L’uso della cosa comune da parte di un condomino costituisce abuso non consentito anche nel caso in cui crei, senza il necessario consenso degli altri condòmini, un varco nella recinzione del cortile condominiale al fine di creare un accesso dallo spazio interno comune, delimitato della recinzione, ad un immobile limitrofo, estraneo al condominio e di proprietà esclusiva del condomino, venendo, così, a costituire, a favore del bene estraneo alla comunione ed in pregiudizio degli altri condòmini e della cosa comune, una servitù di passaggio.
Questo, in estrema sintesi, il principio di diritto richiamato dalla Cassazione con l’ordinanza 5132 del 21 febbraio 2019, di cui si riporta un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 21.2.2019,
n. 5132
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Il Condominio … conveniva in giudizio la società M.C., deducendo che la società convenuta, proprietaria del primo piano interrato dell’edificio condominiale, aveva instaurato di fatto una servitù di passaggio in favore di un adiacente terreno di sua proprietà, adibito a parcheggio, praticando tre varchi nella recinzione posta sul confine tra gli immobili. La società si costituiva eccependo l’incompetenza per materia del Tribunale adito e contestando nel merito la domanda. Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando la società a chiudere i varchi.
La sentenza era impugnata dalla società M.C.. La Corte d’appello di Bari – con sentenza 14 ottobre 2013, n. 1292 – ha rigettato l’impugnazione.
La società M.C. ricorre per cassazione avverso la sentenza.
Il Condominio … resiste con controricorso.
Gli intimati indicati in epigrafe non hanno proposto difese.
I. Il ricorso è articolato in tre motivi.
a) I primi due motivi, congiuntamente trattati dalla ricorrente “per ragioni di logica e ordine espositivi”, denunciano “violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 3, n. 2, e 9 c.p.c.” e “violazione e falsa applicazione degli artt. 949 c.c., 1102, 1117, 1122 e 1139 c.c.”: come sin dal primo grado eccepito dalla ricorrente, il Tribunale adito dal Condominio era incompetente, trattandosi di materia che spetta al giudice di pace, competente per le cause relative alla misura e alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case.
Il motivo è infondato. Come ha affermato la Corte d’appello nel respingere l’analoga doglianza rivolta avverso la sentenza di primo grado, essendo stata proposta dal Condominio anche un’espressa domanda negatoria servitutis – e va sottolineato che l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito (cfr., da ultimo, Cass. 30684/2017) – il Tribunale era competente, assorbendo, ai sensi del comma 6 dell’art. 40 c.p.c., nella sua competenza ogni altra domanda in ipotesi appartenente alla competenza del giudice di pace.
b) Il terzo motivo contesta “violazione e falsa applicazione – sotto altro profilo – degli artt. 949, 1102, 1117, 1122, 1139, 1027 e 1028 c.c.”: la Corte d’appello, nel confermare nel merito la sentenza di primo grado, non ha considerato che l’uso più intenso da parte di un condomino di una rampa condominiale esterna non può costituire, alla luce della “chiara giurisprudenza” ricordata dalla ricorrente, affermazione di un diritto di servitù sulla proprietà comune.
Il motivo è infondato. Il giudice d’appello ha infatti seguito l’orientamento di questa Corte secondo cui “l’uso della cosa comune da parte di un condomino a vantaggio di un bene di sua proprietà esclusiva, estraneo al condominio, costituisce abuso non consentito non solo quando alteri la destinazione del bene comune, ma anche nel caso in cui crei, senza il necessario consenso degli altri condòmini, un varco nella recinzione del cortile condominiale al fine di creare un accesso dallo spazio interno comune, delimitato della recinzione, ad un immobile limitrofo, estraneo al condominio e di proprietà esclusiva del condomino, venendo, così, a costituire, a favore del bene estraneo alla comunione ed in pregiudizio degli altri condòmini e della cosa comune, una servitù di passaggio” (così Cass. 24243/2008), in quanto “l’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino perché in tal caso si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini” (da ultimo, Cass. 9447/2013).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese sono liquidate in dispositivo seguendo la soccombenza.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in euro 2.500, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.