In presenza di uno stabile asservimento di un bene al godimento delle proprietà individuali situate all’interno dell’edificio in condominio, si deve presumere che detto bene sia di proprietà comune a tutti i condòmini. Detta presunzione può essere vinta da un titolo contrario, la cui esistenza deve però essere dedotta e dimostrata dal condomino che vanti la proprietà esclusiva del bene.
È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione nell’ambito di una controversia avente ad oggetto un sottoscala condominiale ospitante i contatori delle utenze elettriche a servizio delle singole unità immobiliari.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 24.2.2020,
n. 4890
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Con atto di citazione notificato il 9.9.2013 F.C. (e altri) convenivano in giudizio, innanzi il Tribunale di Tempio Pausania, B.M. e il Condominio A., in persona dell’amministratore pro tempore, invocando in via principale la dichiarazione della proprietà condominiale di un vano sottoscala sito all’interno del complesso condominiale denominato A. nel quale erano collocati i contatori delle utenze elettriche a servizio delle varie unità comprese nel predetto condominio. In subordine, nel caso in cui detto vano fosse stato ritenuto invece di proprietà esclusiva del B.M., gli attori invocavano la declaratoria dell’esistenza su di esso di una servitù apparente di elettrodotto a favore degli immobili di loro proprietà.
Si costituiva in giudizio il B.M. resistendo alla domanda, invocando l’accertamento della proprietà esclusiva del vano oggetto di causa in capo a sé e a Z.E., nei confronti della quale chiedeva integrarsi il contraddittorio. Integratosi il contraddittorio, veniva dichiarata la contumacia di Z.E. e del condominio A..
Con sentenza n.573/2015 il Tribunale di Tempio Pausania accertava la proprietà del vano in contestazione in capo al condominio A. e condannava il B.M. e la Z.E. a lasciarlo aperto e nella disponibilità degli attori.
Interponeva appello il B.M. e si costituivano in seconde cure gli originari attori, resistendo all’impugnazione.
Con la sentenza oggi impugnata, n.467/2017, la Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione B.M. affidandosi a tre motivi.
Resistono con controricorso F.C. (e altri).
Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c. perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 37 del regolamento del condominio A.. Ad avviso del ricorrente, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte sassarese – secondo la quale non sarebbe stato chiaro, alla luce del contenuto del regolamento condominiale, se il vano in contestazione fosse di proprietà comune ovvero esclusiva – l’art. 2 del regolamento prevedeva che il predetto vano fosse soltanto concesso in uso ai condòmini. Lo stesso, peraltro, in ragione della sua conformazione non avrebbe potuto essere ricompreso nella categoria delle cantine o di qualsiasi altro spazio soggetto a presunzione di condominialità, per cui esso non poteva che essere di proprietà esclusiva.
Con il secondo motivo il ricorrente censura l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art.360 n.5 c.p.c., perché la Corte territoriale non avrebbe considerato il comportamento dei condòmini singolarmente considerati, e del condominio A. nel suo complesso, successivo all’acquisto delle singole unità immobiliari da parte degli odierni controricorrenti. In particolare, ad avviso del B.M. avrebbero dovuto essere valorizzate dalla Corte di Appello le circostanze che:
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.1117 e 2697 c.c., in relazione all’art.360 n.3 c.p.c., perché la Corte di seconda istanza avrebbe applicato, in favore dei controricorrenti, la presunzione di proprietà condominiale di cui all’art.1117 c.c. senza prima verificare se i presupposti per la sussistenza della proprietà comune esistessero sin dal momento in cui il condominio era venuto in essere. Ad avviso del ricorrente, infatti, poiché nel caso di specie il vano in contestazione era stato utilizzato per ospitare i contatori solo in un momento successivo al sorgere del condominio, non si poteva presumere la sua natura di bene condominiale solo per effetto della sua utilizzazione a servizio delle proprietà individuali site all’interno del condominio.
Le tre censure, che per la loro intima connessione meritano un esame congiunto, sono infondate.
Ed invero occorre ribadire il principio per cui, in presenza di uno stabile asservimento di un bene al godimento delle proprietà individuali situate all’interno dell’edificio in condominio, si deve presumere che detto bene sia di proprietà comune a tutti i condòmini. In proposito, questa Corte ha affermato che “Affinché possa operare, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il cosiddetto diritto di condominio, è necessario che sussista una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l’edificio in comunione, nonché un collegamento funzionale fra primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva. Pertanto qualora, per le sue caratteristiche funzionali e strutturali, il bene serva al godimento delle parti singole dell’edificio comune, si presume – indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condòmini o soltanto da alcuni di essi – la contitolarità necessaria di tutti i condòmini su di esso. Detta presunzione può essere vinta da un titolo contrario, la cui esistenza deve essere dedotta e dimostrata dal condomino che vanti la proprietà esclusiva del bene, potendosi a tal fine utilizzare il titolo – salvo che si tratti di acquisto a titolo originario – solo se da esso si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione” (omissis).
