L’uso esclusivo su parti comuni dell’edificio riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di unità immobiliari in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incide non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività, ma sul riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condòmini, che avviene secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ex artt. 1102 e 1117 c.c..
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 3.9.2019,
n. 22059
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Il Tribunale di Milano, confermando il decreto ingiuntivo n. 35335 del 2013, condannava M.B. ed E.C., attuali ricorrenti, al pagamento in via solidale di euro 100.000, pari al doppio della caparra confirmatoria versata da D.F. in forza di preliminare di compravendita avente ad oggetto l’immobile sito in …, oltre interessi moratori e spese di lite, ritenendo legittimo il recesso esercitato dall’ingiungente – opposta in data 25.07.2013 dal contratto preliminare predetto per inadempimento dei promittenti venditori.
In virtù di appello interposto dai M.B.-E.C., la Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 4654 del 2016, respingeva l’appello e confermava la decisione di primo grado, correggendo solo la motivazione quanto alla natura del diritto d’uso, nel senso della legittimità del recesso esercitato dalla promissaria acquirente non potendo i promittenti venditori garantire la proprietà esclusiva del giardinetto, della cantina e del deposito quali beni pertinenziali all’appartamento, di cui non vantavano la proprietà esclusiva, concessi loro solo in uso esclusivo e perpetuo, e ciò aveva fatto venir meno l’interesse a proseguire con la stipula del contratto definitivo.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano M.B.-E.C. propongono ricorso per cassazione, fondato su due motivi, cui la D.F. resiste con controricorso.
Il motivo è fondato per le ragioni di seguito illustrate.
Dal tenore della sentenza impugnata emerge che la Corte d’Appello di Milano, nel procedere all’inquadramento della fattispecie, ha posto al centro della indagine l’analisi e la valutazione della gravità dell’inadempimento, presupposto legittimante il giustificato recesso dal contratto preliminare di compravendita ed ha ritenuto grave la condotta dei promittenti venditori sul presupposto di “la difformità tra l’oggetto della promessa in preliminare de quo, cioè la descrizione dell’immobile, e quello che sarebbe potuto essere legittimamente trasferito in proprietà esclusiva col rogito notatile definitivo”.
In realtà, nel preliminare inter partes oggetto della promessa di vendita è l’immobile di cui i ricorrenti sono proprietari, costituito come descritto in atti, da “ingresso, soggiorno, cucina, camera, antibagno e bagno terrazzo al piano e ripostiglio con accesso dal cortile, con annessi vano cantina e deposito nel sottoscala al piano primo interrato, nonché pertinenziale porzione di giardino al piano terreno con sovrastante serra, censito…”. Siffatta descrizione è riportata a pag. 1 della stessa pronuncia.
Tuttavia i giudici della Corte di merito, nel valutare la portata dell’annessione a cui fa riferimento l’atto, non hanno considerato l’orientamento di questa Corte, secondo cui “l’uso esclusivo” su parti comuni dell’edificio riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di unità immobiliari in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incide non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività, ma sul riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condòmini, che avviene secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ex artt. 1102 e 1117 c.c.. Tale diritto, pertanto, non è riconducibile al diritto reale d’uso previsto dall’art. 1021 c.c., ma neanche ad una comproprietà pura e semplice come affermato dalla Corte distrettuale, tant’è che è tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare cui accede. (Cass., 16 ottobre 2017 n. 24301).
Va considerato innanzitutto l’art. 1117 c.c. che, nell’indicare le parti comuni di un edificio in condominio, dispone che tale indicazione valga “se non risulta il contrario dal titolo”. Se ciò è possibile, a fortiori è possibile che le parti convengano l’“uso esclusivo” di una parte comune in favore di uno o più determinati condòmini.
Così inquadrato, il fenomeno dell’“uso esclusivo” di parti comuni, esso cela la coesistenza di facoltà individuali, espressione del pieno diritto di proprietà.
In tal senso, non trattandosi di figure di asservimento o di pertinenza, gli usuari si vedranno conformati dal titolo il maggiore godimento rispetto a quello degli altri partecipanti diversi dall’usuario (in tal senso Cass., n. 24301 del 2017 cit.)
Nel caso in esame, infatti, nell’atto preliminare di compravendita, la locuzione “con annessi vano cantina e deposito nel sottoscala al primo piano interrato, nonché pertinenziale porzione di giardino al piano terreno con sovrastante serra…” non sposta il diritto dal piano reale a quello personale: il diritto in esame è e rimane un diritto reale, di godimento ma pur sempre reale.
Per tale motivo, non incide in alcun modo sul diritto di proprietà, che non ne risulta leso, non essendo sottoposto ad alcuna deminutio.
La censura deve, pertanto, essere accolta per non avere i giudici del merito valutato la gravità dell’inadempimento attribuito ai prominenti venditori alla luce del diverso inquadramento della fattispecie e delle clausole contenute nel preliminare in correlazione all’atto di provenienza e al Regolamento condominiale;
(omissis)
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e cassato il provvedimento impugnato, con rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Milano, a cui viene rimessa anche la liquidazione delle spese di legittimità.
(omissis)
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, a diversa Sezione della Corte di appello di Milano.