Un muro divisorio comune a due edifici condominiali, e lo scarico di una calderina di un bagno immesso nella canna fumaria. Questo l’oggetto del contendere tra due famiglie di condòmini, giunto fino in cassazione. Di seguito un estratto della sentenza 16154 del 17 giugno 2019.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., sent. 17.6.2019,
n. 16154
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1. Con sentenza depositata il 07/09/2012 il tribunale della Spezia, sezione distaccata di Sarzana, ha rigettato la domanda di V.C. e C.C. (oltre che della madre A.B. di cui i predetti sono divenuti eredi in corso di causa), comproprietari di un appartamento in uno stabile in via …, volta a ottenere la condanna di A.B. e L.Z., proprietari di un appartamento nell’adiacente fabbricato alla piazza …, a rimuovere lo scarico di una calderina del locale bagno di questi ultimi immesso nella canna fumaria nel perimetrale dell’edificio di via ….
2. Con sentenza depositata il 18/10/2017 la corte d’appello di Genova ha rigettato l’appello interposto da V.C. e C.C..
3. A sostegno della decisione la corte d’appello ha ritenuto comune ai due edifici, per presunzione non vinta da altra prova, il muro divisorio tra essi e quindi le opere nel medesimo esistenti astrattamente fruibili da più partecipanti (p. 4 della sentenza). Anche dalle prove testimoniali (deposizione di M.G.) era emerso che la canna fumaria era al servizio anche dell’appartamento dei convenuti, trattatandosi di antiche costruzioni allineate sulla via pubblica.
4. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione V.C. e C.C. su tre motivi illustrati da memoria.
(omissis)
1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2727, 880, 1102 cod. civ. per avere la corte d’appello desunto la natura comune della canna fumaria, per presunzione, dalla circostanza che sarebbe comune, parimenti per presunzione, il muro divisorio. Si tratterebbe di una presunzione di secondo grado (presumptio de praesumpto) vietata dall’art. 2727 cod. civ.
1.1. Il motivo è infondato. Se è vero che le presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 2727 cod. civ., sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, per cui gli elementi che costituiscono la premessa devono avere il carattere della certezza e della concretezza, essendo inammissibile la c.d. praesumptio de praesumpto che invece valorizza una presunzione come fatto noto, per derivare da essa un’altra presunzione, non risulta dall’esame della sentenza impugnata l’applicazione di una presunzione di secondo grado per affermare la natura comune tra le parti della canna fumaria.
1.2. Invero dalla lettura della sentenza impugnata emerge che la corte d’appello si è limitata ad applicare la presunzione relativa di comunione del muro, stabilita dall’art. 880 cod. civ., che non è stata vinta dall’accertamento del contrario (in particolare, che il muro sia stato costruito nella sua interezza su di una sola delle aree confinanti – cfr. ad es. Cass. n. 50 del 03/01/2014; cfr. altresì, in generale, sull’accessione, la recente Cass. sez. U n. 3873 del 16/02/2018).
Considerando, poi, che all’interno del muro comune risulta inserita la canna fumaria per cui è causa, la corte si è dovuta porre il problema di stabilire se la detta presunzione (di primo grado) si estendesse anche alla canna fumaria, ricavata nel vuoto del muro comune. Al riguardo, la sentenza impugnata ha fatto retta applicazione del principio giurisprudenziale per cui – non essendo la canna in questione necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere a un solo dei condòmini – va esaminato se essa sia destinata a servire esclusivamente taluni partecipanti, costituendo detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale di comunione (Cass. n. 9231 del 29/08/1991). In tale logica, i giudici di merito hanno correttamente concluso il loro ragionamento probatorio per la comunione della canna fumaria, in assenza della prova di detta destinazione esclusiva, quale componente di un muro comune per presunzione; la statuizione dunque resiste alla critica mossa con il motivo predetto, venendo in gioco un’unica presunzione relativa alla comunione del muro di cui la canna fumaria è parte.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 884, 817, 884 cod. civ. Si contesta, al riguardo, l’affermazione della corte d’appello per la quale la canna fumaria sarebbe destinata al servizio di più appartamenti, deducendosi che in edifici storici – per nozioni di fatto di comune esperienza – il fumo del locale più basso invaderebbe il locale soprastante.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. Lo stesso si appunta su un inciso dell’argomentazione della corte d’appello, laddove – alla p. 5 della sentenza impugnata – si fa riferimento di natura generale alla “canna fumaria … in uso di più edifici e/o appartamenti, i quali … scaricano i fumi nella stessa”.
2.3. Ciò posto, non è chi non veda come – al di là dell’effettiva portata del richiamo operato dalla corte d’appello – non possa essere in alcun modo contestata, in particolare quale violazione di legge, la statuizione circa la possibilità che una canna fumaria serva più unità abitative.
2.3. Contrapporre a ciò, come si fa nel ricorso, presunte nozioni di fatto di comune esperienza secondo cui tale comunione non sarebbe ipotizzabile in immobili antichi equivale a introdurre una questione fattuale, la cui precedente emersione nella controversia peraltro non risulta, del tutto fuor d’opera nell’ambito di una censura ex art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.
(omissis)
la corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200 per esborsi ed euro 2.935 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.