Condominio minimo: una canna fumaria fa scoppiare la lite
Non necessariamente è la convivenza tra numerose famiglie in un medesimo edificio a creare dissidi in ambito condominiale. Lo dimostra la vicenda affrontata dalla Cassazione con l’ordinanza 12658 del 25 giugno 2020, e avente ad oggetto una lunga e complessa controversia tra i residenti di un condominio minimo in merito ai lavori di messa a norma dell’impianto termico…
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 25.6.2020,
n. 12658
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Rilevato che:
- il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso tempestivamente notificato da O.P. e L.A. a B.P. nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Trento che ha, per quanto qui di interesse, respinto il gravame dalle stesse proposto avverso l’ordinanza ex art. 702 bis cod. proc. civ. del giudice di prime cure;
- in particolare il Tribunale di Trento, ravvisando nella fattispecie l’impugnazione da parte di B.P. di delibere assunte dal condominio minimo costituito dalle particelle p.m.1, appartenente a B.P., e p.m.2, appartenente a O.P., aveva concluso che la sola partecipazione di quest’ultima condomina non rendeva legittima la deliberazione impugnata né poteva essere considerata utile ai fini della regolare costituzione dell’assemblea condominiale la presenza di L.A., usufruttuaria della medesima porzione immobiliare p.m.2;
- il tribunale, inoltre, aveva dichiarato l’inammissibilità delle domande riconvenzionali delle convenute volte ad ottenere la rimozione delle opere illegittime poste in essere dal ricorrente ed il ripristino dell’uso comune del vano tecnico perché formulate in violazione del giudicato esterno, dal momento che riguardavano le medesime questioni decise con la precedente sentenza n. 149/2009 della Corte d’appello di Trento, passata in giudicato;
- proposto gravame da parte delle convenute soccombenti, la corte d’appello, sempre per quanto ancora di interesse, ha ritenuto che l’eccezione di giudicato esterno, con conseguente inammissibilità della domanda riconvenzionale di parte convenuta, fosse valida limitatamente alla domanda di condanna di B.P. al ripristino della situazione precedente l’esecuzione dei lavori di modifica della canna fumaria, la quale era stata oggetto del precedente giudizio ed era stata respinta in forza della considerazione che l’impianto preesistente ai lavori di modifica realizzati da B.P. era comunque illegittimo;
- la corte trentina ha escluso, invece, l’esistenza di un giudicato limitatamente all’altro profilo della domanda riconvenzionale, quello cioè indicato come punto b) e relativo alla condanna del condomino B.P. all’esecuzione degli interventi necessari a mettere a norma l’impianto di riscaldamento comune;
- tuttavia, la corte territoriale, considerando che le convenute nel giudizio di impugnazione delle delibere avevano articolato sul punto una specifica domanda riconvenzionale chiedendo la condanna dell’attore all’esecuzione di una precisa soluzione, dettagliatamente indicata, e non il ripristino secondo la migliore soluzione possibile, aveva disposto una Ctu finalizzata all’esame della soluzione proposta dagli appellanti nonché di quelle indicate dall’appellato prima dell’instaurazione del giudizio;
- all’esito dell’accertamento tecnico, la corte distrettuale ha ritenuto che, come rappresentato nelle conclusioni del Ctu, la proposta dagli appellanti non era la più idonea e ha sulla scorta di tale considerazione rigettato nel merito la domanda riconvenzionale;
- la cassazione della pronuncia d’appello è chiesta da O.P. e L.A. sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso B.P.;
Considerato che:
- va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della memoria di parte ricorrente perché fuori termine;
- con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la violazione degli art. 99 e 112 cod. proc. civ. per avere la corte territoriale, nella formulazione dell’oggetto dell’indagine tecnica chiesta al Ctu, inserito la verifica dell’idoneità di altre soluzioni rispetto a quella proposta dai convenuti appellanti, con particolare riferimento a quelle indicate dalla controparte prima dell’instaurazione del giudizio, sebbene abbia contestualmente dato atto che la medesima parte, nell’avversare la soluzione propugnata dalle appellanti, non aveva domandato in causa l’adozione da parte del giudice di diversa soluzione per risolvere il contrasto insorto, limitandosi solo a chiedere la declaratoria di invalidità delle delibere con le quali l’intervento era stato ex adverso deciso (cfr. pagg.17 e 18 della sentenza);
- con il secondo motivo si censura , in relazione all’art. 360, comma 1, n.5, cod. proc. civ., la motivazione della sentenza laddove ha privilegiato (cfr. pag. 25 della sentenza) quale soluzione più idonea quella indicata come quinta ipotesi dell’appellato fra quelle indicate dal Ctu nonostante la stessa non sia conforme all’indicazione iniziale ove si chiedeva di valutare l’idoneità in relazione al criterio della non occupazione di ulteriori parti comuni, oltre a quella rappresentata dal vano tecnico murario preesistente;
(omissis)
- ritiene il Collegio che i quattro motivi possano essere esaminati congiuntamente perché logicamente connessi e meritino accoglimento;
- la formulazione del quesito al Ctu non tiene, infatti, conto del contenuto e limiti della domanda riconvenzionale delle convenute e delle eccezioni in proposito sollevate da B.P.;
- a fronte della domanda riconvenzionale ritenuta ammissibile ed indicata come punto b) del seguente tenore “ripristino dell’uso comune del vano tecnico, già occupato dalla canna fumaria originaria, al fine di potervi inserire due tubi a tenuta, con relativa precamera aerata, a servizio di due nuove caldaie tipo C (in attuazione della proposta formulata dallo stesso B.P. in quanto, data la situazione di irregolarità e l’entità degli attuali gruppi termici è «soluzione necessaria e condivisa» la sostituzione degli stessi con nuovi di tipologia a condensazione, per la messa a norma dell’impianto di riscaldamento comune, eliminando così anche il fuori norma dei locali separati da lui stesso lamentato)”, il ricorrente B.P. non ha formulato alcuna domanda volta ad ottenere l’accertamento della eventuale idoneità di altre soluzioni; egli si è limitato a chiedere la nullità o, in subordine, l’annullabilità delle deliberazioni assunte dai convenuti ed insistendo nel rigetto delle domande riconvenzionali da questi ultimi articolate;
- ciò posto, appare allora non conforme al principio della domanda l’estensione, da parte della corte territoriale, del quesito – come si evince dalla pag. 13 del ricorso sub 3) – alla richiesta di praticabilità di altre soluzioni volte a ricondurre a norma gli impianti esaminando, in particolare, anche quelle suggerite dallo stesso appellato nel sopra citato doc. n. 8, così come la conseguente richiesta di descrizione della natura degli interventi necessari per darvi attuazione nonché il relativo costo e l’indicazione per ciascuna soluzione degli aspetti positivi e negativi [cfr. per il riferimento completo al quesito alla richiamata pag. 13];
- l’accertamento richiesto dalla corte territoriale è cioè ultroneo rispetto alle domande delle parti posto che il processo in questione è un ordinario giudizio di cognizione retto dal principio dell’art. 112 cod. proc. civ. e non un procedimento di giurisdizione volontaria previsto dall’art. 1105 comma 4 cod. civ. in materia di amministrazione della cosa comune e per il quale, peraltro, è esclusa la ricorribilità in cassazione (Cass. 12881/2015; id.4616/2012; id.15548/2017);
(omissis)
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’appello di Trento.