Qualora sia ravvisabile la natura condominiale di un manufatto, in questo caso di un muro perimetrale, questo non può essere abbattuto e, qualora ciò avvenisse, sarà richiesto il ripristino dello stesso. Questo, in estrema sintesi, il principio espresso dalla sentenza del 28 dicembre 2017 della Corte d’Appello di Roma, poi confermato in Cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 11.2.2019,
n. 3923
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1. La Corte d’Appello di Roma con sentenza 28.12.2017, in accoglimento dell’appello proposto dal Condominio … nei confronti della M. s.r.l. avverso la sentenza 5214/14 del locale Tribunale, ha condannato la società al ripristino di un muro da essa abbattuto, ravvisando la natura condominiale del manufatto e quindi l’illegittimità della condotta della società convenuta.
2. Contro tale sentenza ricorre per cassazione la M. s.r.l. sulla base di due motivi a cui resiste con controricorso il Condominio.
Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
1. Con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 832 e 1117 c.c. nonché omessa considerazione di un fatto decisivo, rimproverandosi alla Corte d’Appello di non avere spiegato i motivi di dissenso rispetto alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio recepite dalla sentenza di primo grado. Altro errore, ad avviso della ricorrente, riguarda l’interpretazione dei concetti di muro perimetrale e muro divisorio, posto che il muro in questione aveva solo una funzione divisoria, poi venuta meno con l’accorpamento di due cortili in una sola proprietà e quindi non poteva essere considerato perimetrale.
Il motivo è manifestamente infondato.
(omissis)
La ricorrente oggi allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e cioè l’erronea attribuzione della natura condominiale al muro abbattuto, piuttosto che meramente divisoria dei due preesistenti cortili che in origine appartenevano a soggetti diversi e poi sono confluiti in capo allo stesso soggetto. Si sollecita insomma la Corte di Cassazione ad un compito estraneo al suo ruolo istituzionale che non è certo quello di rivisitare gli accertamenti in fatto rientranti nelle prerogative del giudice di merito che – è bene rimarcarlo – nel caso in esame, confrontandosi con le diverse conclusioni raggiunte dal consulente tecnico (e fatte proprie dal primo giudice) ha accertato che “la porzione di muro abbattuto dalla società appellata svolgeva la funzione di delimitazione perimetrale del Condominio di via … e, come emerge dalla stessa planimetria allegata alla relazione di consulenza tecnica, costituiva orizzontalmente un unicum con la porzione di muro di cinta condominiale” (v. pag. 6 sentenza) e ha concluso per la illegittimità dell’apertura in esso praticata, che va ad incidere sulla funzione di recinzione e protezione annullando il beneficio che gli altri condòmini traggono dalla utilità che il muro apporta alle proprietà altrui (v. pag. 7).
2. Con altro motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1122 c.c. rilevando che nel caso di specie l’intervento non ha arrecato alcun pregiudizio né alla statica dell’edificio né al decoro architettonico, né ha compresso il diritto di godimento degli altri condòmini che non hanno mai utilizzato il muro, la cui demolizione non ha neppure alterato la destinazione dell’area, non più utilizzata a parcheggio.
Anche tale motivo è manifestamente infondato perché si risolve in una censura in fatto sull’apprezzamento della Corte d’Appello che invece (v. pag. 7), in linea col disposto dall’art. 1120 ultimo comma c.c., ha ravvisato nella trasformazione dell’originaria terrazza in un’area di manovra per autoveicoli e carico e scarico di merci, la creazione di una illegittima servitù a carico del Condominio e una illegittima variazione dell’uso dell’immobile in violazione dell’art. 13 del regolamento di condominio contenente il divieto di apportare variazioni alla destinazione d’uso degli immobili (civili abitazioni).
Il rigetto del ricorso comporta inevitabilmente l’addebito delle spese del presente giudizio alla parte soccombente.
(omissis)
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.700 di cui euro 200 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15%.