I muri perimetrali dell’edificio in condominio – i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta, determinano la consistenza volumetrica dello edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica – sono da considerare comuni a tutti i condòmini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici. È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 11288 del 10 magio 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 10.5.2018,
n. 11288
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Con atto di citazione notificato il 4/5 dicembre 2006 D.R.G. – nella qualità di proprietaria dei locali adibiti ad uso commerciale ubicati in (omissis), inseriti nel complesso condominiale … – evocava, dinanzi al Giudice di pace di Lecce, il Condominio assumendo l’erroneità della tabella condominiale A applicata nella ripartizione delle spese relative alla richiesta di risarcimento dei danni lamentati dalla condomina B.T. alla propria abitazione a seguito di infiltrazioni di acque meteoriche, come da Delib. 31 ottobre 2006, in quanto essendo le sue proprietà poste al piano terra ed a civici diversi rispetto all’androne condominiale, avevano una differenza strutturale, funzionale ed estetica rispetto alle proprietà dei condòmini adibite ad uso abitativo, poste ai piani sovrastanti il piano terra, con la conseguenza che le spese dovevano ripartirsi secondo il diverso criterio di cui alla Tabella B; per l’effetto chiedeva l’annullamento della delibera de qua.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto che assumeva la regolarità del criterio di riparto dei costi adottato trattandosi di rifacimento delle facciate esterne dell’edificio, da ritenere comuni, il giudice adito, in accoglimento della domanda attorea, la dichiarava esentata dal versamento pro-quota della somma richiesta da terzi al condominio a titolo di risarcimento dei danni da cattiva manutenzione.
In virtù di rituale impugnazione interposta dal Condominio, il Tribunale di Lecce, nella resistenza della D.R.G., accoglieva il gravame e per l’effetto respingeva la domanda attorea, disponendo in ordine alle restituzioni e alle spese processuali.
A sostegno della decisione adottata il giudice dell’impugnazione, premessa l’ammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c., argomentando la censura sulla scorta di rilievi sollevati alla consulenza espletata e proponendone una diversa prospettazione, nel merito evidenziava che nel parallelo giudizio relativo alla delibera di riparto delle spese di manutenzione straordinaria e di rifacimento delle facciate esterne dell’edificio, queste erano state considerate condominiali perché elemento portante e strutturale del manufatto, essenziale per la stabilità e la sicurezza del fabbricato in proprietà necessariamente comune a tutti i condòmini; detta affermazione era assolutamente da condividere, onde il danno patito dalla condomina B.T. doveva essere ripartito secondo il criterio dei millesimi di proprietà per essere scaturito dalla cattiva manutenzione delle pareti di prospetto del fabbricato condominiale. Infine attribuiva valore preclusivo al fatto che l’impugnazione non riguardava il riparto delle spese manutentive, per le quali avrebbe, in ipotesi, avuto un senso porsi il problema dell’uso differente delle cose comuni – art 1123 c.c. – bensì un risarcimento del danno che ontologicamente andava ripartito secondo i millesimi di proprietà.
Avverso la indicata sentenza del Tribunale di Lecce ha proposto ricorso per cassazione la D.R.G., sulla base di tre motivi, cui ha resistito n Condominio con controricorso.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e la falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. (ante novella della L. n. 134 del 2012) in relazione alla mancata declaratoria di inammissibilità dell’appello per omessa e/o carente indicazione di motivi specifici. Ad avviso della ricorrente, infatti, il Condominio in appello si era limitato a reiterare semplicemente le censure e le doglianze eccepite in primo grado. Con la conseguenza che così operando il giudice del gravame avrebbe frustrato il principio devolutivo dell’appello, lasciando al giudicante un inammissibile potere discrezionale di individuare i capi della decisione oggetto di impugnazione. In altri termini, l’atto di appello avrebbe dovuto scontare un contenuto minimo tale da consentire l’effetto devolutivo, non operando automaticamente ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. La ricorrente conclude riportando interi passi degli atti difensivi del Condominio dai quali emergerebbe – a suo dire – la loro perfetta sovrapponibilità sia ove prodotti in primo grado sia nella fase di appello, mancando una qualsiasi critica alla decisione del giudice di prime cure.
Il motivo è privo di pregio.
