fine di escluderne la responsabilità rilievo alcuno può invero riconoscersi alla circostanza che l’utilizzazione della forma della scrittura privata risponda a scelta della parte, la quale si sia rivolta al notaio «per la autenticazione delle firme di una scrittura privata di compravendita» in precedenza da terzi o da essa stessa redatta (omissis).
La clausola di buona fede o correttezza ha infatti – come detto – valenza generale, e trova anche in tal caso applicazione ( cfr. Cass., 20/1/2013, n. 2071 ).
Orbene, i suindicati principi sono stati nell’impugnato provvedimento in parte disattesi dalla corte di merito, che per altro verso non ne ha invero debitamente tratto i logici e stringenti corollari.
È rimasto nella specie accertato che il giorno 27/2/1998 presso lo studio notarile dell’odierno controricorrente veniva stipulato l’atto di compravendita tra la società alienante B.s.r.l. e la società acquirente L. s.r.l. (poi D. s.r.l. e quindi C. s.r.l.) avente ad oggetto il compendio immobiliare costituito da «otto magazzini commerciali ubicati in …, contraddistinto nel Catasto Urbano con il mappale …, originato dai mappali … e … del Catasto Terreni, a loro volta originati dal mappale …, sempre del foglio …».
All’esito di ricerche effettuate presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e presso l’Agenzia del Territorio è rimasto accertato che il sig. G.F., uno dei precedenti danti causa della società L. s.r.l., non ha mai acquistato i beni venduti.
Affermatasi dal giudice di prime cure la ricorrenza nella specie di una «vendita di cosa altrui, essendo emerso dalla risultanze della C.T.U. che i beni oggetto della compravendita non sono stati trasferiti in proprietà alla società attrice a causa dell’errata trascrizione di un titolo (divisione redatta dal Notaio C. nel 1950) avvenuta nel 1991, che non comprendeva i beni oggetto della compravendita», la corte di merito ha escluso la responsabilità del notaio, affermando che «il notaio che ha prestato assistenza alle parti della compravendita oggetto del presente giudizio ha eseguito l’incarico usando la dovuta diligenza richiesta».
Tale giudice ha raggiunto la detta conclusione pur dopo aver dato espressamente atto:
a) della non sussistenza della continuità delle trascrizioni «né nella linea che conduce ad Al. s.r.l. ed Ac. s.r.l. né nella linea dei trasferimenti che conduce a L. s.r.l., con la particolarità che mentre nel primo caso mancava formalmente la trascrizione dell’atto di vendita dal Comune di Roma all’Istituto Autonomo Case Popolari (1936), nel secondo caso la trascrizione dell’atto che indicava F.L. proprietario del bene fin dal 1950 era opera di una falsificazione»;
b) che «l’atto di divisione dei beni appartenuti a F.L., che si trovavano in Sermoneta (LT) e Norma (LT) del notaio C. redatto nel 1950 e trascritto contestualmente presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Latina, viene nuovamente trascritto nel 1991, ben 41 anni dopo la stipula dell’atto, questa volta presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma»;
c) che l’atto registrato nel 1991 «è palesemente difforme dal titolo reperito presso l’archivio notarile di Latina, sede del notaio rogante (C.)»; che «le denunce di successione di F.L. non erano mai state trascritte, motivo per cui occorreva verificare attraverso le ispezioni catastali di quali immobili fosse proprietario il de cuius e che da tale ricerca si sarebbe appreso che i mappali … e …, già mappale …, del Catasto Urbano non erano mai passati in proprietà degli eredi del de cuius».
Orbene, la suindicata affermazione si appalesa, oltre che del tutto illogica e contraddittoria rispetto alle formulate premesse, senz’altro violativa dei sopra richiamati principi.
Atteso che, trattandosi di contratto di prestazione d’opera professionale, a fronte dell’inadempimento allegato dalla cliente incombe al professionista dare la prova del fatto estintivo o impeditivo (cfr. Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533), alcun valore può invero al riguardo riconoscersi all’argomento che «la diversa estensione del mappale 92 oggetto di compravendita e quello contenuto nell’atto falsificato poteva apparire come «frutto di errore materiale e pertanto circostanza trascurabile», giacché alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto in tema di diligenza professionale del notaio tale circostanza avrebbe dovuto per converso indurre quest’ultimo all’effettuazione di una approfondita verifica al riguardo.
Né del pari possono in proposito valorizzarsi le ulteriori affermazioni secondo cui «le visure catastali avrebbero evidenziato che mentre le due società Al. s.r.l. e Ac. s.r.l. erano proprietarie dal 1980, F.L. lo era fin dal 1963, ossia da epoca più risalente, motivo per cui anche tale ricerca non avrebbe dovuto destare allarme circa la bontà della compravendita per L. s.r.l.»; e che l’atto divisionale fosse falso.
A parte il rilievo che la prima affermazione risulta invero non ben comprensibile, a fortiori in considerazione della circostanza che anche l’atto divisionale del 1950 non può ritenersi idoneo a costituire l’anello iniziale della catena (almeno ventennale) delle trascrizioni, trattandosi di atto divisionale avente natura di mero accertamento, la seconda affermazione si appalesa senz’altro erronea, atteso che come sostenuto dagli odierni ricorrenti il notaio non avrebbe potuto arrestare l’indagine a tale atto ma sarebbe dovuto risalire ad un idoneo atto d’acquisto anteriore alla detta divisione.
A parte il rilievo che le visure immobiliari non prospettano in realtà nemmeno problemi di speciale difficoltà (omissis), in mancanza di certezza in ordine alla qualità di proprietario del condividente F.L., dante causa del F.G., e a fortiori in presenza delle riscontrate anomalie nel corso delle eseguite visure, il notaio odierno controricorrente [che di queste ultime, pur essendovi tenuto (v. Cass., 15/6/1999, n. 5946) è rimasto accertato non avere nemmeno informato la parte acquirente], non avrebbe dovuto procedere a rogare l’atto di compravendita in argomento.
Alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto l’erroneità dell’impugnata pronunzia emerge dunque evidente.
Della medesima s’impone pertanto la cassazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata provvedimento e rinvia, anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione.