Nella migliore delle ipotesi screzi, diatribe, dispetti. Ma talvolta la situazione degenera il pesanti scontri verbali quando non addirittura fisici. Le liti in condominio sono all’ordine del giorno. E con esse i procedimenti legali, che non di rado finiscono in Cassazione. Di seguito un’ampia carrellata di vicende sulle quali gli Ermellini sono stati chiamati a pronunciare l’ultima parola.
Un drogato, “avendo in odio i condòmini dello stabile in cui abitava, profferì frasi gravemente minacciose nei confronti dei condòmini; inoltre, danneggiò il portone d’ingresso dello stabile, con lo sfondamento della vetrata e la rottura della serratura, e impedì, in una occasione, ad una condomina di uscire dallo stabile in cui abitava”.
La Corte d’Appello lo aveva condannato per “minaccia grave, danneggiamento e violenza privata”. In Cassazione, il legale dell’imputato cerca di evitare la condanna sostenendo che il suo cliente aveva “proferito espressioni per lo più assurde, riconducibili allo stato di confusione indotto dall’uso di alcol e droga, inidonee a suscitare un vero timore nei destinatari”, e che le sue condotte erano “solamente fastidiose, inidonee a creare uno stato di costrizione” nei vicini. Ma la Suprema Corte ha confermato la condanna.
Cass., Sez. V pen., sent. n. 23888/2019
Sparare, mentre si è intenti in attività venatoria, a distanza inferiore ai centocinquanta metri da fabbricati destinati ad abitazione, costituisce reato e non semplice illecito amministrativo. E poco importa che il fatto sia avvenuto su una strada sterrata di campagna, in quanto ogni strada che sia aperta al pubblico passaggio, comprese le vie di comunicazione tra fondi (dette vie “vicinali”), se possano essere liberamente percorse devono considerarsi pubbliche.
Così la S.C. ha confermato la condanna di un uomo che, a bordo della propria autovettura, esplodeva due colpi di fucile con arma da caccia, per di più in ora di avvenuta chiusura dell’attività venatoria. Il reato è quello di “accensione ed esplosioni pericolose”.
Cass., Sez. III pen., sent. n. 38470/2019
Non soltanto secchiate di orina e sputi, ma anche minacce di morte ed ingiurie del tipo “figli di p…, dovete andare via di qua”. Una coppia aveva posto in essere numerosi atti di molestia in danno dei vicini, consistiti nel provocare forti rumori durante la notte che disturbavano il loro riposo. Inoltre, le parti lese avevano trovato più volte gli indumenti stesi imbrattati di orina versata dal piano superiore. Condòmini testimoni avevano visto, in un’occasione, uno degli imputati sputare dal proprio terrazzo sul balcone delle persone offese e, in un’altra, versare orina con un secchiello sugli indumenti dei vicini.
Al culmine della contesa sull’utilizzo del terrazzo, è inevitabile la condanna della coppia di condòmini per il reato di “getto pericoloso di cose”.
Cass., Sez. VII pen., ord. n. 30573/2019
La Cassazione respinge il ricorso di un uomo, condannato per aver malmenato una vicina di casa disabile al culmine di un diverbio causato da escrementi lasciati da animali. La condanna è stata confermata nonostante fosse accertata l’abitualità della disabile a sporgere denunce e querele infondate ai danni del ricorrente, sfociate anche in condanna per calunnia, e sebbene l’amministratore del condominio avesse accertato la presenza di escrementi di animali (di proprietà della disabile) nello stabile.
Cass., Sez. V pen., sent. n. 40468/2019
Deiezioni di gatti lasciati in libertà nelle parti comuni e scritte e cartelli con insulti e minacce. Se i condòmini sono solo due è facile trovare il colpevole. E la condanna è quella per il reato di “atti persecutori”.
La difesa ha tentato di sostenere che gli episodi relativi alle deiezioni dei gatti erano stati occasionali e comunque dovuti ad incuria nella loro custodia, difettando dunque tanto il requisito dell’abitualità della condotta, quanto il dolo richiesto per la sussistenza del reato. Ma alla Suprema Corte risultava, invece, come, nonostante le ripetute lamentele, l’imputata avesse volontariamente continuato a liberare i gatti nelle parti comuni dell’edificio. E, quanto ai cartelli offensivi, essendo collocati in una villetta bifamiliare, la S.C. ha ritenuto che solo l’imputata poteva avere interesse ad esporli.
Cass., Sez. V pen., sent. n. 25097/2019
Perseguita i vicini di casa, suonando, per mesi, il clacson nel vialetto del condominio, tenendo acceso il motore dell’auto ed alto il volume dello stereo, ma anche colpendo con pugni le pareti dei condòmini, ingiuriandoli e fotografando ripetutamente l’esterno delle loro abitazioni.
