A meno di casi particolari e di specifiche prove, l’ufficio non può essere assimilato a una privata dimora, ragion per cui i furti tentati ai danni di due unità immobiliari adibite ad ufficio all’interno di un condominio sono penalmente meno gravi di quelli che fossero stati perpetrati in abitazione. È quanto rimarcato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 6387/2019, di cui si riporta un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. IV pen., sent. n. 6387/2019
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1. La Corte di appello di Bologna il 14 giugno 2018 ha integralmente confermato la sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato dal Tribunale di Bologna il 28 dicembre 2018, appellata dall’imputato, sentenza con cui L.G. è stato ritenuto responsabile di due tentativi di furto in abitazione, entrambi aggravati dalla violenza sulle cose, fatti contestati come commessi il 26 dicembre 2017, e, con le attenuanti generiche, l’aumento per la continuazione e la diminuente per rito, condannato alla pena stimata di giustizia (omissis).
2. Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore, affidandosi a tre motivi, con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto motivazionale.
2.1. Con il primo motivo, in particolare, censura, violazione degli artt. 624-bis e 625, comma 1, n. 2, cod. pen. e, nel contempo, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, per essere stata la fattispecie erroneamente ricondotta al furto in abitazione di cui all’art. 624-bis cod. pen. all’esito di un’interpretazione della legge penale in relazione alla qualificazione giuridica del fatto e di una motivazione sul punto che si stimano contraddittorie ed illogiche.
Gli oggetti del tentativo di furto, infatti, cioè due appartamenti adibiti a sede commerciale di due distinte società, peraltro chiusi il giorno dei fatti (26 dicembre 2017, Santo Stefano) e senza nessuno all’interno, non sarebbero qualificabili come “privata dimora”, secondo quanto recentemente precisato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 31345 del 30 marzo 2017.
(omissis)
1. Il ricorso è parzialmente fondato, nei limiti e per le ragioni di cui appresso.
(omissis)
3. Diverso ragionamento deve farsi, invece, per il primo dei motivi di ricorso.
Se, in punto di fatto, l’imputato risulta essere entrato in un condominio, senza averne titolo, per tentare di rubare all’interno di appartamenti adibiti, per quanto si legge nelle sentenze di merito, ad uffici, amministrativi o commerciali, di società, manca la prova della “privata dimora”, nell’accezione autorevolmente fornita da Sez. U., n. 31345 del 23/03/2017, secondo cui «Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale. (Nella specie la Corte ha escluso l’ipotesi prevista dall’art. 624 bis cod. pen. in relazione ad un furto commesso all’interno di un ristorante in orario di chiusura)».
I giudici di merito hanno errato, dunque, allorché hanno ritenuto rientrare nella nozione di “privata dimora” gli uffici delle società oggetto nella concreta vicenda di tentativo di furto, senza avere previamente approfondito se entro tali immobili si svolgano o meno, e non occasionalmente, atti della vita privata (verificando, ad esempio, se all’interno vi siano o meno spazi adibiti a spogliatoi, a stanze da letto etc. e quale uso in concreto se ne faccia). Infatti, è ben noto che in tema di reati contro il patrimonio la maggiore tutela penale accordata all’abitazione è legata alla protezione della vita privata che in essa vi si svolga, vita privata quale importante proiezione della personalità. La S.C. nella qualificata composizione a Sezioni unite nella già richiamata sentenza ha puntualizzato che la nozione di privata dimora va delineata «sulla base dei seguenti, indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare» (così al punto n. 2.6. del “considerato in diritto” di Sez. U., n. 31345 del 23/03/2017, cit.).
Di intuitiva evidenza, dunque, che la correttezza della qualificazione giuridica ha nel caso di specie importantissimi riverberi:
4. Consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna, che svolgerà gli accertamenti di fatto suindicati e ne trarrà le doverose conseguenze dal punto di vista giuridico.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio.