Se in uno stabile coesiste la comproprietà della parte pubblica e di quella privata in una condizione condominiale di tipica “communio pro indiviso”, tutti i titolari sono egualmente tenuti agli obblighi di vigilanza e prevenzione per ogni evento di danno. È il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza 42398/2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. I pen., sent. n. 42398/2019
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1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza in data 29 giugno 2018, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Genova in data 27/4/2011, riqualificava il reato, inizialmente contestato come art. 434 cod. pen., nella violazione di cui all’art. 677 comma 3 cod. pen. e dichiarava non doversi procedere, nei confronti di B.F., perché estinta la contravvenzione anzidetta per prescrizione. Assolveva G.G. (e altri) per non aver commesso il fatto, eliminando nei loro confronti le relative statuizioni civili.
Gli imputati erano stati dichiarati in primo grado colpevoli del delitto di cui all’art. 434 cod. pen. ed erano stati condannati alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili, danni da liquidarsi in separata sede, con assegnazione di una provvisionale pari ad euro 5.000, in favore di F.K..
Si contestava a ciascuno, pur avendo l’obbligo giuridico di provvedere e di impedire l’evento, di aver cagionato colposamente il crollo del tetto e dei solai del terzo, quarto, quinto e sesto piano dello stabile di via …, con cedimento dell’unica scala di accesso ai relativi interni.
L’immobile era stato già sgomberato per dissesto del solaio e del sottotetto a causa di copiose infiltrazioni in data 24/11/2003.
1.1. Osserva la Corte territoriale che non si sarebbe potuta ipotizzare una responsabilità dei soggetti titolari del diritto di proprietà delle parti sottostanti, essendosi verificato il cedimento nella parte superiore dello stabile con relativa caduta dei solai. Ragionare diversamente avrebbe avuto il significato di attribuire oggettivamente a ciascuno la responsabilità per quanto accaduto.
2. Ricorre per cassazione F.K. parte civile costituita con il ministero del suo difensore e deduce quanto segue.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. La Corte territoriale non aveva ritenuto responsabile del reato nessuno degli imputati che rappresentavano la “parte pubblica”, nonostante essa parte fosse comproprietaria dell’immobile. Si era erroneamente ritenuto che ai funzionari non fosse ascrivibile alcuna condotta colposa. Ciò perché la proprietà da cui si era staccato il materiale era di attribuzione della società (Omissis) s.r.l. che metteva capo al solo F. B.. Osserva il ricorrente, le infiltrazioni si verificavano dal tetto di copertura, parte comune che avrebbe visto destinatari del medesimo obbligo di vigilanza anche i “comproprietari” pubblici. La “parte pubblica” era a conoscenza della condizione dello stabile e del tetto, poiché era stata emessa un’ordinanza di chiusura dell’area ed erano state commissionate diverse perizie all’ingegnere B..
2.2. In data 11/9/2019 è stata depositata nell’interesse di G.G. specifica memoria difensiva con cui si assume l’infondatezza del ricorso. Si richiama l’esito della disposta perizia, secondo cui il lastrico solare costituiva il terrazzo dell’interno del piano 8. Si insiste per il rigetto del ricorso.
3. Il ricorso è fondato.
3.1. Correttamente il primo giudice ha evidenziato come nello stabile coesistesse la comproprietà della parte pubblica (Comune di Genova) e di quella privata in una condizione condominiale di tipica communio pro indiviso, che vedeva i titolari egualmente tenuti agli obblighi di vigilanza e prevenzione per ogni evento di danno.
Il solaio sottotetto era stato sgomberato già dal 2003, essendosi verificate copiose infiltrazioni di acqua, a seguito di eventi piovosi, richiamati e documentati sin dal 24/11/2003.
Il Giudice di primo grado aveva richiamato la disposta perizia e spiegato che l’avvenuto sgombero non manlevasse il Comune dalle responsabilità che competevano, comunque, all’ente pubblico. Il non aver attivato i dovuti interventi, finalizzati a mantenere l’edificio in condizioni di adeguata manutenzione, alla luce della conoscenza della situazione, determinava le responsabilità ritenute a carico di ciascuno che, nella rispettiva qualità di funzionario pubblico (che rappresentava la comproprietà) aveva l’obbligo di occuparsi della gestione e della manutenzione del patrimonio dell’ente.
La motivazione di assoluzione della Corte d’appello è decisamente carente.
Il Giudice di secondo grado, infatti, a prescindere dalla derubricazione e dalla qualificazione giuridica del fatto, che non costituisce oggetto di devoluzione, si affida, per giungere all’assoluzione, a due affermazioni non risolutive e prive della capacità di disarticolare il ragionamento svolto dal giudice di primo grado.
Si legge nella sentenza impugnata di una complessità nell’organizzazione del Comune e della difficoltà di distinguere i ruoli svolti dagli imputati, senza indicare in che termini e per quali mansioni e qualifiche si sarebbe posto un problema siffatto.
Né si spiega in che termini l’indicata circostanza incidesse sul ragionamento che aveva operato il primo giudice. Si tratta, allora, di un argomento privo di ogni correlazione e decisività che si risolve in una affermazione apodittica.
In secondo luogo la Corte d’appello afferma che non si comprenderebbe come si possano ritenere responsabili i proprietari dei piani sottostanti per un crollo avvenuto dall’alto. Così ragionando, aggiunge, si ipotizzerebbe un obbligo di controllo nell’altrui proprietà.
Deve osservarsi come, in punto logico, l’iter argomentativo non si confronti con il ragionamento svolto dal primo giudice. La decisione di primo grado non ha, infatti, postulato un obbligo di verifica sulle altrui proprietà secondo una logica irrazionale. Piuttosto, ha richiamato una responsabilità dei comunionisti in ragione della comproprietà esistente.
Il problema derivava non dalla caduta del singolo solaio, ma dal cedimento di esso in ragione dei danni e delle infiltrazioni alle parti strutturali e portanti dell’edificio. Si trattava di parti comuni che vedevano tutti gli imputati obbligati all’intervento e al ripristino.
La sentenza impugnata non si confronta con questo dato che risulta centrale e con il materiale istruttorio. Esso documentava come la realtà di criticità estrema fosse risultata oltre che attraverso le verifiche tecniche eseguite anche all’esito delle segnalazioni e delle lamentele operate dai condòmini dello stabile limitrofo di via …. Si dava conto, invero, di infiltrazioni umidità anche alla scala comune e di erosione al tetto, alle pareti e agli elementi portanti dei solai lignei.
Non si trattava, allora, di aspetti che involgevano in via esclusiva i proprietari del singolo piano, ma di una compromissione derivata ai piani stessi dai cedimenti indotti dalle infiltrazioni alle strutture portanti di proprietà comune.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.G. (e altri) limitatamente agli effetti civili e rinvia per nuovo giudizio al Giudice civile competente per valore in grado di appello. Spese al definitivo.