La responsabilità oggettiva implica a carico di colui che ne invoca l’applicazione l’onere di provare il rapporto di custodia e il nesso di derivazione causale tra la res custodita e l’evento di danno. È uno dei principi di diritto richiamati dalla Cassazione – con l’ordinanza 9694 del 26 maggio 2020, di cui riportiamo un estratto – nell’ambito di un’articolata controversia avente ad oggetto delle infiltrazioni d’acqua in un appartamento in contesto condominiale.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., ord. 26.5.2020,
n. 9694
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M.A. e A.A. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 902/2018 della Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 13 giugno 2018, articolando quattro motivi.
Nessuna attività difensiva è svolta dall’intimato.
I ricorrenti espongono in fatto che L.A. citava in giudizio, innanzi al Tribunale di Macerata, sezione distaccata di Civitanova Marche, G.C. per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti dal proprio appartamento a seguito delle infiltrazioni d’acqua provenienti dal piano superiore, di proprietà del convenuto, ai sensi dell’art. 2053 cod. civ..
Costituitosi in giudizio, G.C. eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, contestando che la perdita derivava da un appartamento sovrastante il proprio; chiedeva, pertanto, in via principale, il rigetto della domanda e, in via subordinata, la riduzione dell’ammontare preteso a titolo risarcitorio.
L’attore decedeva nelle more del giudizio di primo grado che proseguiva con la costituzione volontaria degli odierni ricorrenti, nella qualità di eredi.
Con sentenza n. 110/2011, il Giudice di prime cure accoglieva la richiesta risarcitoria e condannava il convenuto al pagamento di euro 7.429,84, oltre agli interessi legali ed alle spese di giudizio.
In sede di gravame, proposto dal convenuto soccombente, dinanzi alla Corte d’Appello di Ancona, egli lamentava la mancata dimostrazione che la perdita d’acqua derivasse dall’appartamento di sua proprietà, attribuiva la provenienza delle infiltrazioni dai lavori di ristrutturazione eseguiti nell’appartamento sopra il proprio, denunciava l’erronea applicazione della responsabilità oggettiva, perché egli non era proprietario del tratto di tubazione danneggiante e perché la tubazione all’interno della cucina del suo appartamento aveva il solo scopo di portare acqua all’immobile del piano superiore, deduceva l’erroneo rigetto della richiesta di rinnovazione della CTU, chiedeva la sospensione dell’immediata esecutività della sentenza di prime cure.
Gli odierni ricorrenti insistevano per la conferma della sentenza gravata, si opponevano alla domanda di rinnovazione della CTU, che, data la irreversibile trasformazione dei luoghi, si sarebbe rivelata inutile oltre che esplorativa, e alla domanda di sospensione dell’immediata esecutività della sentenza di primo grado.
La Corte d’Appello, con la sentenza qui impugnata, accoglieva il gravame, ritenendo non provato il nesso di derivazione causale tra l’evento dannoso e la tubazione presente nell’appartamento dell’appellante, inesistente, a carico di quest’ultimo, l’obbligo di custodia di una conduttura interna alla proprietà altrui, non invocabile a suo carico la responsabilità ex art. 2053 cod. civ.; riformava, di conseguenza, integralmente la decisione di prime cure e compensava le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., sotto due differenti profili: a) perché il concetto di custodia, di cui all’art. 2051 cod. civ., non implica la titolarità del diritto di proprietà della res, bastando la ricorrenza di un potere di controllo delle sue modalità d’uso e di conservazione.
La Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto del fatto che, chiudendo il proprio contatore, G.C. aveva interrotto la fuoriuscita di acqua e dedurne che, al momento del fatto, aveva un potere di controllo sulla tubazione ed era in grado di prevenire e controllare i danni da essa cagionabili a terzi; b) perché, una volta provato, tramite la CTU, il nesso di derivazione causale dell’evento dannoso dalla cosa custodita, sarebbe stato onere del custode provare il caso fortuito, al fine di escludere la propria responsabilità.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Innanzitutto, le questioni oggetto di contestazione trovano adeguata risposta, supportata in fatto ed in diritto, nel percorso argomentativo seguito dal Giudice d’Appello. Le critiche ad esso rivolte esorbitano dai limiti della critica di legittimità e si traducono nella ricostruzione dei fatti storici alternativa rispetto a quella argomentatamente ravvisata dal Giudice di merito e, quindi, nell’offerta di una diversa, e per i ricorrenti più corrispondente ai propri desiderata, valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Va, però, ricordato che lo scrutinio riservato a questa Corte ha un orizzonte ben preciso, delimitato dai caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità, il quale, al fine di non essere neppure surrettiziamente trasformato in un terzo grado di giudizio – non essendo consentito, tramite il ricorso per cassazione, chiedere una nuova decisione della lite – non può che riscontrare l’esistenza di un apparato argomentativo supportato in fatto e in diritto. Nella sostanza, al giudice di legittimità resta preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, se non si ravvisa alcuna omissione rilevante e se, come in questo caso, pur denunciando un error in iudicando, la parte ricorrente svolga ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di merito.
