Tra i difetti di cui il costruttore è tenuto a rispondere ci sono anche quelli che, pur non compromettendo la stabilità, totale o parziale, dell’edificio condominiale, possano essere, comunque, qualificati “gravi”. Tra questi rientrano le carenze costruttive dell’opera che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, ivi compresa la mancata realizzazione del cappotto termico.
Sono alcuni dei principi di diritto richiamati dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza 22093 del 4 settembre 2019, di cui si riporta un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 4.9.2019,
n. 22093
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D.B. ha presentato ricorso, articolato in due motivi, avverso la sentenza n. 81/2015 della Corte di appello di Bari, depositata in data 23 gennaio 2015.
M.V. (e altri) resistono con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
Con atto di citazione del 24 febbraio 2004, M.V. (e altri) convennero dinanzi al Tribunale di Bari D.B., quale venditore e appaltatore delle unità immobiliari comprese nell’edificio sito in …, chiedendo la condanna del convenuto al risarcimento dei danni, stimati in euro 50.000, per i gravi vizi emersi nelle parti comuni e nei singoli appartamenti.
Con sentenza del 25 gennaio 2007 il Tribunale di Bari dichiarò inammissibile la domanda, rilevando che gli attori avevano agito quali acquirenti delle unità immobiliari e che la disciplina applicabile era perciò quella dell’art. 1495 c.c., e ritenendo tardiva la precisazione contenuta in comparsa conclusionale relativa all’avvenuta proposizione di domanda per gravi difetti di costruzione ai sensi dell’art. 1669 c.c..
M.V. (e altri) proposero appello dinanzi alla Corte di appello di Bari, la quale accolse il gravame con la sentenza n. 81/2015, condannando D.B. al pagamento della somma di euro 38.140, oltre Iva. I giudici di secondo grado qualificarono la domanda come azione di responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c., ravvisando i gravi difetti, alla stregua degli accertamenti peritali, in relazione al porticato ed all’androne scala A ed al difetto di isolamento delle strutture.
Il primo motivo di ricorso di D.B. (che si struttura da pagina 5 a pagina 22) censura l’omesso esame circa un fatto decisivo, per avere la Corte di appello riconosciuto la responsabilità dell’appaltatore quale conseguenza della mancata realizzazione del “cappotto” di isolamento termico, alla stregua di assunti aprioristici e non documentati, né verificati, del CTU, ovvero sulla base di una semplice ispezione visiva dell’ausiliare.
Il secondo motivo di ricorso (da pagina 22 a pagina 30) censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 c.c. e 1669 c.c., avendo la Corte di Bari erroneamente qualificato il difetto di isolamento delle strutture, quello relativo al porticato e all’androne scala A e quello relativo ai rivestimenti esterni come vizi di costruzione aventi caratteri di gravità ai sensi dell’art. 1669 c.c., trattandosi, piuttosto, di vizi rientranti nella previsione di cui all’art. 1667 c.c..
Entrambi i motivi di ricorso si rivelano infondati nei termini di seguito esposti.
(omissis)
È quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. per sostenere genericamente l’inattendibilità delle conclusioni del CTU quanto alla mancata realizzazione del cappotto di isolamento termico, circostanza dalla quale la sentenza impugnata ha tratto la conclusione di un grave difetto costruttivo, tale da ridurre la resistenza climatica delle pareti del 50%. Al riguardo, la Corte di Bari ha affermato che nell’indagine sul punto il CTU avesse tratto il proprio convincimento dalla “originaria perizia B.”, da quanto direttamente constatato e dallo stralcio della relazione termotecnica prodotta dal consulente di parte degli appellanti.
Il primo motivo di ricorso è altrimenti volto a devolvere alla Corte di Cassazione le critiche mosse alle risultanze della consulenza d’ufficio (critiche che comunque si sostanziano in semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), pur non essendosi la Corte d’Appello di Bari limitata acriticamente a far proprie le conclusioni della relazione peritale, visto che nella sentenza impugnata (pagine 8 -10) sono spiegate le ragioni del convincimento raggiunto dai giudici e dell’adesione alla conclusione prospettata dall’ausiliare a proposito del difetto strutturale di isolamento.
Spetta, del resto, al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Tale valutazione è compiutamente esplicitata nella sentenza della Corte d’Appello di Bari e non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di Cassazione, come auspica il ricorrente, un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione inferenziale dell’adesione prestata dal giudice di merito ai risultati dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.
In ordine al secondo motivo di ricorso, è poi noto come il vigente art. 1669 c.c., al pari del corrispondente art. 1639 dell’abrogato codice civile del 1865, configuri una responsabilità extracontrattuale sancita dalla legge al fine di promuovere la stabilità e solidità degli edifici, nonché delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, e al fine di tutelare in tal modo l’incolumità personale. Peraltro, l’art. 1669 c.c. ha ampliato la portata del suo predecessore art. 1639, avendo incluso tra i difetti, di cui il costruttore è tenuto a rispondere, nel termine in esso indicato, anche quelli che, pur non compromettendo la stabilità, totale o parziale, dell’edificio, possano essere, comunque, qualificati “gravi”.
In ogni modo, la gravità di un difetto, agli effetti dell’art. 1669 c.c., è correlata alle conseguenze che da esso siano derivate o possano derivare, e non dipende, pertanto, dalla sua isolata consistenza obiettiva, né è perciò esclusa ex se dalla modesta entità, in rapporto all’intera costruzione, del singolo elemento che ne sia affetto. Questa Corte ha così costantemente spiegato che configurano gravi difetti dell’edificio, a norma dell’art. 1669 c.c., anche le carenze costruttive dell’opera che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (nella specie, trattandosi di difetti costruttivi nella tamponatura delle pareti esterne dell’edificio in condominio, causa di una riduzione del 50% della resistenza termica), purché tali da incidere negativamente ed in modo considerevole sul suo godimento e da comprometterne la normale utilità in relazione alla sua destinazione economica e pratica, e per questo eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici (omissis).
Peraltro, l’indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell’art. 1669 c.c., ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell’opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l’accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta, quindi, di stabilire se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli accertare anche se, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, essi siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell’immobile. Questo accertamento di merito è sottratto al sindacato di legittimità se, come nel caso in esame, adeguatamente motivato (Cass. Sez. 2, 26/04/2005 n. 8577; Cass. Sez. 2, 21/04/1994, n. 3794).
Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore dei controricorrenti, nell’ammontare liquidato in dispositivo.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi euro 4.300, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.