Occorre preliminarmente osservare che nel presente giudizio non rileva la questione rimessa alle Sezioni Unite dalla Terza Sezione con l’ordinanza interlocutoria n. 8845 del 2017, giacché l’art. 342 c.p.c. applicabile ratione temporis è nel testo anteriore alla riforma di cui al D.L. 22 giugno, n. 23, art. 54, comma 1, lett. a) conv. con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 152.
Nel merito, giova premettere che, al fine di soddisfare il requisito di specificità richiesto dall’art. 342 c.p.c., occorre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultino contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. Se è vero infatti che l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell’appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, è necessario però che ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (cfr Cass. Sez. Un. n. 28057 del 2008; Cass. n. 7786 del 2010).
Nel caso di specie, il giudice di primo grado aveva ritenuto sussistere autonomia strutturale e funzionale dell’immobile di proprietà della D.R.G. rispetto all’edificio condominiale, in coerenza alle conclusioni rese dall’ausiliario del giudice, i cui rilievi erano stati contestati dal Condominio già in corso di svolgimento dell’accertamento tecnico, sicché il motivo di appello – col quale è stata proposta la questione, lamentandosi la contraddittorietà della motivazione laddove statuiva che sebbene il fabbricato fosse costituito e sorretto da un’unica struttura portante, vi era autonomia dei locali posti al piano terra rispetto al complesso condominiale posto ai piani sovrastanti – risulta conforme al disposto dell’art. 342 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (vale a dire quello precedente le modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012 convertito nella L. n. 134 del 2012), come interpretato alla stregua dei principi appena richiamati. E che l’individuabilità dei profili delle censure fosse evidente risulta già dal fatto che l’appellata, la medesima D.R.G., aveva compreso che i motivi di appello riflettevano la questione della ritenuta autonomia strutturale, funzionale ed estetica delle varie parti dell’edificio e la condivisibilità o meno delle conclusioni peritali, tant’è che l’appellata si era difesa compiutamente, nel merito, anche in grado di appello. La ritenuta specificità dei motivi di gravame, infatti, non è contraddetta dal fatto che il Condominio sia stato costretto a riproporre in sede di impugnazione argomentazioni giuridiche rimaste sostanzialmente senza risposta nel pregresso grado di giudizio, quali ad esempio il carattere di condominialità delle pareti esterne dell’edificio, c.d. pareti portanti, aventi pur sempre la funzione di delimitare la sagoma dello stabile, essendo peraltro inserite nella medesima struttura portante in cemento armato, ed indispensabili per assicurare l’utilizzo abitativo dei vari piani e la conservazione dell’intera costruzione rispetto all’azione degli agenti atmosferici.
Di ciò vi è traccia nello stesso ricorso, in cui viene tratteggiata la critica rivolta, con l’atto di appello, dal Condominio alla sentenza di prime cure (v. pag. 27 ricorso), dal momento che quest’ultima aveva fatto proprie le conclusioni del c.t.u., facendo riferimento proprio alla c.t.u. esperita in primo grado; risultano, poi, confutate le ragioni della ritenuta autonomia ed indipendenza del piano terreno rispetto ai piani superiori dello stabile condominiale (v. pagg. 26 e 28 del ricorso).
È infatti indubitabile che l’ampiezza e la portata delle critiche sono commisurate all’ampiezza ed alla portata delle argomentazioni spese dal primo giudice. Pertanto, qualora queste siano talmente generiche da consistere sostanzialmente nella mera affermazione di rigetto delle ragioni della parte ovvero addirittura omesse, ogni censura ben può procedere alla riproposizione delle medesime ragioni, evidenziando che il primo giudice le ha disattese senza alcun supporto motivazionale suscettibile di apposita critica (cfr., tra le altre, Cass. n. 7786 del 2010 nel senso che la valutazione circa il rispetto, da parte dell’appellante, dell’obbligo di indicare specificamente le critiche rivolte contro la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., va compiuta tenendo presente le argomentazioni addotte dal giudice di primo grado, poiché non è possibile una contestazione specifica di conclusioni non fondate su basi specifiche).
