Si riportano di seguito alcune massime (raccolte e filtrate da Ance Brescia) riferite a sentenze del Consiglio di Stato in materia di distanze minime tra fabbricati.
L’art. 9, comma 1, numero 2 del D.M. 1444/ 1968 prescrive una distanza minima di 10 metri fra pareti finestrate. La norma è ispirata a ragioni di tutela della sanità pubblica, e quindi rientra per sicuro fra quelle per la cui osservanza il Comune può intervenire anche decorso il termine normale, perché volta a evitare le intercapedini, potenzialmente insalubri, per gli abitanti delle zone urbane; si applica come tale anche alle sopraelevazioni ed è un particolare inderogabile anche da parte strumenti urbanistici. In tali termini, a maggior ragione, essa non è derogabile per il solo fatto di essere stata recepita in un regolamento comunale. (Consiglio di Stato, Sez. 6, sentenza del 6 marzo n. 1433).
Quando si interpone una via pubblica, anche a fondo cieco, non uti singuli ma a servizio di più fabbricati e in presenza di pareti finestrate, sussiste senza eccezioni l’obbligo di rispettare la distanza minima di 10 metri incrementabili fino a mt. 13 se la sede stradale sia larga mt. 3,00. Distanze inferiori sono ammesse in deroga solo nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche (art. 9 u.c. D.M. 1444/1968). (Consiglio di Stato, Sez. 4, sentenza del 1 giugno 2018, n. 3329).
L’art. 9, comma 2, del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-quinquies (c.d. legge urbanistica), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica. I limiti inderogabili inoltre trovano applicazione con riferimento alle nuove costruzioni intendendosi per tali gli edifici (o parti o sopraelevazioni di essi) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse. Tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile. (Consiglio di Stato, parere del 6 marzo 2018, n. 1433).
La deroga alla distanza minima tra pareti finestrate può essere considerata ammissibile anche verso l’esterno dei piani attuativi se non vi siano pericoli di peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie nelle abitazioni servite dalle finestre. E in assenza della prova specifica, e quindi non in termini generali, che l’interesse pubblico di natura igienico-sanitaria sia effettivamente esposto a rischi, è legittimo ritenere che la deroga sia stata legittimamente concessa. (Consiglio di Stato, Sez. 6, sentenza del 24 aprile 2018, n. 2491).