A un condomino moroso viene pignorato l’appartamento. Lui arriva a sollevare un quesito di legittimità costituzionale del provvedimento, ritenendo eccessiva al pena rispetto al debito. La Cassazione, tuttavia, boccia il ricorso. Di seguito una sintesi dell’ordinanza 14415 del 5 giugno 2018.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 5.6.2018,
n. 14415
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M.M. propone tre motivi di ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino, n. 1372 del 2016, depositata il 3.8.2016, nei confronti del Condominio …, che resiste con controricorso, e di P.F., intimata, che non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., su proposta del relatore, in quanto ritenuto inammissibile.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, ritiene di condividere la soluzione proposta dal relatore.
Questa la vicenda, per quanto qui ancora interessa: il M.M. proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c. contro il pignoramento immobiliare promosso nei suoi confronti dal Condominio, al solo scopo di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76 del d.P.R. n. 602 del 1973 (come novellato dall’art. 52 della legge n. 98 del 2013), per l’evidente disparità tra i crediti dello Stato e di enti pubblici azionati in via esecutiva per la procedura esattoriale e i crediti vantati da persone fisiche o giuridiche, per i quali, anche a fronte di un credito di modestissimo ammontare come quello azionato nei suoi confronti, era consentito al creditore promuovere l’azione esecutiva immobiliare.
La sentenza di appello confermava il rigetto della opposizione, ritenendo la manifesta infondatezza della questione di legittimità ed evidenziando anche la mancanza di rilevanza, altresì, della dedotta questione, non avendo mai il M.M. allegato di abitare nell’immobile oggetto di procedura esecutiva, presupposto per la sottrazione dello stesso al pignoramento ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. n. 602 del 1973.
Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contradditoria motivazione sul punto della dedotta mancata disamina della questione di legittimità costituzionale e della sproporzione tra il credito azionato e il valore del bene assoggettato all’esecuzione.
Il motivo è inammissibile perché fa riferimento ad una nozione di vizio di motivazione non più vigente al momento della proposizione del ricorso, oltre che totalmente infondato perché la questione è stata esaminata e ritenuta infondata come illustrato in motivazione.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’errore nella sentenza di appello, laddove non ha rilevato l’indebita sostituzione del giudice dell’esecuzione nell’ambito della procedura esecutiva.
La questione, dedotta già in appello, al di là della sua palese infondatezza perché il principio della immutabilità del giudice di cui all’art. 276 c.p.c., opera limitatamente alla fase deliberativa, nel senso che impone che la decisione sia adottata dai giudici che hanno assistito alla discussione, i quali non devono essere necessariamente gli stessi davanti ai quali la causa sia stata trattata nel corso di tutto il giudizio (Cass. n. 22238 del 2017), è stata in quella sede già ritenuta inammissibile perché proposta per la prima volta in appello. Non può che richiamarsi quella valutazione.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’eccessività della condanna alle spese e la condanna ex art. 96 c.p.c.
Sull’art. 96 c.p.c. è sufficiente richiamare la motivazione del giudice di appello che ha fatto corretto uso del proprio potere – peraltro discrezionale – non con intento vessatorio sul M.M., ma partendo dalla considerazione della incontestata condizione di debitore di questi, della mancanza di ogni offerta per eliminare il proprio stato di debitore e del riferimento esclusivo della opposizione non a qualche irregolarità della procedura esecutiva o a una qualche contestazione della propria condizione di debitore, ma soltanto dalla reiterata, e reiteratamente ripetuta, questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, quindi sulla base della ingiustificata e meramente dilatoria moltiplicazione di iniziative giudiziarie palesemente inconsistenti.
(omissis)
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 2000 oltre 200 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.