La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a carico dell’imputato, ravvisando nei suoi comportamenti “un univoco disegno criminoso”, volto a arrecare offesa alla privata quiete del condominio. La difesa aveva prospettato “una sorta di macchinazione determinata dallo spirito di vendetta nei confronti dell’imputato”, ma l’ipostesi è stata considerata inverosimile.
Cass., Sez. I pen., sent. n. 50379/2018
Integra il reato di violenza privata, di cui all’art. 610 c.p., la condotta del condomino che, per non avere gradito l’approvazione di una delibera da parte dell’assemblea, straccia e ingoia il verbale, costringendo così i presenti a sospendere l’adunanza in corso, a chiamare le forze dell’ordine ed a redigere un nuovo verbale.
Non rileva, ai fini della responsabilità, che l’assemblea abbia già deliberato e approvato, quanto il fatto che l’imputato, con la propria condotta minacciosa e violenta, abbia costretto i partecipanti ad un pati (sospensione dell’assemblea), e ad un facere (chiamare la polizia e redigere un nuovo verbale per sostituire quello strappato ed ingoiato dall’imputato).
Cass., Sez. V pen., sent. n. 34800/2019
Perché si configuri la violazione di cui all’articolo 659 del codice penale (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone), non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo a un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio.
È quanto ha statuito la Cassazione confermando la condanna a carico del proprietario di alcuni galli e galline il cui canto non faceva dormire i condòmini. Il tecnico dell’Arpa, in occasione di un sopralluogo, verificava che i galli avevano prodotto “in 18 minuti 106 eventi sonori”.
Cass., Sez. III pen., sent. n. 41601/2019
Condannato il legale rappresentante di un’azienda che bruciava scarti di legname, provocando emissioni di gas e fumo maleodoranti atte a molestare le persone. Sul piazzale dell’azienda era stato collocato un grosso contenitore di metallo dove venivano bruciati spezzoni di pannelli di compensato, provocando emissioni di fumo che si propagavano nei condomini adiacenti.
Per la Cassazione, se manca la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti. Come dire che bastano le testimonianze, senza bisogno di misurazioni.
Cass., Sez. III pen., sent. n. 18592/2019
Una donna disturbava il riposo dei vicini in orario notturno, coprendoli anche di contumelie alle richieste di spiegazione. Nell’istruttoria dibattimentale era emerso che l’imputata più volte aveva suonato al campanello della porta delle persone offese, suoi condòmini, in orario notturno, svegliandoli e poi ingiuriandoli.
La difesa ha giocato le sue carte, sostenendo che le testimonianze delle persone offese non fossero credibili, a causa di pregressi motivi di astio con l’imputata, ed insinuando che il quadro probatorio fosse fumoso e non consentisse una condanna. Ma la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso e confermato la condanna.
Cass., Sez. VII pen., ord. n. 37272/2019
Un uomo di origini marocchine utilizzava una soffitta, nella parte di sua pertinenza, quale base logistica per tenere in deposito cocaina, e poi spacciarla. Per difendersi ha sostenuto che lo stupefacente era stato rinvenuto nella soffitta comune dell’immobile in cui insistevano più appartamenti, accessibile a più persone e non chiusa a chiave, e che quindi non si poteva escludere che il detentore della sostanza fosse altro condomino.
Ma la condanna dello spacciatore è inevitabile: nel locale vi erano due ingressi indipendenti, uno di pertinenza dell’imputato, e la sostanza stupefacente era stata rinvenuta accanto ad altri beni a lui riconducibili, tra cui il passaporto marocchino.
Cass., Sez. VI pen., sent. n. 45428/2019
Il titolare di una ditta di pulizie vuole farsi giustizia da sé minacciando di morte l’amministratore di condominio, danneggiando anche gli sportelli dei contatori del gas del palazzo ove è ubicato lo studio del professionista. Il suo avvocato lo difende sostenendo che aveva agito in preda ad uno stato d’ira causato dai continui ritardi nei pagamenti. Alla fine il reato è prescritto ma la Cassazione conferma le statuizioni civili
Cass., sez. II pen., sent. n. 47853/2019
Per screditare una vicina di casa agli occhi degli altri, imbrattava zone condominiali con del liquido biancastro, tracciando un percorso che, dalla porta dell’abitazione della donna proseguiva sul pianerottolo, continuava nell’ascensore, e raggiungeva l’ingresso di un altro appartamento di proprietà della stessa, per arrivare infine al garage della parte offesa: un reato che, secondo la Cassazione, è procedibile d’ufficio. Per la S.C., inoltre, non si trattava di un mero imbrattamento di cose condominiali ma di un’azione finalizzata ad arte per attribuire alla vicina la responsabilità di tale imbrattamento.
Cass., Sez. II pen., sent. n. 47855/2019