In altre parole, tenendo conto della natura non tassativa dell’elencazione contenuta nell’art. 1117 c.c., l’esistenza del concreto asservimento del bene a vantaggio delle varie proprietà esclusive comprese nel condominio costituisce una presunzione di proprietà condominiale del bene stesso, che può essere superata, con onere probatorio a carico della parte rivendicante la proprietà esclusiva, soltanto mediante “un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, né l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino” (omissis).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto che gli odierni ricorrenti avessero “… dato prova dell’attitudine funzionale del vano posto al servizio e godimento collettivo e del collegamento sempre funzionale con le unità immobiliari al momento dell’acquisto; mentre spettava al B.M. che ne rivendicava la proprietà esclusiva darne la prova … così come spettava al medesimo offrire prova anche dell’eccepita collocazione arbitraria dei contatori e delle condutture elettriche nel vano e del fatto che il locale non fosse ab origine sin dalla costituzione del condominio destinato al servizio del fabbricato e delle unità immobiliari, come risultato in causa” (cfr. pag.7 della sentenza impugnata).
Il B.M. ha sostenuto, in particolare nel terzo motivo del ricorso, che il vano non sarebbe stato destinato ad ospitare i contatori elettrici sin dal momento della costituzione del condominio, ma che detto uso sarebbe intervenuto in un momento successivo. Non ha tuttavia precisato né quando ciò sarebbe avvenuto, né quale elemento di prova, ritualmente acquisito agli atti del giudizio di merito, dimostrerebbe l’assunto. Di conseguenza, quest’ultimo è rimasto al livello di mera allegazione, non avendo il B.M., né alla luce di quanto emerge della sentenza impugnata, né in funzione del contenuto del motivo del ricorso, assolto l’onere probatorio su di lui gravante. La Corte di merito ha – di conseguenza – ritenuto che, in difetto di prova contraria, l’oggettiva destinazione del vano di cui è causa a servizio delle singole unità degli odierni controricorrenti risalisse al momento di costituzione del condominio e fosse pertanto originaria. Né d’altro canto risulta, tanto dalla sentenza che dal ricorso, che il B.M. abbia prodotto, nel corso del giudizio di merito, un titolo idoneo a legittimare la proprietà esclusiva sul vano di cui sopra dal medesimo rivendicata.
L’assenza di detto titolo, da un lato, e della prova circa la destinazione del vano a servizio delle proprietà individuali in un momento successivo alla costituzione del condominio, dall’altro lato, non è superabile mediante la valorizzazione delle circostanze indicate nel secondo motivo del ricorso. Da esse infatti non può desumersi, neanche per via induttiva, la prova – che in via diretta il B.M. non ha fornito – della proprietà esclusiva del vano, ovvero della sua destinazione a servizio dei beni individuali in un momento successivo alla costituzione del condominio. Le decisioni assunte nelle assemblee condominiali del 21.7.1994 e del 30.3.2006, infatti, non implicano necessariamente il riconoscimento dell’alienità del vano in contestazione; né appare decisivo il fatto che le predette deliberazioni non siano state impugnate da alcuno dei condòmini. Parimenti irrilevante è il fatto che la controricorrente F.C. si sia vista respingere dal Tribunale di Tempio Pausania due ricorsi proposti ai sensi dell’art.700 c.p.c. per ottenere l’apertura del vano in cui erano ospitati i contatori, posto che anche detto elemento non è idoneo a dimostrare la proprietà esclusiva del bene in capo al B.M., né a collocare con certezza l’inizio della sua destinazione a servizio delle unità individuali in un determinato momento.
Quanto invece al primo e al secondo motivo di ricorso, essi pur invocando una lettura sistematica si risolvono non già nella critica della tecnica, bensì dell’esito interpretativo, che non è consentita in sede di legittimità (omissis). Né appaiono rilevanti le censure relative agli accertamenti di fatto relativi alle singole date in cui sarebbe avvenuta l’installazione dei contatori da parte dei resistenti, posto che la contestazione non vede (recte: verte) sull’uso del vano, ma piuttosto sulla sua proprietà, che non risulta esclusiva in base al titolo – alla luce dell’interpretazione condotta dal giudice di merito – con conseguente applicazione della presunzione di condominialità, dovendosi ritenere prevalente la natura condominiale in assenza di prova certa circa la proprietà individuale del bene asservito in concreto ad un uso comune. Né il ricorrente ha allegato di aver proposto, in reazione all’utilizzazione a servizio comune del vano di cui si discute, azioni a difesa del possesso, il che vale come ulteriore – ancorché indiretta – conferma della presunzione circa la natura condominiale del bene di cui si discute.
La decisione impugnata ha quindi correttamente ritenuto la proprietà condominiale del vano di cui è causa, valorizzando da un lato la sua concreta destinazione, e dall’altro la sua astratta attitudine, ad assolvere ad una funzione condominiale, nello specifico consistente nell’ospitare i contatori a servizio delle varie unità di proprietà individuale comprese nel condominio, non avendo il B.M. fornito la prova certa della proprietà esclusiva dal medesimo rivendicata, né dimostrato che la sua destinazione a servizio delle proprietà individuali era iniziata in un momento successivo alla costituzione del condominio.
Da quanto precede deriva il rigetto del ricorso. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
(omissis)
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei contro ricorrenti, in solido tra loro, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.200 di cui euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.