In condominio non è ammesso un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni. È il passaggio chiave dell’ordinanza 15851/2019 della Corte di Cassazione, di cui pubblichiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 12.6.2019,
n. 15851
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1. D.G. e altri partecipanti come in epigrafe del supercondominio in …, hanno convenuto in giudizio l’ente di gestione innanzi al giudice di pace di Milano per sentire, previo accertamento della qualifica di parte comune di una porta collocata sul lato sud del complesso condominiale, disciplinare le modalità d’uso della stessa.
Il supercondominio ha resistito deducendo che il regolamento del complesso individua le modalità di accesso, identificando le entrate con lettere alfabetiche e non ricomprendendo la porta in questione tra esse.
Con sentenza depositata il 21.10.2014 il giudice di pace di Milano ha ritenuto non concedibili le chiavi di detta porta ai condòmini, determinando il regolamento condominiale quali siano gli accessi.
2. Con sentenza depositata 1’8.2.2017 il tribunale di Milano, in composizione monocratica, ha rigettato l’appello proposto da D.G. e altri. La sentenza ha indicato gli accessi pedonali e carrabili previsti nel regolamento richiamato nei diversi atti di acquisto, tra i quali accessi non rientra la porta in questione, coeva all’edificazione del complesso e tale da mettere in comunicazione con una striscia di terreno comune interclusa la quale, tramite una cancellata, confina con l’esterno del complesso. La sentenza ha poi evidenziato che l’esigenza di usare eventualmente tale porta è sorta successivamente, allorché una s.r.l. ha realizzato un complesso di box all’esterno del supercondominio. La sentenza ha infine sottolineato che l’esclusione dell’accesso non viola il diritto dei condòmini all’uso delle parti comuni, trattandosi di disciplina contrattuale, non potendosi la disciplina demandata al giudice sovrapporsi alla volontà già espressa dai condòmini.
3. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione D.G. e altri su quattro motivi.
(omissis)
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, oltre che vizio di motivazione, falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ. A fronte di sentenza del giudice di appello che, avendo accertato la natura condominiale della porta, ha ritenuto la volontà contrattuale dei condòmini, recepita in regolamento, di considerarla inutilizzabile ai fini dell’accesso, i ricorrenti si dolgono dell’erronea applicazione della citata disposizione in tema di uso paritario della cosa comune, essendo legittimo che essi traggano dalla porta ogni utilità compatibile con la destinazione e il couso degli altri partecipanti.
2. Con il secondo e il terzo motivo si deducono, poi, oltre a vizi di motivazione e omesso esame di fatti decisivi, violazioni di legge per quanto concerne – quanto al secondo motivo – gli artt. 1104, co. 1, 1118, co. 2 e 3, 1123, co. 1, cod. civ., nonché – quanto al terzo – gli artt. 1138, co. 1 e 4, 1362 ss. cod. civ., nonché 115 cod. proc. civ.
In particolare, si deduce che la sentenza avrebbe violato le cennate disposizioni in tema di contribuzione alle spese per le parti comuni, anche disposta dal regolamento di condominio – posto che la porta appartiene a tutti i condòmini, ma essi pur contribuendo non ne potrebbero far uso – e di interpretazione negoziale – atteso che la porta in questione, forse dimenticata in sede di redazione del regolamento, comunque non potrebbe essere qualificata come “accesso”, per cui la presunta tassativa elencazione degli accessi nel regolamento non ne potrebbe precludere il pari uso.
3. I tre motivi sono strettamente connessi e vanno esaminati congiuntamente.
(omissis)
3.2. La sentenza impugnata ha ritenuto desumibile la non destinazione della porta in questione all’apertura come varco verso l’esterno dall’elencazione contenuta nell’art. 10 del regolamento contrattuale degli accessi pedonali e carrabili al condominio, che non la contempla pur essendo coeva all’edificazione (cfr. pp. 4 e 5 della sentenza impugnata); secondo il tribunale la non destinazione della porta ad accesso non inciderebbe sul diritto dei condòmini a far pari uso della cosa comune garantito da detta norma, trattandosi di un mero divieto contrattuale di accesso generalizzato nell’interesse comune.
3.3. La statuizione non è in linea con la giurisprudenza di questa corte (v. recentemente Cass. n. 2114 del 29/01/2018) secondo cui l’art. 1102 cod. civ. prescrive che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, salvo il limite della non alterazione della destinazione, chiarendosi che l’art. 1102 cod. civ. non pone una norma inderogabile, potendo detto limite essere reso perfino più rigoroso dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il “quorum” prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni.
3.4. Ciò posto, è evidente che, nel caso di specie, la decisione del giudice d’appello concreta l’introduzione di un siffatto divieto di uso generalizzato, peraltro attraverso una visione peculiare secondo la quale gli unici accessi a parti comuni sarebbero da ritenere quelli elencati nel regolamento.
Erroneamente dunque il giudice d’appello, in base all’interpretazione del regolamento condominiale contrattuale, ha ritenuto – in ragione di una malintesa tassatività dell’elencazione degli accessi pedonali e carrabili – doversi ritenere precluso l’accesso mediante la porta in questione, pur se parte comune; esclusione che viola il diritto dei condòmini all’uso delle parti comuni.
3.5. Neppure coerente con l’interpretazione corretta dell’art. 1102 cod. civ. come sopra accolta è la considerazione, svolta dal tribunale, secondo cui – avendo l’Immobiliare P. s.r.l. edificato un complesso di box all’esterno del supercondominio, ed immettendo la porta in questione su una striscia di terreno comune interclusa, ma separata da un cancello dall’esterno, ove sono siti i box (cfr. p. 5 della sentenza impugnata) – il libero accesso alla porta realizzerebbe, attraverso il cancello, un varco all’esterno non autorizzato. In sé infatti, in relazione all’indimostrata sussistenza di un divieto contrattuale di creazione di ulteriori accessi all’esterno, l’uso della porta e dell’ulteriore cancello al fine di entrare e uscire dal condominio non potrebbe essere in contrasto con la menzionata norma, a meno che non si alterni la destinazione del cancello o della striscia di terreno interclusa; temi, questi, su cui però il tribunale non si è soffermato.
(omissis)
3.7. In relazione a tali aspetti con la sentenza impugnata, invero, il tribunale si è limitato a descrivere la collocazione all’esterno del cancello, limitante la zonetta comune interclusa cui conduce la porta in questione, dell’edificio box, senza però alcunché argomentare in ordine al pericolo di formazione di una eventuale servitù, tale da costituire alterazione della destinazione dei varchi.
3.8. Ne deriva che i primi tre motivi, già esaminati sotto il profilo prevalente della falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ. e delle disposizioni codicistiche che ad esso sono conseguenziali, vanno accolti e la sentenza impugnata va cassata in relazione ad essi, con rinvio al giudice monocratico milanese, in persona di diverso magistrato, per una rinnovata valutazione alla luce degli indicati principi di diritto.
(omissis)
la corte accoglie il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al tribunale di Milano in composizione monocratica in persona di altro magistrato.