In particolare, ai fini che qui rilevano, chi deduce là violazione e/o falsa applicazione di una norma di legge deve individuare le affermazioni della sentenza gravata che si pongano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione di esse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e dalla prevalente dottrina, ma non può, perché è esterna all’esatta interpretazione della norma, lamentare un’erronea applicazione delle norme di legge attraverso le risultanze di causa – qui rappresentate dal fatto che chiudendo il contatore G.C. aveva arrestato la fuoriuscita d’acqua – perché ciò inerisce alla tipica valutazione di merito, censurabile, se ne ricorrono i presupposti, solo sotto il profilo motivazionale.
Ricordando che non spetta a questa Corte sindacare se il Giudice d’Appello abbia proposto la migliore ricostruzione possibile dei fatti, dovendo solo verificare se la giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass. 17/06/2009, n.14098), si rileva che la Corte d’Appello ha ritenuto, con una motivazione, puntellata dai necessari ed opportuni riferimenti di fatto, non solo che non fosse provato il nesso di derivazione causale tra la tubazione verticale esistente nell’appartamento del resistente e l’evento dannoso – gli argomenti spesi dai ricorrenti puntano, invece, a dimostrare o dare per presupposto che la tubazione da cui era partita la infiltrazione fosse proprio quella all’interno dell’appartamento – ma che G.C. non avesse un potere di custodia sulla tubazione da cui, invece, si era diramata la perdita d’acqua. Tali conclusioni sono fondate su plurimi elementi:
a) la relazione del tecnico di parte attrice confermata in sede testimoniale che aveva evidenziato che la perdita di acqua non si era verificata all’interno della proprietà di G.C., ma da un tubo che dalla proprietà di quest’ultimo saliva al piano sovrastante e che probabilmente era interna nel pavimento o nei muri della proprietà S.;
b) la presenza di effetti della perdita d’acqua visibili soltanto nello spigolo della cucina di G.C. e non in una parte più estesa del locale;
c) dalla ubicazione degli appartamenti, quello danneggiato, quello di G.C. e quello contiguo di F. – e sulla ragionevole confutazione di quelli addotti dagli odierni resistenti – il fatto che dalla tubatura che attraversava verticalmente la cucina di G.C. si diramava la conduttura idrica che serviva l’appartamento di proprietà S.; il fatto che la tubatura interna alla proprietà G.C. fosse stato tagliato senza che venisse ad interrompersi la fornitura di acqua nel suo appartamento.
Ora, va ricordato che la responsabilità fatta valere, quella ex art. 2051 cod. civ., secondo la giurisprudenza di questa Corte (sin da Cass., Sez. Un., 11/11/2011, n. 12019) e la dottrina prevalenti, deve ascriversi al novero della responsabilità oggettiva e come tale implica a carico di colui che ne invoca l’applicazione l’onere di provare il rapporto di custodia e il nesso di derivazione causale tra la res custodita e l’evento di danno.
Elemento costitutivo della domanda risarcitoria è, infatti, in primo luogo la ricorrenza della figura del custode, cioè del titolare di una effettiva e non occasionale disponibilità, sia essa materiale che giuridica, della cosa, in grado di controllarla (anche) in relazione al grado di rischio che su di essa potrebbe incombere, quindi la relazione di custodia, ed il nesso di causa tra la cosa custodita ed il danno lamentato.
Tutti gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria proposta sono stati ritenuti sforniti di prova – l’infiltrazione non proveniva dalla tubatura presente all’interno dell’appartamento di G.C., ma da quello sovrastante, su cui non poteva avere alcuna relazione di custodia – perciò alla Corte d’Appello non restava che rigettare l’istanza.
(omissis)
4. Con il quarto motivo i ricorrenti rilevano la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per:
a) omessa motivazione circa la non rilevanza della chiusura del contatore da parte dell’appellante, pur essendo un fatto decisivo al fine di stabilire chi avesse il potere di controllo della tubatura;
b) per contraddittorietà, data l’indecifrabilità del passaggio motivazionale nel quale il giudice a quo aveva attribuito rilievo all’ubicazione dell’appartamento dell’appellante rispetto a quello di proprietà di F., collocato al di sopra di quello degli odierni ricorrenti, pur essendo emerso dalla CTU che il soffitto della cucina dell’appartamento degli odierni ricorrenti rappresenta il suolo di calpestio dell’appartamento dell’appellante;
c) per il mancato rilievo attribuito al taglio della tubazione, per il quale l’appellante aveva prestato il proprio consenso, a dimostrazione del fatto che ne aveva non solo il potere di custodia, ma anche la proprietà, non bastando ad escludere né l’una né l’altra l’ipotesi avanzata dal CTP che il tubo presente nella proprietà dell’appellante si internasse probabilmente nel pavimento o nei muri della proprietà sovrastante.
4.1. La sentenza impugnata non merita le censure formulate. Non solo tutte le circostanze addotte sono state prese in considerazione dalla Corte territoriale, benché deducendone conseguenze diverse da quelle pretese dai ricorrenti, ma sotto il profilo motivazionale la sentenza può essere censurata se la motivazione manchi del tutto ovvero nell’ipotesi in cui la parte motivazionale si estrinsechi in argomentazioni inidonee a rilevare la ratio decidendi o in affermazioni tra di loro logicamente inconciliabili o incomprensibili. Non è questo il caso, visto che la decisione dà conto dei motivi di diritto su cui si basa, consente la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, evidenzia gli elementi di fatto considerati, non impedisce di cogliere il percorso logico-giuridico seguito per la formazione del convincimento del giudicante.
5. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
(omissis)
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla liquida per le spese.