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. in ordine alla errata valutazione come fatti non più contestabili di circostanze accertate con sentenze non ancora passate in giudicato. Ad avviso della ricorrente la corte territoriale avrebbe errato nel valutare le circostanze di fatto richiamate come definitivamente accertate, in quanto le stesse formavano oggetto di contenzioso non ancora concluso; la parte fa specifico riferimento al giudizio R.G. n. 615 del 2004 e alla pronuncia n. 1921 del 2010. Il mezzo non può trovare ingresso in quanto le norme di cui si assume la violazione risultano male invocate. Il giudice di appello non ha utilizzato le risultanze cui era pervenuto il giudice relativamente al diverso giudizio instaurato fra le medesime parti con riferimento alla ripartizione dei costi di manutenzione straordinaria delle facciate ritenendo tali statuizioni passate in giudicato, ma ha chiarito di condividere le conclusioni, di cui ha sintetizzato i punti salienti (sostanzialmente costituiti dal riconoscimento della funzione comune delle pareti di prospetto dell’edificio condominiale), cui era pervenuto il giudice in quel giudizio (v. pag. 4 sentenza impugnata).
La ricorrente sostiene in buona sostanza che la corte territoriale nelle sue difese ha letto fatti diversi da quelli realmente dedotti, non tenendo conto di alcuni passaggi argomentativi per basare il suo convincimento; denunzia quindi il travisamento di quanto da lei riferito.
Tale travisamento, se davvero è stato commesso, costituisce motivo di revocazione, non di ricorso per cassazione (v., tra le tante, Cass. 13 gennaio 1990 n. 92; Cass. 22 febbraio 1999 n. 1477). E anche se si volesse prescindere dall’osservazione che precede, resterebbe comunque insuperabile il rilevo che la ricorrente ha certamente inteso censurare gli apprezzamenti di merito espressi dalla corte distrettuale con argomentazioni esaustive e prive di vizi logici e giuridici, dopo avere accertato la genericità delle difese della condomina inadempiente.
È da rigettare, infine, anche il terzo mezzo con il quale la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., in merito alla individuazione del muro perimetrale come parte comune dell’edificio e comunque ritenuto in comproprietà con la D.R.G., oltre a violazione e a falsa applicazione dell’art. 1123 c.c. in merito al riparto delle spese di ripristino dello stesso, così come dell’obbligo risarcitorio per i danni dallo stesso propagati in capo a tutti i condòmini e comunque in capo alla D.R.G. in proporzione alle quote millesimali secondo la tabella di proprietà generale “A”. La ricorrente deduce l’erroneità della individuazione del muro perimetrale dello stabile condominiale come parte comune e ribadisce l’autonomia strutturale del piano terra rispetto a quelli sovrastanti, pur riconoscendo che le proprietà individuali sono inserite nella medesima struttura portante in cemento armato.
Innanzitutto la critica involge questioni di merito, richiedendo una nuova valutazione delle risultanze peritali.
Quanto alla denuncia di violazione degli artt. 1123 e 1117 c.c., occorre osservare che il sintagma “muro maestro” – che viene riproposto anche nel novellato art. 1117 c.c. di cui alla L. n. 220 del 2012 – non va inteso in senso strettamente ingegneristico, come vorrebbe la ricorrente, in quanto negli edifici realizzati con intelaiature di pilastri ed architravi in cemento armato, privi pertanto di “mura portanti”, il muro maestro coincide con il muro perimetrale dell’edificio (che altrimenti risulterebbe uno scheletro vuoto, privo di qualsiasi utilità), perché esso vale a conferire al manufatto i caratteri di una struttura abitativa.
La corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi in materia espressi dalla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato: “I muri perimetrali dell’edificio in condominio – i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta, determinano la consistenza volumetrica dello edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica – sono da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici” (Cass. n. 839 del 1978). “I muri perimetrali dell’edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c. in quanto determinano la consistenza volumetrica dell’edificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell’edificio stesso. Pertanto, nell’ambito dei muri comuni dell’edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dello immobile” (Cass. n. 3867 del 1986).
In altri termini, il muro perimetrale è comune perché dà sagoma all’edificio, ne assicura la fruibilità abitativa e la conservazione rispetto agli agenti atmosferici. Il muro perimetrale può essere portante, ossia maestro, ma anche ove privo di detta funzione strutturale, non risulta esclusa la comproprietà per essere comunque condominiale (v. Cass. n. 4437 del 2017; Cass. n. 24295 del 2014; Cass. n. 16097 del 2003; Cass. n. 4314 del 2002; Cass. n. 10008 del 1991).
Costituisce logico corollario della ritenuta natura del muro perimetrale l’applicazione della Tabella A quanto al riparto delle spese occorrenti per ripristinarne la funzionalità e per la distribuzione dei costi per il risarcimento dei danni cagionati al singolo condomino dall’incuria nella conservazione del bene comune.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal controricorrente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
(omissis)
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misure del 15% e agli accessori di legge.