Diatribe di carattere condominiale, ma anche controversie relative a proprietà immobiliare e locazione. Sono le materie oggetto di alcune delle più recenti sentenze di Cassazione, di cui riportiamo una carrellata di massime.
In tema di garanzia per gravi difetti dell’opera ai sensi dell’art. 1669 c.c., il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause. Nondimeno, qualora si tratti di un problema di immediata percezione, sia nella sua reale entità, che nelle sue possibili cause sin dal suo primo manifestarsi, il decorso di tale termine non è necessariamente né automaticamente postergato all’esito dei predetti approfondimenti tecnici.
Cass., Sez. II civ., ord. 29.10.2019, n. 27693
In tema di locazione di immobile ad uso abitativo, atteso che il modo di atteggiarsi dei beni abusivi non può di per sé solo valere ad integrare le vietate ipotesi d’illiceità o d’impossibilità dell’oggetto ovvero d’illiceità della prestazione o della causa, il carattere abusivo dell’immobile o la mancanza di certificazione di abitabilità non importa nullità del contratto locatizio, non incidendo i detti vizi sulla liceità dell’oggetto del contratto ex art. 1346 c.c. (che riguarda la prestazione) o della causa del contratto ex art. 1343 c.c. (che attiene al contrasto con l’ordine pubblico), né potendo operare la nullità ex art. 40 della l. n. 47 del 1985 (che riguarda solo vicende negoziali con effetti reali): ne consegue l’obbligo del conduttore di pagare il canone anche con riferimento alla locazione di un immobile avente i caratteri suddetti.
Cass., Sez. II civ., ord. 28.10.2019, n. 27485
La presunzione di possesso utile “ad usucapionem”, di cui all’art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore, come nell’ipotesi della mera convivenza nell’immobile con chi possiede il bene; in tal caso, la detenzione può mutare in possesso soltanto con un atto di interversione, consistente in una manifestazione esteriore, rivolta contro il possessore, affinché questi possa rendersi conto dell’avvenuto mutamento, da cui si desuma che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio. Tale accertamento realizza un’indagine di fatto, rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logica e congruamente motivata.
Cass., Sez. II civ., ord. 25.10.2019, n. 27411
L’azione inibitoria di cui all’art 844 c.c., contro le immissioni moleste provenienti dal fondo vicino, ha natura reale, rientra nello schema della “negatoria servitutis” e deve essere proposta contro tutti i proprietari di tale fondo, qualora l’attore miri ad ottenere un divieto definitivo delle immissioni, operante, cioè, nei confronti dei proprietari attuali o futuri del fondo medesimo e dei loro aventi causa, in modo da ottenere l’accertamento della infondatezza della pretesa, anche solo eventuale e teorica relativa al diritto di produrre siffatte immissioni. La suddetta azione ha, invece, carattere personale, rientrante nello schema dell’azione di risarcimento in forma specifica di cui all’art 2058 c.c., nel caso in cui l’attore miri soltanto ad ottenere il divieto del comportamento illecito dell’autore materiale delle suddette immissioni, sia esso detentore ovvero comproprietario del fondo, il quale si trovi nella giuridica possibilità di eliminare queste ultime senza bisogno dell’intervento del proprietario o degli altri comproprietari del fondo medesimo.
Cass., Sez. II civ., ord. 22.10.2019, n. 26882
Nel caso di comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi, l’apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell’art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all’art. 1102 c.c., in quanto i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite; né può invocarsi, al fine di escludere la configurabilità di una servitù di veduta sul cortile di proprietà comune, il principio “nemini res sua servit”, il quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro.
Cass., Sez. II civ., sent. 21.10.2019, n. 26807