Condominio: se il cane sporca la biancheria stesa del vicino
Il cane, con le proprie deiezioni, sporca la biancheria del vicino di casa? Il padrone che non l’ha impedito non è punibile per danneggiamento, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per effetto dell’abrogazione disposta con d.lgs 7/2016. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 13970/2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 13970/2018
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Ritenuto in fatto e considerato in Diritto
- Con l’impugnata sentenza il Giudice di Pace di Eboli assolveva E.A. dal reato di danneggiamento, consistito nel non aver impedito che le deiezioni del proprio cane sporcassero la biancheria stesa ad asciugare nel sottostante balcone, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato per effetto dell’abrogazione disposta con d. lgs 7/2016.
- Ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Salerno, deducendo la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. e l’erronea applicazione degli artt. 635 e 639 cod. pen.. Sostiene il ricorrente che il giudice ha abdicato ai poteri di verifica dell’esatta qualificazione giuridica del fatto, omettendo di rilevare che lo stesso doveva essere sussunto nella previsione di cui all’art. 639 cod. pen. (fattispecie tuttora vigente) piuttosto che in quella di danneggiamento semplice, con conseguente perdurante illiceità penale della condotta.
- Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. Questa Corte ha precisato che, poiché l’“abolitio criminis” espunge dall’ordinamento la norma incriminatrice penale, ogni giudice che sia formalmente investito della cognizione sulla fattispecie oggetto di abrogazione ha il compito di dichiarare, ex art. 129, comma primo, cod. proc. pen., che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all’art. 2, comma secondo, cod. pen., per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. Infatti, una volta venuto meno l’oggetto sostanziale del rapporto processuale penale tale declaratoria è necessariamente pregiudiziale rispetto ad ogni altro accertamento che implichi, invece, la formale permanenza di una “res judicanda” (Sez. 6, n. 356 del 15/12/1999). Sulla scorta del medesimo principio si è affermato che la mancanza di una condizione di procedibilità osta a qualsiasi altra indagine in fatto, imponendo al giudice di dichiarare immediatamente e preliminarmente l’improcedibilità (Sez. 2, n. 45160 del 22/10/2015) e che l’obbligo sancito dall’art. 129 cod. proc. pen. impedisce la proponibilità di una questione di legittimità costituzionale, pur se questa è finalizzata a conseguire un più vantaggioso epilogo assolutorio (Sez. 1, n. 19915 del 17/12/2013), ovvero l’approfondimento del “thema decidendum” e la modifica della qualificazione giuridica del fatto (Sez. 6, n. 16386 del 29/01/2013).
- Pertanto, la rilevata espunzione dal sistema penale della fattispecie incriminatrice ex art. 635, comma 1, cod. pen. imponeva al giudice l’immediato epilogo decisorio, risultando preclusi gli accertamenti in fatto invocati dal ricorrente e intesi alla riqualificazione dell’addebito in ragione della sopravvenuta giuridica inesistenza dell’originaria regiudicanda. A tanto consegue l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.