È legittima la decisione di un condominio di impedire opere che avrebbero comportato la nascita di una servitù di passo sul cortile rendendo impossibile per gli altri condòmini l’utilizzo dello stesso come parcheggio. È quanto rimarcato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 32235 del 10 dicembre 2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 10.12.2019,
n. 32235
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1. Il Tribunale di Como rigettava la domanda di L.P. di annullamento della delibera condominiale del 23 marzo 2006 del condominio di ….
Secondo il Tribunale l’assemblea era stata convocata su espressa richiesta dell’attore al fine di ottenere la disponibilità del condominio all’esecuzione delle opere da lui programmate ed illustrate in assemblea dal suo tecnico, pertanto l’argomento all’ordine del giorno di convocazione dell’assemblea informava adeguatamente i condòmini circa l’oggetto della discussione e anche che la delibera avrebbe riguardato gli interventi sui muri perimetrali comuni.
Il Tribunale rigettava anche la domanda dell’attore di accertamento della legittimità delle opere indicate nella comunicazione ai condòmini del 30 gennaio 2006, in quanto il progetto discusso e disapprovato dall’assemblea prevedeva la creazione di due accessi carrai a favore della proprietà dell’attore, in conflitto con l’utilizzo da tempo immemorabile del cortile quale parcheggio per i condòmini, in evidente contrasto con la disposizione normativa di cui all’articolo 1102 codice civile. Non si poteva, pertanto, da parte del singolo condomino, alterare la destinazione del cortile a parcheggio.
2. L.P. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione, condividendo le argomentazioni spese dal Tribunale in ordine all’interpretazione dell’ordine del giorno della delibera di cui si chiedeva l’annullamento e avente ad oggetto l’approvazione dei lavori proposti dal L.P., il quale, peraltro, aveva anche partecipato all’assemblea a mezzo di un tecnico. Inoltre, confermava il contenuto non decisorio della parte della delibera che richiamava il regolamento condominiale sul divieto di distacco del riscaldamento, così come l’interpretazione della clausola del regolamento condominiale sul divieto di posteggio nel cortile che riguardava solo una parte limitata. Infatti, il divieto assoluto di posteggio non poteva desumersi dal tenore letterale del regolamento ma era circoscritta a quelle aree già individuate e gravate dalla segnalazioni di divieto o in ipotesi di ingombro ai box privati.
4. L.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.
5. Il condominio … ha resistito con controricorso e, in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria con la quale ha insistito nella richiesta di inammissibilità o rigetto del ricorso.
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione articolo 1102 codice civile.
Il ricorrente aveva dedotto quale motivo di appello che la legittimità di aperture o la loro trasformazione sullo spazio comune atteneva esclusivamente al miglior uso della cosa condominiale (nella specie la facciata interna dello stabile ove si aprivano le due finestre che si voleva trasformare in porte-finestre).
Tale trasformazione avrebbe avvantaggiato il condomino e non avrebbe leso o limitato il diritto degli altri condòmini sulla cosa comune. Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità in materia. Peraltro, le porte finestre erano state realizzate da anni e il condominio non aveva ottenuto alcun provvedimento giudiziale che disponesse la rimessione in pristino, dunque, se quelle opere avessero leso o limitato l’uso comune il condominio avrebbe agito bloccando i lavori. L’errore di diritto della Corte Ambrosiana sarebbe stato quello di ritenere che la previsione dell’articolo 1102 c.c. si estendesse anche al cortile condominiale, in contrasto con la prospettazione del ricorrente che voleva solo svolgere i lavori finalizzati al miglior uso della cosa comune. Infatti, a parere del ricorrente, la trasformazione della finestra in porta non riguarderebbe il cortile ma il muro e quindi l’uso del muro. L’apertura di finestre o la trasformazione di luce in vedute su un cortile comune rientra nei poteri spettanti ai condòmini, ai sensi dell’art. 1102 c.c., tenuto conto che i cortili comuni assolvono alla precipua finalità di dare luce agli immobili circostanti.
1.2. Il motivo è infondato.
Nella sentenza di primo grado confermata in appello, si legge che il progetto del ricorrente discusso e non approvato dall’assemblea prevedeva la creazione di due accessi carrai a favore della sua proprietà, in conflitto con l’utilizzo da lunghissimo tempo del cortile quale parcheggio per i condomini, in evidente contrasto con la disposizione normativa di cui all’articolo 1102 codice civile.
Il ricorrente nel proporre la censura in esame afferma che il suo progetto riguardava la trasformazione di finestre in porte-finestre e che non vi era alcuna limitazione dell’uso del muro comune, unico bene coinvolto nei lavori cui fare riferimento.
Nel giudizio di merito, tuttavia, si è sempre fatto riferimento alla volontà del ricorrente di aprire delle aperture per consentire la trasformazione dei locali di sua proprietà da magazzini in box.
Posto che l’apertura di una porta finestra è cosa ben diversa dall’apertura di un passo carraio, risulta del tutto evidente che la prospettazione del ricorrente, da un lato, si risolve in una questione del tutto nuova non affrontata dal giudice di merito circa la possibilità di trasformare una finestra in porta finestra, e dall’altro non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha confermato la legittimità della decisione del condominio di impedire l’apertura del passo carraio che avrebbe necessariamente comportato una servitù di passo sul cortile rendendo impossibile per gli altri condòmini l’utilizzo dello stesso come parcheggio, in violazione dell’art. 1102 c.c..
(omissis)
5. Il ricorso è rigettato.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 4.300 più 200 per esborsi; ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.