Avendo l’amministratore di condominio la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica, si può profilare il momento consumativo dell’appropriazione indebita poiché in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l’interversione nel possesso. È quanto rimarcato dalla Cassazione in merito all’ennesimo caso di un amministratore condannato per essersi impossessato per vie dirette e traverse, di somme versate dai condòmini sul conto corrente condominiale. Di seguito un estratto della sentenza 24197/2018.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 24197/2018
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1. Con sentenza in data 18/04/2017, la Corte di appello di Campobasso rigettava l’appello proposto nell’interesse di G.D. avverso la pronuncia emessa in primo grado dal Tribunale di Campobasso in data 16/06/2015 con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 500 di multa per il reato di appropriazione indebita aggravata.
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di G.D., viene proposto ricorso per cassazione per lamentare:
(omissis)
1. Il ricorso è inammissibile.
(omissis)
3. Manifestamente infondato è il primo motivo che denuncia un’inesistente violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
3.1. Invero, i giudici di merito, dopo aver premesso che il nuovo amministratore del condominio …, all’atto del suo insediamento, aveva rilevato la presenza di ingenti debiti del condominio stesso già amministrato da G.D. verso i fornitori per un ammontare di circa euro 80.000 (ammanco di cassa che era stato dallo stesso occultato essendo stati i bilanci chiusi a zero). Gli accertamenti compiuti dalla nuova amministrazione avevano acclarato che:
3.2. Con riferimento, quindi, alla – sola – maggior somma di euro 49.317,80 (euro 41.416,80 più euro 7.901,00) il G.D. veniva condannato; mentre, con riferimento alla minor somma di euro 13.699 (di cui all’ultimo punto che precede), lo stesso veniva mandato assolto.
Si tratta di somme (quelle complessivamente indicate, pari ad euro 63.016,80) oggetto della originaria – e mai mutata – contestazione, la quale mai ha imputato al G.D. il generico complessivo ammanco di cassa pari ad euro 80.000, nella sua interezza, tenuto conto dei citati accertamenti svolti e della rilevata impossibilità di attribuire con certezza alla pretesa volontà appropriativa del ricorrente somme maggiori a quella di circa euro 60.000 in contestazione.
4. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
La condotta appropriativa è contestata fino al 14/06/2010.
Detto periodo di consumazione non è retrodatabile: invero, l’utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell’amministratore durante il mandato non profila l’interversione nel possesso che si manifesta e consuma soltanto quando terminato il mandato le giacenze di cassa non vengano trasferite al nuovo amministratore con le dovute conseguenze in tema di decorrenza dei termini di prescrizione. Ed infatti, avendo l’amministratore la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica (nella specie, il 14/06/2010, data di subentro del nuovo amministratore) si può profilare il momento consumativo dell’appropriazione indebita poiché in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l’interversione nel possesso (cfr., Sez. 2, n. 27363 del 11/05/2016, Ruggiero).
Quindi, dal 14/06/2010, si calcola il termine di prescrizione che, tenuto conto degli interventi eventi interruttivi, è pari ad anni sette e mesi sei. In realtà, alla data così determinata del 14/12/2017, occorre aggiungere il complessivo periodo di mesi undici e giorni tre per i verificatisi eventi sospensivi, di seguito indicati:
(omissis)
E così, tenuto conto di quanto sopra, il termine complessivo per la prescrizione del reato, si fissa inderogabilmente al 17/11/2018.
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro duemila
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle ammende.