La Cassazione conferma la sentenza della Corte d’Appello di Roma, secondo cui, nell’ipotesi di uso del lastrico solare non comune a tutti i condòmini, la responsabilità dei danni ricade sia sul proprietario del lastrico solare che sul condominio, e ciò anche nel caso in cui il lastrico costituisca copertura di un immobile che appartenga in via esclusiva ad un solo soggetto.
Di seguito, un estratto dell’ordinanza 29950 del 19 novembre 2019.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 19.11.2019,
n. 29950
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– la società P.M. s.r.l. aveva evocato in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, E.B. esponendo di essere proprietaria di una autorimessa sovrastata dal terrazzo annesso all’appartamento di proprietà della convenuta. Aveva dedotto che nell’autorimessa si erano verificate delle infiltrazioni d’acqua per la cui eliminazione lo stesso Tribunale, con precedente ordinanza del 25 novembre 2010, aveva ordinato alla convenuta di eseguire i lavori indicati nella relazione di a.t.p. (accertamento tecnico preventivo), senza che l’ordine fosse adempiuto;
– si era costituita la E.B. chiedendo il rigetto della domanda e, in via subordinata, la riduzione dei danni, la loro ripartizione sensi dell’articolo 1126 c.c. e spiegando domanda riconvenzionale per la condanna della società, ai sensi dell’articolo 844 c.c., ad adottare le misure necessarie ad impedire il protrarsi delle immissioni dal garage di proprietà della attrice, oltre al risarcimento dei danni;
– il Tribunale, con sentenza del 4 novembre 2014, dichiarava la convenuta responsabile delle infiltrazioni subite dall’autorimessa e poneva a carico della stessa le spese necessarie ai lavori di rifacimento del lastrico solare, rigettando ogni altra domanda, anche spiegata in via riconvenzionale;
– con atto di citazione del 18 dicembre 2014 E.B. proponeva appello chiedendo la riforma della decisione. Si costituiva la società P.M. s.r.l. chiedendo il rigetto della impugnazione;
– la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 19 febbraio 2018, riteneva fondati i motivi di impugnazione, rilevando che, a causa della natura dei luoghi, trovava applicazione il principio secondo cui, nell’ipotesi di uso del lastrico solare non comune a tutti i condòmini, la responsabilità dei danni ricade sia sul proprietario del lastrico solare che sul condominio, e ciò anche nell’ipotesi in cui il lastrico costituisca copertura di un immobile che appartenga in via esclusiva ad un solo soggetto. Il concorso di responsabilità avrebbe dovuto essere risolto secondo i criteri previsti dall’articolo 1126 c.c; in secondo luogo rilevava che l’immobile era stato costruito dalla stessa società oggi proprietaria dell’autorimessa posta al piano sottostante il lastrico e che gli inconvenienti erano dovuti, sia ad avaria dell’impermeabilizzazione lungo le pareti terminali del lastrico, sia alla imperfetta connessione tra i telai degli infissi e i bordi e ciò consentiva di individuare una responsabilità concorrente anche riguardo all’incidenza causale della situazione delle finestre dell’autorimessa che si aprivano sul lastrico;
– la Corte riteneva fondato anche il motivo relativo al rigetto della domanda riconvenzionale poiché dalle risultanze processuali era emersa l’esistenza di fumi ed esalazioni che rendevano poco praticabile il lastrico solare. Pur in difetto di un danno biologico, le immissioni avevano prodotto un pregiudizio non patrimoniale quantificato dal giudice di appello;
– conseguentemente, in accoglimento dell’impugnazione dichiarava la responsabilità concorrente di entrambe le parti e che le spese di impermeabilizzazione avrebbero dovuto essere ripartite ai sensi dell’articolo 1126 c.c.;
– condannava la P.M. s.r.l. al pagamento della somma di euro 10.000 in ragione delle immissioni intollerabili;
– avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la s.r.l. P.M. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso E.B. che deposita memoria ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c.
(omissis)
– con il secondo motivo si lamenta l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. Secondo la ricorrente l’impermeabilizzazione risalirebbe all’epoca della costruzione (1957), mentre gli interventi di manutenzione non sarebbero stati realizzati da oltre 10 anni. Pertanto la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare l’articolo 1125 c.c. e le spese avrebbero dovuto, al più, essere divise al 50%; non ricorre l’omesso esame di un fatto storico oggetto del secondo motivo perché la Corte d’Appello si è soffermata sul punto, motivando sulla sussistenza di reciproche omissioni. Per il resto la censura è strutturata sulla falsariga del precedente testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c;
– con il terzo motivo si deduce la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e degli articoli 2043 c.c., 844 c.c., 2697 c.c., con riferimento all’articolo 360, n. 3 c.p.c. con riferimento alla domanda riconvenzionale. La nocività delle immissioni di fumo non avrebbe trovato alcun riscontro oggettivo riguardo al profilo dell’intollerabilità e la relazione della Asl si limitava a evidenziare la possibilità di semplici inconvenienti igienico-sanitari causati dall’autorimessa. Inoltre, non vi sarebbe la prova di successivi provvedimenti sanzionatori da parte della azienda sanitaria. Infine, le dichiarazioni rese dal teste A.P. evidenziavano l’assenza di nesso causale tra i presunti danni e le immissioni. Pertanto, secondo la ricostruzione della ricorrente, la Corte d’Appello non disponeva di elementi sufficienti per ritenere provato il danno non patrimoniale;
– il terzo motivo tende ad una valutazione nel merito del materiale probatorio ed è carente ex art. 366 n. 6 c.p.c. riguardo alla documentazione indicata (sono insufficienti i passaggi della relazione della Asl e della prova testimoniale);
– in particolare, la richiesta di valutazione del materiale probatorio al fine di accertare l’esistenza o meno del requisito della intollerabilità costituisce una tipica indagine di fatto non demandabile alla Corte di legittimità. Anche il riferimento alla “possibilità d’inconvenienti igienico sanitari causati dall’autorimessa” riguarda un passaggio diverso della relazione, rispetto a quello citato dalla Corte territoriale. La prospettazione di una ricostruzione differente dei fatti, con insufficienza degli elementi probatori, costituisce una censura che esula, sia dal citato vizio ex articolo 360, n. 3, che dall’ipotesi prevista dal n. 5 della stessa norma;
– infine, la violazione degli artt. 116 e 2697 cod. civ. non è dedotta secondo quanto indicato in motivazione da Cass. n. 11892 del 2016 per la prima norma e per entrambe da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016;
– ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. (omissis).
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.