L’apposizione, da parte di un condominio, di paletti anti-sosta per evitare i parcheggi selvaggi non necessita del permesso di costruire. Tali opere ricadono piuttosto nella disciplina dell’art. 22 del DPR n. 380/2001, per le quali si chiede solo la Scia (segnalazione certificata di inizio attività).
Il Tar ha così accolto il ricorso di un condominio, nella persona dell’amministratore, che chiedeva l’annullamento di un’ordinanza di un Comune con la quale si disponeva la rimozione di tali paletti, in quanto opere abusive realizzate dal ricorrente, e il successivo ripristino dello stato dei luoghi.
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TAR Campania-Napoli
Sez. III, sent. 1255/2019
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Con ricorso notificato il 13 novembre 2014 e depositato il successivo 9 dicembre, il condominio … ha premesso che in data 1° aprile 2014 la Polizia Municipale del Comune di San Giorgio a Cremano contestava la realizzazione su di un’area condominiale di “10 paletti ferro aventi dimensione di un 1,00 mt di altezza circa e di cm. 10 x 10, posizionati a delimitare l’area condominiale prospiciente su via …” e all’esito di tale sopralluogo il Comune predetto adottava in data 17 giugno 2014 l’ordine di demolizione dettagliato in epigrafe.
Avverso tale provvedimento il condominio … ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio, chiedendone l’annullamento sulla base dell’unico articolato motivo così di seguito rubricato e sintetizzato.
(omissis)
Il provvedimento sarebbe privo di adeguata istruttoria, in quanto il Comune non avrebbe preliminarmente verificato l’esigua consistenza delle opere realizzate, finalizzate al solo scopo di limitare la sosta selvaggia ed il deposito dell’immondizia senza regole. Per la realizzazione dei paletti in questione non sarebbe necessaria alcuna abilitazione edilizia non comportando alcuna modificazione del territorio.
Non vi sarebbe, poi, alcuna violazione del vincolo ambientale, come erroneamente avrebbe supposto nel provvedimento impugnato, atteso che esso implicherebbe un vincolo di inedificabilità relativo che imporrebbe all’Amministrazione di valutare caso per caso.
(omissis)
Il ricorso è fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
In primo luogo, diversamente da quanto sostiene parte ricorrente l’intervento effettuato non ricade tra le attività libere (indicate tra l’altro in modo tassativo all’art. 6 del t. u. n. 380 del 2001, in deroga al generale obbligo di munirsi di un titolo abilitativo per eseguire interventi edilizi, ciò di cui occorre tenere conto per una corretta lettura e interpretazione dello stesso art. 6), avendo riguardo da un lato alle tipologie delle fattispecie liberalizzate e, dall’altro, all’entità dell’opera posta in essere, che non corrisponde alla descrizione delle attività di cui alle lettere c) e d) del citato art. 6.
Tuttavia coglie nel segno il profilo di censura con cui parte ricorrente ritiene che nel caso qui in esame non venga in discussione un’ipotesi di trasformazione edilizio-urbanistica, o di alterazione permanente dell’assetto del territorio, o di nuova costruzione, tale da esigere il previo rilascio del permesso di costruire ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Deve invece ritenersi, sulla falsariga di quanto affermato dal Giudice di appello in una fattispecie del tutto simile a quella oggetto di causa, che l’intervento ricada nel campo di applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, in tema di SCIA (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3554).
Sulla questione, intuitivamente affine, dell’assoggettamento, o meno, delle recinzioni, a permesso di costruire, la giurisprudenza amministrativa di primo grado, afferma che la valutazione sulla necessità, o meno, del permesso di costruire, va compiuta in base ai parametri della natura e delle dimensioni delle opere, e della loro destinazione e funzione (omissis), sicché quando, ad esempio, vengono eseguite opere in muratura e la recinzione non è facilmente rimuovibile, l’intervento, essendo idoneo a incidere in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio, esige il previo rilascio del permesso di costruire, ma a tal fine occorre avere riguardo a tutte le opere realizzate nel loro complesso.
Invero questa Sezione di recente ha ritenuto che: “la posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli paesaggistici (omissis).
Ciò posto, l’intervento in argomento, alla luce delle caratteristiche e delle dimensioni dello stesso (10 paletti dell’altezza di mt. 1 ciascuno e diametro 10×10, si vedano le foto prodotte in giudizio), ricade nel campo di applicazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, cioè, tra quelli realizzabili con il regime semplificato della d.i.a., la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o la demolizione, previste dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 per l’esecuzione di interventi in assenza del permesso di costruire, o in totale difformità del medesimo ovvero con variazioni essenziali, ma con l’applicazione della mera sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 37 per l’esecuzione di interventi in assenza della prescritta denuncia di inizio di attività.
In primo luogo, non è stata eseguita nessuna opera muraria significativa. I paletti apposti, uniti al suolo mediante un basamento di calcestruzzo assai sottile, risultano distanziati tra loro in modo tale da consentire un facile accesso pedonale all’area ed effettivamente sembrano svolgere una funzione, non contestata dal Comune, di dissuasori della sosta e dell’abbandono dei rifiuti. Viene in rilievo, nel complesso, un’opera finalizzata a delimitare la proprietà del condominio ricorrente (non si tratta neppure di una recinzione, essendo l’area “tuttora liberamente accessibile a tutti, salvo che alle autovetture”), rimovibile in maniera tutt’altro che disagevole e, come tale, inidonea a incidere sull’assetto edilizio del territorio.
Non vi è poi alcun concreto elemento, a parte la generica e immotivata asserzione del Comune resistente, di incidenza negativa sul paesaggio nei termini di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, come invece addotto nel gravato provvedimento, laddove la limitata evidenza dell’intervento avrebbe richiesto una più esplicita indicazione in tal senso.
Poiché dunque la realizzazione dei paletti per cui è causa doveva farsi rientrare nella fattispecie dell’inserimento di elementi accessori di cui all’art. 3, comma 1, lett. c) del t. u. n. 380 del 2001, ne consegue che l’intervento eseguito in assenza di titolo ex art. 22 d.P.R. n. 380/2001, porterebbe alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 37, co. 1 d.P.R. n. 380/2001.
In definitiva il ricorso deve essere accolto e l’ordinanza impugnata conseguentemente deve essere annullata.
La scarsità di precedenti giurisprudenziali in termini giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.